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Cronaca
14.03.2017 - 15:540
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

"Ciao Andrea, come possiamo aiutarti?". Facebook è preoccupato per me: "Scopri cosa puoi fare se stai pensando al suicidio o ad atti autolesionisti"

Dopo aver postato la scorsa settimana le mie riflessioni sul suicidio assistito universale, il social network questa mattina mia ha inviato un "messaggio importante". Scrive Facebook: "Una persona ci ha chiesto di controllare uno dei tuoi post perché pensa che tu stia attraversando un momento difficile". Pazzesco: dalla psicopolizia di orwelliana memoria alla socialpolizia? Ecco i consigli che mi ha dato la ditta di Mr.Zuckerberg.

di Andrea Leoni

Facebook è preoccupato per me. Giuro: me lo ha detto lui. Stamattina apro il social network e mi appare una strana schermata. Una di quelle che non avevo mai visto. Mi si chiede per l'appunto se ho bisogno di aiuto. Ci sono una serie di iconcine carine, tra le quali figurano le opzioni di contattare amici o qualche specialista che possa darmi una mano. 
 
Lì per lì penso che si tratti di un nuovo servizio che Facebook stia promuovendo tra tutti i suoi utenti. In fondo, mi dico, perché mai proprio a me questo messaggio che utilizzo i social solo per questioni professionali? Bah, clicco "salta", "ignora" o qualcosa del genere e mi rimetto a lavorare.
 
Poco dopo però mi si accende una "lampadina": e se invece quel messaggio fosse stato rivolto proprio a me? Siccome, come detto, utilizzo Facebook solo per lavoro, deve essere per forza qualcosa legato a qualche pubblicazione sulla pagina di Liberatv. Ripenso agli ultimi giorni e mi viene un sospetto. La scorsa settimana i miei articoli sul suicidio assistito universale hanno sollevato un certo interesse e su Facebook sono stati ampiamente condivisi e commentati.
 
Recupero la notifica intitolata "Hai un messaggio importante da parte di Facebook" per verificare se mi sono fatto un film oppure l'intuizione è fondata. 
 
Clicco sulla notifica e mi si apre una pagina dove campeggia un grande cuore azzurro con all'interno una lampadina. E già mi viene da vomitare. Ma mi faccio forza e mi metto a leggere: "Desideriamo offrirti supporto se ne hai bisogno".
 
E perché mai, mi chiedo? E poi: chi ve l'ha detto che forse ho bisogno di voi? La risposta è subito sotto ed è "firmata" dal "Il team di assistenza di Facebook". Accipicchia! Eccola: "Una persona ci ha chiesto di controllare uno dei tuoi post perché pensa che tu stia attraversando un momento difficile. Chiama un collaboratore qualificato di Tel 143. È assolutamente confidenziale e gratuito. Chiama il numero 143.
Scopri di più su cosa fare se stai pensando al suicidio o a comportamenti autolesionisti".
 
"Ma è pazzesco!", mi dico. Il mio stato d'animo si scompone in un mosaico di sentimenti contrapposti. Da una parte mi sembra una situazione talmente paradossale, da non riuscire a trattenere vertigini di sincera ilarità. Dall'altra mi esplode una certa inquietudine orwelliana: dalla psicopolizia alla socialpolizia? E in più mi chiedo: il segnalatore o la segnalatrice, naturalmente coperti dall'anonimato, con quali intenti ha agito? Per scherzo? Disappunto? Proiezione della propria situazione personale sul prossimo? Sincera preoccupazione? Va beh, mi rispondo, chissenefrega alla fine del perché o del per come: già solo il fatto che qualcuno/a pensi che Facebook possa essere d'aiuto nella vita delle persone, azzera il cronometro del tempo da dedicare alla faccenda. Torniamo al nocciolo della questione.
 
La persona Andrea Leoni vorrebbe chiuderla qui, il cronista sente l'obbligo di approfondire, almeno ancora un pochino. In me, malvolentieri, prevale il senso del dovere. Clicco sul link "scopri di più" e mi si apre un'altra pagina con un altro titolo da toccarsi dove sappiamo: "Sto pensando al suicidio o all'autolesionismo". Cioè, non è più un'ipotesi: con il mio click semplicemente curioso ho certificato, o almeno così sembra, che quelle sono le mie intenzioni. Quali saranno le eventuali conseguenze, ve lo farò sapere.  
 
In ogni caso, la faccio breve perché anche il senso del dovere del giornalista ha i suoi limiti, mi comprenderete. Oltre ai contatti e nuovi link, appaiono una serie di consigli spassosi, da psicologia cabarettistica, che non posso esimermi dal riportare. Giusto, giusto, per farci almeno due risate insieme. 
 
Leggiamo: "Può essere difficile concentrarsi quando ci si sente sopraffatti o si ha un problema che non si può risolvere subito. Fermati un attimo, fai un respiro profondo e prova a non pensare a ciò che senti". Sovviene la mitica battuta di Massimo Troisi: aspetta, che mo' me lo segno…
 
Ma il meglio dei consigli deve ancora venire. Tenetevi forte: "Esci per un po'. Fai una passeggiata, vai a correre o fai un giro in bicicletta. Vai al cinema. Recati in un posto nuovo, ad esempio un bar, un museo o un parco che non hai mai visitato. Dai sfogo alla tua creatività: Disegna qualcosa di semplice. Prova una buona ricetta. Scrivi un breve racconto. Medita o fai yoga. Fai una doccia calda. Ascolta le tue canzoni preferite. Guarda le nuvole. Leggi un libro, una rivista o il post di un blog. Fai un pisolino". Giuro, c'è scritto così. 
 
La conclusione è memorabile e al contempo piuttosto rivelatrice: "Se un tuo amico sta pensando al suicidio o all'autolesionismo, puoi condividere queste risorse anche con questa persona".
 
Va beh, per ora limitiamoci a scherzare ma c'è davvero poco da ridere, a pensarci bene. Orwell vive e lotta insieme a noi!
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