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23.04.2017 - 09:050
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

La crisi del mattone: l'analisi di un promotore immobiliare. "Le banche, che governano il mercato finanziario, hanno alzato l’asticella dell’accesso ai crediti, nonostante i tassi ai minimi storici. Una scelta che penalizza investitori, imprese e lavorato

SEC0NDOME: "Io credo che l’obiettivo del sistema bancario sia quello di non finanziare più i piccoli risparmiatori perché i tassi ipotecari sono troppo bassi e per le banche non interessanti. Meglio convincere i clienti a investire nei loro prodotti finanziari, dove i margini di redditività per gli istituti sono molto più alti"

LUGANO – Un promotore immobiliare ci scrive, proponendo una interessante analisi sul mercato ticinese e sul ruolo giocato dalle banche. In particolare, mette l’accento sulla crescente difficoltà da parte del ceto medio ad accedere a crediti per acquistare case o appartamenti, nonostante i tassi di interessi non siano mai stati così bassi, anche se fissati a lungo termine. Il professionista, noto alla redazione, prevede una seria crisi all’orizzonte. Ecco la sua analisi.

“Si parla sempre più spesso di crisi del settore immobiliare, di bolle, di prezzi eccessivi, ma io credo che i problemi siano ben altri. Il mattone è da sempre un bene rifugio. E in un Paese come la Svizzera, dove la qualità della vita è molto alta, soprattutto in termini di sicurezza, gli investimenti nell’immobiliare hanno ancora maggior valore.

Negli ultimi due anni però le cose stanno cambiando, non perché la gente non vuole più comprare case, sia per residenza primaria sia come investimento a reddito. Il settore delle vendite ha risentito di una frenata importante, il che pare assurdo considerato il livello dei tassi di interesse attuali a 10 anni, inferiori al 2%. È una situazione idilliaca per chi vuole acquistare e investire.

Ma le banche, che governano da sempre il mercato finanziario svizzero, hanno deciso di fissare l’asticella dell’accesso ai crediti sempre più in alto. Fino a un paio d’anni fa bastava il 20% di capitale proprio per accedere all’acquisto basato sul prezzo di vendita. Oggi invece, in moltissimi casi le banche chiedono il 33%, basandosi il più delle volte su perizie poco coerenti, magari affidate a esperti di oltre Gottardo, che poco sanno della reale evoluzione dei prezzi medi di mercato.

In più, le banche chiedono un collaterale pari al 50% del bene acquistato per investire nei loro prodotti bancari, oppure una sostenibilità del mutuo basato su un tasso di riferimento del 6% o più, cosa incredibile considerata la tendenza al ribasso dei tassi e la possibilità di bloccarli fino a 15 anni al 2%.

Questo meccanismo sta generando una quantità di ‘invenduto’ molto importante nelle varie operazioni, con immaginabili conseguenze per i promotori immobiliari e, di riflesso, per le migliaia di persone che lavorano nel settore e per le imprese edili. Imprese che devono spesso ridurre gli organici e lasciare a casa il personale.

Ultimamente le vendite riguardano soprattutto oggetti di lusso, di valore superiore ai 3 milioni di franchi, acquistati da clienti stranieri, in particolare globalisti, che hanno ingenti somme depositate in banca.

Mentre per il ceto medio svizzero l’acquisto della prima casa sta diventando un miraggio sempre più lontano. Un esempio pratico: per un’ipoteca di 800’000 franchi, oggi si spendono al massimo 9’000 franchi all’anno. Mentre le banche chiedono una sostenibilità del 6% pari a 48’000 franchi, cioè chiedono al cliente di avere un reddito pari a 12’000 /15’000 franchi al mese… Un parametro assurdo.

Io credo che l’obiettivo del sistema bancario sia quello di non finanziare più i piccoli risparmiatori perché i tassi ipotecari sono troppo bassi e per le banche non interessanti.
Meglio convincere i clienti a investire nei loro prodotti finanziari, dove i margini di redditività per gli istituti sono molto più alti, mentre il cliente alla fine si ritrova confrontato con perdite più che con guadagni. Almeno questa è la mia esperienza personale negli ultimi 6 anni: commissioni altissime di gestione e bilancio negativo.

Io credo che se le banche continueranno con questo sistema nel giro di un paio d’anni avremo centinaia di licenziamenti, e già oggi molte imprese stanno riducendo gli organici del 50% oppure stanno cambiando i contratti di lavoro in assunzioni a tempo determinato, il che significa operai senza un futuro lavorativo certo e famiglie a rischio, con costi che saranno a carico del Cantone.

Io stesso non svilupperò più operazioni immobiliari di livello medio orientate alla vendita in quanto rimarrebbero invendute. Prevedo quindi una grossa crisi per i promotori finanziari che non hanno le spalle coperte, cioè capitali propri importanti per sopperire agli interessi sui conti di costruzione, o che si affidavano alle prevendite per pagare varianti o per completare le operazioni in essere.

Se poi andiamo sulle operazioni a reddito la questione non cambia: il problema è sempre quello di trovare un credito accettabile. In questo caso le banche chiedono una reddittività nel caso di operazioni residenziali del 5%: calcolando affitti di 200 franchi al metro quadrato, significa produrre operazioni immobiliari, comprese di terreno e onorari, che non devono superare i 4’500 franchi al metro. Si tratta di un parametro che nella grande maggioranza dei casi è irraggiungibile, in quanto il costo medio dei terreni, senza parlare di Lugano dove i prezzi sono improponibili (2'000 franchi al metro), non deve superare i 1’000 franchi e i lavori non possono costare più di 3’200 franchi.

Il risultato è che solo investitori istituzionali come le casse pensioni, o privati e società con grandi capitali, possono permettersi di accedere a crediti per operazioni a reddito con un esborso medio che va dal 30 al 40% dell’intero investimento.

Anche questa volta il ceto medio è tagliato fuori dal mercato. Oggi il reddito è roba da ricchi e alle imprese che costruiscono questi oggetti rimangono, se sono brave, poco più che le briciole. Se poi consideriamo che nel caso di rivendita le tasse superano il 50% al primo anno è chiaro che c’è poco da fare affari…”


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