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Analisi
25.04.2017 - 16:310

Dei delitti e delle pene. Riflessioni sulla morte di Fabrizio rileggendo Beccaria. Quel 'buco nero' tra la pena massima per l'omicidio colposo e quella minima per l'intenzionale. E un Codice penale a macchia di leopardo

L’assurda morte di Fabrizio, colpito alla schiena con un pugno dal 21enne Alexander venerdì notte alla discoteca La Rotonda di Gordola, deve farci riflettere profondamente, come individui e come società

di Marco Bazzi

L’assurda morte di Fabrizio, colpito alla schiena con un pugno dal 21enne Alexander venerdì notte alla discoteca La Rotonda di Gordola, deve farci riflettere profondamente, come individui e come società.

Non solo per gridare forte ‘basta alla violenza e al bullismo’, non solo per innescare sterili dibattiti sul presunto DNA criminogeno di certe etnie o culture.
Questo tragico evento pone anche un problema che riguarda il rapporto tra il delitto e la pena, e in particolare la pena massima prevista per il reato qualificato come ‘omicidio colposo’. Un reato che nella maggior parte dei casi riguarda morti provocate accidentalmente, ma che a volte si applica anche ad atti di violenza.

Non sappiamo come andrà a finire l’inchiesta sulla morte di Fabrizio, e se il procuratore pubblico Arturo Garzoni, sulla base delle testimonianze e delle risultanze delle indagini, propenderà per l’una o per l’altra opzione che ha ipotizzato: omicidio intenzionale o colposo, ma...

Il ‘buco nero’ tra omicidio intenzionale e colposo

Ma queste riflessioni vanno al di là del caso concreto, dal quale prendono soltanto spunto. Il problema è che nel nostro Codice penale c’è un evidente ‘buco nero’ tra questi due reati.
Omicidio intenzionale: “Chiunque intenzionalmente uccide una persona è punito con una pena detentiva non inferiore a cinque anni”.
Omicidio colposo: “Chiunque per negligenza cagiona la morte di alcuno è punito con una pena detentiva sino a tre anni o con una pena pecuniaria”.
La pena massima è identica a quella prevista, per esempio, in caso di infrazione semplice alla Legge sugli stupefacenti (spaccio di meno di 12 grammi di eroina o di 18 di cocaina).

Il ‘buco’ sta proprio in quei due anni di differenza tra la pena minima prevista per l’omicidio intenzionale e la pena massima prevista per il colposo. E non si tratta soltanto della nostra opinione, che si basa su un ragionamento giornalistico e non giuridico.
La conclusione è che bisogna semplicemente alzare la comminatoria per l’omicidio colposo almeno fino al minimo previsto per quello intenzionale per dolo eventuale: 5 anni. Poi saranno i giudici a determinare la pena nei singoli casi, tenendo conto di circostanze, precedenti, aggravanti e attenuanti…

Beccaria: “Dei delitti e delle pene”

Nel 1764 l’illuminista Cesare Beccaria scrisse “Dei delitti e delle pene”, un testo che è ancora un caposaldo della teoria classica del diritto penale. Un testo nel quale sostenne tra l’altro, scandalizzando mezza Europa, l’abolizione della pena di morte.

Scriveva Beccaria: “Se una pena uguale è destinata a due delitti che disegualmente offendono la società, gli uomini non troveranno un più forte ostacolo per commettere il maggior delitto, se con esso si trovino unito un maggior vantaggio”.
E ancora: “Dunque più forti devono essere gli ostacoli che risospingono gli uomini dai delitti a misura che sono contrari al bene pubblico (…). Dunque vi deve essere una proporzione tra i delitti e le pene”.

I confini labili tra ‘colpa’ e intenzionalità

In diritto, l’omicidio è un ‘reato di risultato’. Quindi: se non volevi uccidere, la tua colpa potrebbe rimanere legata solo all’atto che ha provocato la morte. Ma se la vittima muore perché cade a terra e picchia la testa, in certe circostanze, potrebbe anche non essere riconosciuto il dolo eventuale. Potrebbe trattarsi, insomma, di un ‘semplice’ omicidio colposo.

Nel caso in cui invece la pubblica accusa e i giudici propendano per il ‘dolo eventuale’ (l’autore non voleva uccidere ma avrebbe dovuto considerare la possibilità di farlo) si passa dal campo dell’omicidio colposo a quello dell’omicidio volontario.

Ma la cronaca ticinese degli anni scorsi ci insegna che ci sono stati almeno due casi (uno a Locarno e uno a Lugano) in cui persone sono morte a causa di un pugno e gli autori sono stati condannati per omicidio colposo.

Il confine tra l’intenzionalità (che si può determinare, appunto, anche applicando il concetto del dolo eventuale) e la semplice ‘colpa’, può essere molto labile. Ma a dipendenza di come scatta l’uno o l’altro reato (anche per un semplice elemento casuale) si hanno conseguenze molto diverse.
Si passa, come abbiamo detto, da un minimo di 5 anni a un massimo di 3 anni di carcere. Anche se la responsabilità soggettiva, in situazioni del genere, sempre molto difficili da giudicare, non è così diversa da giustificare questa rilevante differenza di pena. Soprattutto, non è diverso il risultato: la morte della vittima a causa di un atto di violenza.

Un Codice ‘a macchia di leopadro’

Probabilmente il problema è che nel corso degli anni ci sono state diverse revisioni parziali del Codice penale (per i reati sessuali, patrimoniali e legati alla circolazione stradale) e si è perso di vista l’equilibrio del sistema sanzionatorio, cadendo nella disparità che Beccaria segnalava già tre secoli or sono. È dir troppo che ne è venuto fuori un Codice ‘a macchia di leopardo’?

La vita umana dev’essere il bene supremo da proteggere, in particolare la vita di chi è vittima di reati violenti. E pare evidente che il Codice penale svizzero è eccessivamente ‘morbido’ nel punire l’omicidio colposo, anche in confronto ad altre realtà internazionali.

Confronti di pena tra omicidio e furto

Procedendo nel ragionamento, annotiamo che, al contrario, siamo molto severi nel punire i reati patrimoniali: chi commette una decina di furti, anche se non ruba il tesoro di Alì Babà, rischia tra i due e i tre anni di carcere. Più o meno la pena di chi uccide, colposamente, con un atto violento.

Ma c’è di più: il Codice prevede in caso di ‘furto per mestiere’ fino a 10 anni di galera. Le pene furono inasprite una trentina d’anni fa in quanto si ritenne che il massimo di 5 anni previsto fino ad allora fosse insufficiente. E ci sta, ma probabilmente è il caso di ripensare il Codice e le pene sulla base di criteri più coerenti.

La questione si pone anche per i reati sessuali, soprattutto su minorenni, che andrebbero sanzionati più severamente, altrimenti si rischiano sentenze paradossali, come quello dell’automobilista che pur non mettendo concretamente a rischio la vita di nessuno, a causa di tabelle che non ammettono il potere discrezionale dei giudici diventa pirata della strada e viene condannato a una pena identica a quella di chi commette atti sessuali su fanciulli. E anche sulla circolazione stradale c’è da fare una revisione, ma in retromarcia.

In conclusione…

Se ci avete seguiti fin qui, torniamo alla tragedia di Gordola. Da una parte c’è il giustizialismo di chi chiede l’ergastolo e afferma che nessuna pena sarà mai troppo severa per l’autore. Dall’altra c’è chi dice: ma alla fine la pena più pesante per questo ragazzo sarà la sua coscienza.

Però, siccome le pene esistono, va anche rilevato che se il giovane in questione venisse riconosciuto colpevole di omicidio intenzionale sarebbe condannato a non più di cinque anni. E se in carcere ti comporti bene, e non hai precedenti penali e nemmeno patologie di base, alla fine, dopo tre anni sei fuori…



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