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28.04.2017 - 09:310
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

"A che punto siamo con l’Unione europea?". Mauro Dell'Ambrogio fa il check up ai Bilaterali: "Il clima è incerto: stare a vedere è la meno rischiosa delle politiche"

Il segretario di Stato: "L’esperienza ha dimostrato quanto la Svizzera abbia beneficiato economicamente nel trascorso quindicennio di relativa apertura dei mercati dell’UE. E’ soltanto perché i vicini stanno per altri versi peggio che ancora attività economiche decidono di insediarsi in Svizzera, o almeno di non lasciarla"

 di Mauro Dell'Ambrogio*

La Svizzera ha molti accordi con l’UE e taluni abbisognano di revisioni più o meno frequenti. I negoziati sono rimasti bloccati dalla primavera 2014 a fine 2016 per l’incertezza sulle intenzioni svizzere di attenersi all’accordo di libera circolazione delle persone. Ora sono ripresi.

Per alcuni temi la Svizzera ha interesse a risultati in tempi brevi. Ad esempio per ottenere una libera circolazione dei servizi, o anche solo per aggiornare e completare gli accordi in materia di ostacoli tecnici al commercio: piccole e medie industrie nel campo della tecnologia medica, ad esempio, sono impossibilitate – diversamente da quelle grandi, come le case automobilistiche – a produrre su misura o a certificare separatamente per le diverse normative di ciascun paese importatore, giustificate con ragioni di sicurezza o ambientali (spesso un pretesto per fare protezionismo). Se un paese dell’UE autorizza un prodotto fatto in casa, questa autorizzazione vale automaticamente in tutta l’UE. La Svizzera beneficia solo parzialmente di questi automatismi e un aggiornamento è necessario per settori importanti della nostra economia.

L’UE da parte sua chiede un accordo istituzionale: in pratica che la Svizzera non sia privilegiata rispetto ai paesi membri quando vi sono divergenze sull’interpretazione di accordi che estendono alla Svizzera norme europee (E’ una norma europea anche quella che autorizza automaticamente in tutti i paesi ciò che è autorizzato in uno di essi). La Svizzera non può accettare che a decidere tali divergenze siano tribunalidell’UE. Si tratta quindi di cucire un delicato compromesso, che si sta delineando, ma che è complesso già da descrivere, e poi doverlo sottoporre al voto popolare.

Va ricordato poi che parte del budget dell’UE serve alla compensazione finanziaria tra paesi ricchi e meno ricchi. I primi beneficiano d’altra parte delle possibilità di esportare senza barriere i loro prodotti nei secondi. A suo tempo l’UE chiese a Norvegia e Svizzera, e il popolo svizzero accettò, di contribuire a progetti nell’Europa dell’Est. Quel cosiddetto miliardo di coesione è giunto ad esaurimento e l’Europa chiede un rinnovo. E’ evidente la convenienza per la Svizzera ad acconsentire, in cambio di aperture dei mercati.

L’esperienza ha dimostrato quanto la Svizzera abbia beneficiato economicamente nel trascorso quindicennio di relativa apertura dei mercati dell’UE. Il maggiore ostacolo resta l’accordo istituzionale. Il clima è reso incerto dalla Brexit e da elezioni nazionali che potrebbero rimettere in discussione molte cose all’interno dell’UE. Un’incertezza che frena sia i negoziati sia le velleità interne nostre, di chi vorrebbe fare piazza pulita con i Bilaterali. Stare a vedere è in fondo per ora la meno rischiosa delle politiche, anche se della mancanza di taluni accordi o del loro mancato aggiornamento intanto la nostra economia soffre.

E’ soltanto perché i vicini stanno per altri versi peggio (incertezza interna, carico fiscale, burocrazia, eccetera) che ancora attività economiche decidono di insediarsi in Svizzera, o almeno di non lasciarla.

In tutto questo contesto è stato un caso quasi unico aver potuto riprendere dall’inizio del 2017 la piena collaborazione nei programmi di ricerca dell’UE. Quanto importante sia questa collaborazione ho già avuto modo di spiegarlo. Su questo tema nel 2014 non vi era stata una semplice interruzione dei negoziati, ma si era – per varie ragioni – concluso un accordo parziale che, con gli occhi di oggi, appare provvidenziale. Non si trattava di accesso ai mercati, e quindi l’accordo istituzionale non era una condizione. Lo era invece l’estensione della parità di trattamento ai cittadini Croati, ora soddisfatta. Avere curato quel negoziato è stata una felice esperienza personale.


*Segretario di Stato - Articolo apparso su Opinione Liberale
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