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Analisi
16.05.2017 - 13:230

Cara federazione di calcio, di che cosa stiamo parlando? Di mele marce o di un cestino infetto? Il calcio è una spugna e quando la strizzi ci racconta chi siamo

L'ANALISI - Se si tratta di un problema sistemico, la Federazione di calcio ticinese ha fatto non bene, ma benissimo, a sospendere tutti i campionati giovanili. Altrimenti si può avanzare qualche lecito dubbio.....

di Andrea Leoni

Se si tratta di un problema sistemico, la Federazione di calcio ticinese ha fatto non bene, ma benissimo, a sospendere tutti i campionati giovanili. Altrimenti si può avanzare qualche lecito dubbio, perché si tratterebbe di un provvedimento finanche diseducativo. Perché se Mao diceva “punirne 1 per educarne 100”, nel qual caso per educarne 1 (o 2 o 3) se ne punirebbero 100 (e passa). Verrebbe inoltre messo in discussione un principio giuridico fondamentale, che è bene imparar da ragazzini, e cioè che la responsabilità delle proprie azioni è sempre individuale e mai collettiva.

 

Dal comunicato con cui la Federazione ha motivato la clamorosa decisione di fermare il calcio giovanile in Ticino, viene confermata la prima ipotesi. E quindi a questa presa di posizione bisogna credere e attenersi. Si parla infatti del “persistere di comportamenti antisportivi” e “di fatti gravi avvenuti in particolare in queste ultime due settimane (giovane arbitro molestato fisicamente e insultato, altro giovane arbitro insultato in modo grave da allenatori e dirigenti, altro giovane arbitro colpito lo scorso sabato con un pugno da un giocatore, insultato e minacciato e senza voler dimenticare gli insulti rivolti a ispettori degli arbitri)”. Si denuncia quindi un problema sistemico, cioè accaduto più volte, in occasioni e situazioni diverse, e duraturo nel tempo. E allora, ripetiamo, se così stanno le cose, hanno fatto benissimo. Nessuno però si illuda che sarà sufficiente per estirpare un fenomeno a questo punto radicato: i giornalisti sportivi sul punto dovrebbero pretendere maggiori dettagli e spiegazioni. Di cosa stiamo veramente parlando? È qualcosa di nuovo?

 

La decisione invece di posticipare di 15 minuti le gare dei campionati dalla seconda alla quinta lega, “con l’auspicio che ciò contribuisca a sensibilizzare e far riflettere tutto il nostro movimento calcistico”, pare più populista che ragionevole. Il classico segnale inutile, a nostro avviso.

 

Detto questo l’ipocrisia con cui alcuni stanno commentando in queste ore la vicenda è un po' fuori luogo. Si strilla troppo, ammantandosi di una verginità irreale, in nome dei valori dello sport. Chi ha giocato a pallone o lo studia, lo sa.

 

Come sa benissimo che non è da oggi che si manda “affanculo” l’arbitro, o si parla in termini sgradevoli di sua madre e di sua sorella. Ciò avviene in tutte le categorie.

 

Così come non è da oggi che sul campo, tra ragazzi e tra professionisti, ci si apostrofa per innervosirsi, o intimidirsi, con termini non riferibili. Così come non è da oggi che come ci sono giocatori, allenatori e dirigenti testine di vitello, vi sono anche arbitri della stessa fattura: non trattasi di appartenenti a una razza aliena caduti dal cielo perché troppo pesanti.

 

Non è questione di educazione, o di disagio, o di altro: il gioco del calcio è anche questo, nella sua parte meno nobile. E per questo sono previste sanzioni regolamentari precise che vanno applicate con rigore. Perfino Massimo Busacca fu punito con tre turni di stop per aver mandato sempre in quel posto con il dito medio alzato, e umanamente non fece male, i tifosi che lo offendevano.

 

La differenza, dunque - e qui servirebbero le spiegazioni precise di cui si accennava poc’anzi - sta nel fatto se questi comportamenti, certamente non lodevoli ma atavici, sfociano in atti di violenza diffusi. Cioè in aggressioni e minacce ai direttori di gara, oppure in atteggiamenti da hooligans da parte di genitori, dirigenti e allenatori, o ancora in ragazzi picchiatori. Le mani, in qualunque contesto, vanno sempre tenute in tasca: anche solo tirare un pugno può provocare conseguenze tragiche, come purtroppo ci ha insegnato la cronaca. Ma allora stiamo parlando di qualcosa di diverso e di inaccettabile: che va combattuto, ieri come oggi. Sottolineiamo: inaccettabile e che va combattuto. E con la massima fermezza. Non soltanto con le regole del calcio, ma con quelle della giustizia.

 

Però anche qui: non puntiamo il dito frettolosamente senza disporre di dati certi, soprattutto contro le nuove generazioni, facendo frettolosamente di tutta un’erba un fascio. Di casi di arbitri costretti a chiudersi negli spogliatoi e a fuggire, di risse in campo e ai margini, è piena la storia, ahinoi. E ogni episodio è sempre un episodio di troppo. Ma i giovani e i genitori di ieri non si sono dimostrati migliori di quelli di oggi. Non ancora almeno.

 

Per questo è fondamentale capire se è qualcosa di diffuso, di nuovo oppure di episodico: mele marce o cestino infetto? Perché se trovasse conferma la prima ipotesi, siamo al di fuori del perimetro calcistico ed entriamo in quello sociale. Allora dovrebbe suonare il campanello d’allarme. Perché il calcio ancora una volta si dimostrerebbe come la più formidabile e attendibile spia per leggere i mutamenti sociali.

 

Occorre intendersi bene, molto bene, però. E per farlo vanno innanzitutto precisate due o tre cose. Il calcio non è uno sport. Non c’entra nulla con l’atletica, i tuffi, il tennis e via dicendo. È un gioco sportivo. Ed è tutto un altro discorso. Nel calcio, cioè, che piaccia o no, sono tollerati, se non incoraggiati, comportamenti tipici del giocatore: la scaltrezza, il bluff, l’intimidazione fisica e verbale. Le cattive maniere insomma. Quelle che nel galateo olimpico vengono bollati come atteggiamenti anti sportivi.


 

Se invece parliamo di altro, allora il calcio, essendo il più grande fenomeno popolare della storia moderna, va interpretato come una spugna sociale. Assorbe tutto. E quando c’è la partita, e si strizza, vien fuori il meglio e il peggio della società.

 

Lo vediamo in ogni cosa. Da come i giocatori dei diversi paesi toccano la palla. Da come le squadre delle diverse nazioni si schierano sul campo e interpretano la gara. Ma anche da aspetti più sottili: in una società forsennata come la nostra, il gioco è diventato velocissimo. Il campo è la cartina di tornasole di una comunità integrata o razzista. Ora che la tecnologia è esplosa nella nostra società, la ritroviamo anche sul terreno. Più una società è corrotta e violenta, più questo lo vedremo anche in partita.

 

La questione arbitrale vivrà con l’inizio della prossima stagione l’anno 0. L’introduzione della moviola in campo (della VAR, si comincia in Serie A) stravolgerà la figura dell’arbitro e di tutto quel che ne consegue. La tecnologia porterà del bene ma anche del male: sarà come sempre una questione di equilibrio. Ma di certo, in ambito professionistico, dovrebbero ridimensionarsi tre problemi di fondo. Il primo è che gli arbitri non potranno più decidere per errori pacchiani partite e tornei, come più volte accaduto in passato. Anche il problema della corruzione dei direttori di gara dovrebbe estinguersi. E infine gli arbitri stessi saranno finalmente protetti dai condizionamenti delle società più importanti (sudditanza psicologica) o degli organismi internazionali durante le principali competizioni: Champions, Mondiali ed Europei.

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