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09.07.2017 - 13:040

Le 'interrogazioni' di Armando Dadò: "A chi si può credere oggi?". L'editore riflette su giornalismo, società, linguaggio, informazione e politica, partendo dalla domanda di Pilato a Gesù: "Che cos'è la verità?"

L'editoriale della rivista 'Il Ceresio': "Le conseguenze del modo di informare e di comunicare, che non corrisponde alla realtà delle cose, finisce col creare una sorta di indifferenza un po’ su tutto. E quando è il virus dell’indifferenza a dominare la scena, subentra facilmente la rassegnazione. Lo diceva già don Abbondio: non si possono raddrizzare le gambe ai cani"

di Armando Dadò (editoriale pubblicato sull’ultimo numero della rivista ‘Il Ceresio’) *

Credo che mai nella storia siano circolati tanti messaggi come al giorno d’oggi. Quotidianamente siamo bombardati in tutte le direzioni. Da quanto capita nel nostro piccolo a quanto succede nel vasto mondo. Non solo ci arrivano notizie in gran quantità, ma su molti temi si possono seguire dibattiti che ci vengono proposti da tutte le reti televisive: dalle nostre ticinesi a centinaia di altri canali. Anche le elezioni sono condizionate da questi dibattiti: basti pensare a Donald Trump e Hillary Clinton negli Stati Uniti o a Macron e Marine Le Pen in Francia. Ma la domanda di fondo è sempre la stessa: a chi si può credere? Cosa si può credere?

La domanda di Pilato

Riflettendo su questi temi, ritorna costantemente alla mente la famosa domanda di Pilato a Gesù: «Che cos’è la verità?».
Nel nostro tempo non è che la verità goda di buona salute, tanto è vero che si parla addirittura di post-verità. Anziché la ricerca della verità, trionfa la ricerca della convenienza. Il più delle volte non si dice ciò che è vero ma ciò che conviene. Oppure se ne dice solo una parte, magari una piccola parte. È l’interesse a farla da padrone. L’interesse privato, l’interesse economico, politico, ideologico, di categoria.

Il libro di Morresi sul ruolo dei giornalisti

In occasione della presentazione del secondo volume dello studio di Enrico Morresi sul giornalismo ticinese, si è discusso del ruolo del giornalista come trasmettitore di informazioni vere, attendibili, complete. Beat Allenbach, uno dei relatori, ha accennato a un suo rapporto di anni fa, molto critico verso i giornalisti elvetici, troppo accomodanti nell’affrontare realtà che meriterebbero ben altra trattazione. Dovendo stendere lo stesso rapporto oggi, egli sarebbe più propenso ad assolvere i giornalisti, i quali nella maggior parte dei casi non fanno altro che eseguire gli ordini degli editori. Che raramente sono editori puri ma soggetti che svolgono altre attività e che perseguono interessi di altra natura, oppure hanno di mira solo il guadagno: tutto è buono purché raggiunga lo scopo.

Il caso della Russia e dell’Ucraina

Prendiamo qualche esempio. Se ascoltiamo le voci occidentali, l’immagine della Russia ne esce molto male e il potere sovietico è descritto come privo di scrupoli. Ma è proprio così? O è solo così? Il giornalista, storico e politico ginevrino Guy Mettan ha recentemente pubblicato, con introduzione di Franco Cardini, un libro dal titolo Russofobia – Mille anni di diffidenza, che è parecchio documentato e abbastanza interessante, con un ampio excursus storico. Guardiamo la vicenda dell’Ucraina: una parte di questo territorio non apparteneva storicamente alla Russia? E non sarebbe possibile trovare una soluzione che tenga conto della storia, della realtà economica e della volontà dei popoli? Sono giustificate le sanzioni imposte dagli Stati Uniti e fatte proprie bon gré mal gré dall’Europa?

L’eterno terribile dramma della Siria

Le immagini che ci vengono proposte oramai da anni sulla tragedia della Siria vanno oltre ogni limite: è mai possibile che non si riesca a porre fine a questa carneficina? Come si spiega che non solo le fazioni locali, ma anche le potenze che sono coinvolte – Russia, Iran, Turchia, Stati Uniti, Arabia Saudita e altri – non riescano o non vogliano, dopo sei anni, trovare una soluzione a questo spaventoso conflitto? Qualcuno riesce a capire di chi sono veramente le responsabilità?

L’Iran e gli imprenditori ticinesi

Quello che i nostri media ci dicono regolarmente sull’Iran corrisponde alla verità? Oppure è una verità parziale che ci viene proposta perché coincide con gli interessi del nostro mondo occidentale? Si tratta di una grande nazione che è interessante soprattutto per il petrolio. L’imperatore dei tempi andati, lo Scià di Persia, aveva stretto una forte alleanza con l’Occidente per l’estrazione del greggio e aveva soffocato le forze interne del Paese, che intendevano migliorare questi rapporti in favore delle popolazioni locali. Chi si ricorda di Mossadeq? Il resto è storia recente, con la rivoluzione di Khomeyni con quel che ne è seguito. Ma quale è la situazione oggi?
Per iniziativa della Camera di commercio, un gruppo di imprenditori ticinesi, guidati da Marco Passalia, si reca regolarmente in Iran e in altri Stati dell’Oriente per valutare le possibilità di scambi commerciali. Se chiedete loro che cosa hanno visto e quanto hanno potuto costatare, la loro opinione è abbastanza diversa da quanto ci viene solitamente proposto dai media.

Martin Lutero e le verità religiose

Lasciamo pure questi esempi che ci vengono proposti quotidianamente, portandoci lontano e trasferiamoci su un altro terreno, quello religioso. Come stanno veramente le cose con l’Islam? È una religione di guerra o di pace? Come riusciamo a farci un’opinione di autentica verità? E che dire di Martin Lutero per secoli additato come il colpevole della fine dell’unità religiosa della Chiesa d’Occidente e ora riabilitato? In occasione dei cinquecento anni della Riforma, si riconosce che la reazione protestante è avvenuta perché i vertici della Chiesa cattolica avevano in gran parte abbandonato la retta via. Ma, d’altro canto, oggi è papa Francesco a dire che la morte di Gesù è un fatto storico mentre la Risurrezione è un atto di fede.

Le opinioni degli economisti

In un mondo in continuo movimento, si tende facilmente ad affidarsi al parere degli economisti. Sembrerebbe infatti logico rimettersi a chi conosce la materia e ha le mani in pasta. Ma è lo stesso Tuor, un analista che si esprime con coraggiosa chiarezza, a ricordarci che «l’economia non è una scienza esatta, ma una somma di teorie spesso in contrasto l’una con l’altra». D’altronde, gli errori fatti da molti economisti in questi ultimi decenni non sono sotto gli occhi di tutti?

Il linguaggio e il senso della misura

Se c’è qualche cosa che si è modificato in questi ultimi tempi è il linguaggio. Non solo c’è stata un’accelerazione verso l’impoverimento e la decadenza ma si fa sempre più ricorso a parole straniere e a termini tecnici. Più nessun senso della misura. Non parliamo del buon gusto, relegato in ultima pagina e costantemente bastonato. Infinite volte sentiamo dire che un fatto «è storico». Certo, se vogliamo generalizzare tutto è storico ma così facendo sopprimiamo qualsiasi criterio di valutazione. Non parliamo poi di come vengono usati i verbi, avverbi e aggettivi: magnifico, bellissimo, eccelso, splendido, grandioso, ecc. Quante volte ci vengono proposti libri stupendi o film da non perdere assolutamente, che quando li leggiamo o li vediamo ci rendiamo conto che si tratta di cose più che modeste. Ad essere generosi.

Le conseguenze: indifferenza o rassegnazione

Le conseguenze del modo di informare e di comunicare, che non corrisponde alla realtà delle cose, finisce col creare una sorta di indifferenza un po’ su tutto. Poche persone sentono ancora il bisogno di reagire, sapendo ovviamente che il più delle volte troveranno commenti del tipo «Chi te lo fa fare?», «Cosa ti conviene?», «Cosa te ne viene in tasca?». Si crea insomma una mentalità che tende a spegnere gli ideali, a smorzare l’esigenza di reagire di fronte alla menzogna e all’ingiustizia. E quando è il virus dell’indifferenza a dominare la scena, subentra facilmente la rassegnazione: oramai le cose vanno così. Lo diceva già don Abbondio: non si possono raddrizzare le gambe ai cani.

La spinta alla lamentazione: il colpevole è sempre l’Altro

In un testo dal titolo ‘Vittimismo’, Massimo Recalcati, psicanalista e saggista di fama, affronta un’altra piaga abbastanza diffusa: quella del vittimismo. Questa categoria di persone, per la verità piuttosto folta, è fondamentalmente incapace di autocritica. «Ma dov’ero “io” quando accadeva tutto quello di cui oggi mi lamento? Al posto di questa domanda cruciale che lo inchioderebbe alle sue responsabilità, il vittimista preferisce sempre chiedersi quale è la colpa dell’Altro. Oppure a ripetersi più semplicemente, che “io non c’ero”. Se qualche cosa va storto, bisogna trovare un colpevole e bisogna che questo colpevole non coincida con noi stessi. Bisogna che sia sempre l’Altro in causa: il governo, il genitore, il partner, l’editore, il professore, il sistema».

Le domande del lettore

Il lettore che abbia avuto la cortesia e la pazienza di leggere fino in fondo questo editoriale potrebbe facilmente dire: ma con questi esempi, con questi episodi scelti qua e là, si direbbe quasi saltando di palo in frasca, con queste considerazioni, in definitiva, che cosa intendi dire? Certo il discorso meriterebbe di essere ampliato; qui si è fatto capo a qualche esempio, forse non sufficientemente significativo. Quello che si vorrebbe far capire è che – nonostante il mondo arruffato di oggi, nonostante il fatto che raramente si riesca ad avere le idee veramente chiare sui fatti locali o internazionali – la nostra singola responsabilità rimane intatta. È la responsabilità dell’uomo di fronte a ogni suo atto; l’esigenza di fare del proprio meglio per capire, ma soprattutto per agire nella ricerca della verità e della giustizia sociale.

* editore

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