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04.08.2017 - 10:210
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Parliamo di Festival, questo signore di 70 anni degno di stima, che non deve più motivare le sue ragioni e le sue decisioni... Basta con il chiacchiericcio, un po’ tribale, fatto di piccole invidie personali, di ristrettezze e chiusure mentali, di chi si

Nicoletta Barazzoni: "C'è un fermento culturale magmatico che purtroppo deve fare i conti con un sistema politico che non sempre parla la stessa lingua, e che a volte opera con logiche che si scontrano con una visione e un approccio molto meno quantificabile materialmente, di quanto lo possa essere una campagna elettorale"

di Nicoletta Barazzoni *

Sono al mio ottavo anno di frequentazione, con accredito stampa, al Festival del Film di Locarno, e a ogni edizione si sentono, più o meno, le stesse rivendicazioni, a cominciare dal dover ribadire, con una certa insistenza, l'importanza e il valore di questo evento culturale, che catalizza intorno a sé innumerevoli aspetti, declinati e traducibili in molti ambiti.

Un Festival come questo, che ha raggiunto il suo settantesimo anno di presenza e di vita, in una realtà come la nostra, che da un lato ha il complesso d'inferiorità numerica e identitaria nei confronti del resto della Svizzera e del mondo, e dall'altro deve tenere a bada le beghe di paese, (ma soprattutto i delicati equilibri di potere, in un assetto politico/istituzionale piuttosto compromesso, perché ci si conosce tutti e perché si hanno relazioni trasversali) non dovrebbe più avere  bisogno di giustificarsi.

Né tantomeno ha bisogno di dover dare prova della sua esistenza e della sua capacità di portare contenuti validi, che poi inevitabilmente si ripercuotono, direttamente e indirettamente, sul Paese che ne beneficia in termini economici e di d'immagine. E questo perché il solo fatto di esistere con intelligenza propositiva, (fronteggiando dignitosamente altri Festival molto più potenti), denota grandi capacità e scelte organizzative, che sono motivi validi per non dover sottolineare l'importanza del  Festival.

Così come i suoi settant'anni non dovrebbero "costringerlo" a ripercorrere il suo vissuto per ottenere l'approvazione popolare, dal momento che il Festival si è costruito negli anni un riconoscimento internazionale. Il Festival è entrato di diritto nella storia del nostro Paese, ha preso possesso di uno spazio senza il quale non saremmo conosciuti ed entrati nel circuito della cinematografia mondiale. E già solo questo dovrebbe bastare per porre fine a quel chiacchiericcio, un po’ tribale, fatto di piccole invidie personali, di ristrettezze e chiusure mentali, di chi si lamenta e guarda al passato perché è la sola esperienza che conosce, e perché, aggrappandosi al ricordo di com'era verde la sua valle, non gli vengono richiesti grandi sforzi intellettuali.

In questo Paese c'è un potenziale incredibile di uomini e donne, che, pubblicamente o nell'anonimato, creano e lavorano con uno scibile umano e capacità creative che non hanno nulla da invidiare a nessuno, affinché questo lembo di terra esprima i suoi talenti e possa così sentirsi all'altezza di altre realtà.

C'è un fermento culturale magmatico che purtroppo deve fare i conti con un sistema politico che non sempre parla la stessa lingua, e che a volte opera con logiche che si scontrano con una visione e un approccio molto meno quantificabile materialmente, di quanto lo possa essere una campagna elettorale.

Ma diversità tra sistema politico e sistema dell'industria culturale in senso ampio a parte, al punto in cui si trova, il Festival non dovrebbe più motivare le sue ragioni e le sue decisioni, ma al contrario dovrebbe essere un punto di forza contrattuale (e anagrafico) indiscutibile. Perché non c'è nulla di più convincente, autorevole e degno di stima di un signore di settant'anni che ha qualche cosa di arricchente da proporre, si è costruito negli anni una posizione, ha lavorato per essere ciò che rappresenta ed è culturalmente di livello...

* giornalista
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