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29.09.2017 - 17:500
Aggiornamento: 13.07.2018 - 15:11

Sulla crisi del Lugano. Per questa squadra è troppo difficile vincere e troppo facile perdere. Non c'è nulla di compromesso ma ora serve una svolta (anche per salvare la panchina di Tami)

L'ANALISI - Il calcio non è la ginnastica dove una giuria valuta la prestazione e assegna la vittoria. A questo gioco vince chi fa un goal in più o ne prende uno in mano. Le squadre che giocano bene ma perdono, non sono buone squadre ma squadre sbagliate

di Andrea Leoni


Pierre Tami è una persona perbene, seria e preparata. È un allenatore che crede che le vittorie si costruiscono attraverso il gioco, esattamente come si “costruiscono” i calciatori: insegnando loro innanzitutto a lavorare con la palla, a giocare a calcio. È la mentalità di un insegnante quale lui è.

 

Per applicare questo metodo, però, occorrono tranquillità, pazienza e tempo. Tre fattori che purtroppo la stagione ti nega, soprattutto quando si gioca ogni tre giorni e la rosa non pare abbastanza attrezzata e profonda per sostenere questo tipo di calendario. E allora solo giocatori sopra la media, capaci di risolvere le partite al di là del bene e del male, buoni risultati e la fortuna, possono ritagliarti quegli spazi di ossigeno in grado di farti guadagnare un vantaggio rispetto agli elementi indispensabili per costruire questo tipo di progetto tecnico.

 

Il Lugano ieri ha giocato una partita insufficiente e preoccupante. Il buon primo tempo dei bianconeri contro lo Steaua di Bucarest, non è un elemento positivo o consolatorio. È al contrario un dato sinistro, un’aggravante, nel giudizio complessivo sulla prestazione. Non ci si può dissolvere, scollegandosi completamente dalla gara, come accaduto ieri tra un tempo e l’altro. E soprattutto non si può rimanere passivi, quasi come intrappolati in una ragnatela depressiva, quando la marea avversaria monta minuto dopo minuto, annunciando i goal, che poi puntualmente arrivano come una sentenza già scritta e dunque inevitabile. Ha ragione chi sostiene che una squadra deve avere due o tre calciatori capaci di ribellarsi a queste pieghe della partita, trascinando i compagni verso una qualche forma di resistenza attiva. Ma è soprattutto la panchina che deve preoccuparsi che non si stacchi la spina e se si stacca affrettarsi a ricollegarla in ogni modo.

 

L’impressione è che per il Lugano sia troppo difficile vincere e troppo facile perdere. È una squadra senza quelle sfumature indispensabili per corazzarsi durante i momenti di difficoltà. Saper pareggiare, ad esempio. La squadra sembra confusa, quindi fragile, timorosa e impotente quando soffia un vento avverso. Ma ciò che è peggio pare avvitarsi sulla sua crisi di risultati e sui suoi difetti strutturali, sia di rosa, che di gioco, che di personalità. Questo è un pericolo enorme, che ha mietuto vittime (anche eccellenti) in tutta Europa, tra le squadre che oltre al campionato giocano la coppa del giovedì. Spetta allo staff tecnico, innanzitutto, trovare la strada per allontanarsi da questa iattura.

 

In momenti come questi bisogna ripartire dalle cose semplici e concrete. La conquista dei punti in campionato come focus, per cominciare. La squadra deve ritrovare fiducia e sicurezza. E questo, oltre che attraverso i risultati, solitamente lo si ottiene con la riscoperta di una solidità difensiva e di un equilibrio complessivo in grado di darti la sensazione che, capiti quel capiti, non sbanderai malamente. Vanno accantonati, almeno momentaneamente, i progetti di gioco troppo articolati e dispendiosi e soprattutto, a malincuore, l’impegno in Europa League. Servono scelte tattiche e tecniche chiare e senza equivoci o compromessi. Gli alibi - giochiamo bene, la stanchezza, la sfortuna - sono frutti nocivi di una malapianta che va estirpata alla radice prima che diventi soffocante. Il calcio non è la ginnastica dove una giuria valuta la prestazione e assegna la vittoria. A questo gioco vince chi fa un goal in più o ne prende uno in mano. Le squadre che giocano bene ma perdono, non sono buone squadre ma squadre sbagliate.

 

L’augurio sincero è che Pierre Tami, il suo staff, i calciatori e la società, sappiano riprendere il filo del discorso. Non c’è ancora nulla di compromesso ma bisogna invertire la rotta con decisione. Un progetto tecnico che si interrompe prima del tempo, come rischia di essere questo, è sempre un fallimento e un ulteriore rischio che si va a sommare a quelli esistenti, che non sono pochi ne poco gravosi. Il crocevia è certamente la partita di domenica a Zurigo, che cade prima di una sosta tradizionalmente di sventura per gli allenatori a rischio. Un motivo in più per reagire.

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