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15.11.2017 - 18:240
Aggiornamento: 13.07.2018 - 15:11

Il cuore, da tifoso azzurro, sanguina di incredulità. Il cervello no. L'eliminazione dell'Italia dal prossimo Mondiale era scritta. Colpa della Federazione che non ha cacciato il CT Giampiero Ventura dopo la follia tattica del Bernabeu. Ma la crisi ha rag

L'ANALISI - Ora è il tempo dei processi. Si faranno tanti discorsi, conditi da luccicanti buoni propositi da vendere all’opinione pubblica, ma alla fine cambierà poco o nulla. Per fare la rivoluzione servono i rivoluzionari o i soldi: l’Italia non ha né l'una e né l'altra cosa. Quel poco che si può fare però va fatto

di Andrea Leoni


Il cuore, da tifoso, sanguina di incredulità. Il cervello, da critico calcistico, no. Gli indizi (ben più di tre, già una prova) che l’Italia non avrebbe partecipato al prossimo Mondiale, purtroppo c’erano tutti e solo la speranza, e la fortuna, potevano sostenere l’idea irrazionale che la strada verso il precipizio potesse essere deviata all’ultimo.

 

L’Italia non è stata eliminata dalla partecipazione al Campionato del Mondo 2018, lunedì 13 novembre dalla Svezia. Ma il 2 settembre, nel momento stesso in cui il commissario tecnico Giampiero Ventura, ha ufficializzato la formazione che sarebbe stata umiliata da lì a poco dalla Spagna al Santiago Bernabeu. Una formazione - quel 4-2-4 - che doveva essere letta dalla Federazione come un chiaro attestato di incapacità da parte del CT. Una follia tattica, talmente assurda, presuntuosa, suicidale e lapalissiana, soprattutto, che avrebbe dovuto indurre la Federazione, ragionevolmente e subito dopo la partita, a togliere a Ventura non solo la panchina azzurra ma anche il patentino. Metti pure che una tale incoscienza calcistica, non te la potevi aspettare neppure scontando l’errore di aver affidato la panchina azzurra all’ex mister di Pisa, Bari e Torino; però, una volta accaduto, bisognava porvi rimedio subito.

 

Invece la Federcalcio ha preferito tirare a campare confermando il tecnico. Ma dopo quella partita nella casa del Real Madrid si è squassato tutto. E purtroppo le liti tra una parte del gruppo e l’allenatore, esplose nelle ultime due settimane, sono state solo l’epilogo più ovvio del tragico immobilismo federale. Così come i fischi, indegni, durante l’inno svedese, sono stati la rappresentazione plastica non solo di un atto di inciviltà, ma di un ambiente spaventato, che sapeva che buttava malissimo, tanto da dover ricorrere anche all’espediente più basso per cercare di mettere in soggezione il modesto avversario nel catino di San Siro. In una situazione normale, l’Italia quattro volte campione del Mondo, e i suoi tifosi, non avrebbero mai avuto una tale attitudine nei confronti della Svezia.

 

Doveva per forza finire così e così è finita. Ce lo siamo ampiamente meritati di non andare in Russia. La sfortuna, come la fortuna, essendo il calcio un gioco sportivo più che uno sport giocato, è una componente alla quale solo i perdenti si aggrappano per consolarsi.

 

Doveva finire così, ma questo nulla toglie all’enormità di ciò che è accaduto: per molti di noi tifosi azzurri sarà la prima volta da quando siamo nati che non vedremo la nostra squadra al Mondiale (non succedeva dal 1958). Indubbiamente uno shock.

 

Ma le avvisaglie del disastro, purtroppo, non rumoreggiavano solo nel presente. Dopo aver vinto il Mondiale nel 2006, infatti, l’Italia è uscita due volte al primo turno nelle successive edizioni, e questa volta non si è neppure qualificata.

 

Soltanto Antonio Conte - che è uno dei pochi allenatori a incidere sui risultati quasi come un top player in campo - è riuscito a mascherare l’entità della crisi. All’ultimo Europeo, con una squadra tecnicamente più debole dell’attuale (non so se ricordate Giaccherini, Zaza e Pellè), l’attuale tecnico del Chelsea è riuscito a portare la squadra in semifinale, essendo poi eliminato, soltanto ai rigori, da quella che attualmente è la nazionale più forte del Mondo: la Germania.

 

Ora è il tempo dei processi. Si faranno tanti discorsi, conditi da luccicanti buoni propositi da vendere all’opinione pubblica, ma alla fine cambierà poco o nulla. Per fare la rivoluzione servono i rivoluzionari o i soldi:  l’Italia non ha né l'una e né l'altra cosa.

 

La rosa di giocatori che ha fallito la qualificazione, aveva senz’altro le qualità per accedere alla fase finale della competizione. Non è vero che i giocatori italiani sono talmente scarsi da non poter battere la Svezia, senza neppure segnargli un gol in due partite. Ma certo il livello generale del calcio italiano - non solo dal punto di vista tecnico, ma anche economico e infrastrutturale - è quello che è, da parecchi anni ormai. Inevitabile che la Nazionale ne risenta.

 

La nuova generazione di calciatori che dovrà guidare il prossimo ciclo azzurro è ancora troppo acerba per poter essere giudicata. Non sappiamo ancora con chi abbiamo a che fare, a livello di talento. Certo è che nelle squadre di vertice, nei ruoli chiave, in Italia come all’estero, sono pochi gli italiani a giocare titolari. E tra quei pochi, diversi, sono a fine carriera.

 

Detto questo quel poco che si può fare, va fatto. E come sempre nel calcio, nei momenti di crisi, bisogna ricominciare dalle cose semplici. Mettere alla guida della nazionale un allenatore che abbia vinto qualcosa e che abbia una caratura internazionale, è una di queste.

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