Qui ci limitiamo a riportare le conclusioni del pensiero di Fazioli, dove l’ex volto dell’informazione di Comano affronta il nodo dell’iniziativa che propone l'abolizione del canone, rimandando i lettori al testo integrale sull’edizione odierna del CdT.
“L’iniziativa No Billag, se accettata - seri Fazioli - sarebbe per la Svizzera italiana un disastro. Intendiamoci, non credo che la RSI morirebbe (spero che la SSR e la Confederazione abbiano un piano B per salvare un patrimonio ineludibile) ma certo la Radiotelevisione svizzera di lingua italiana ne uscirebbe strozzata, atrofizzata, amputata. E noi, minoranza sostanziale di una nazione, perderemmo la forza di una voce, il respiro di un’anima civile. Vale, questo, anche per le emittenti private svizzero-italiane, che sarebbero colpite: ho sempre creduto nella complementarità pubblico-privato, e del resto un buon servizio privato è servizio pubblico. Ma la RSI ha un ruolo a 360 gradi, ha compiti di narrazione istituzionale e culturale, di equidistanza alta, di coesione sociale”.
“Direte a questo punto: - argomenta ancora il giornalista - ha appena detto che al RSI è la «sua» storia, ci ha lavorato 45 anni e riceve la pensione, volete che non dica queste cose? Certo, le dico perché voglio bene alla RSI. Ma affermo anche senza esitazioni che, prescindendo da ciò, togliere ossigeno alla realtà radiotelevisiva svizzero-italiana significherebbe arrochire una voce fino a farla diventar flebile, umiliare una memoria, spegnere una storia”.
“Poi, naturalmente - la conclusione di Fazioli - già si sa che, quando l’iniziativa fosse, come spero, respinta, la SSR tutta dovrà fare i conti con lo spirito di una riforma profonda, di un riequilibrio di compiti e priorità. I tempi sono mutati, la fruizione mediatica ha subito una rivoluzione, una frammentazione tecnologica e comportamentale, il mercato è mutato radicalmente, la certezza finanziaria granitica di una volta non sarà mai più la stessa. Ma ora la speranza e la ragione mi fanno dire che la cara dimora dove misi piede per la prima volta 50 anni fa deve cominciare con urgenza a rimanere in piedi, per il bene di tutta la nostra comunità: la cui forza culturale, sociale e identitaria sta proprio anche sul ramo che qualcuno, pur standoci ben seduto, vorrebbe sventatamente segare”.