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11.12.2013 - 15:020

Consiglio Nazionale boccia iniziativa sui salari minimi

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In Svizzera non è necessario introdurre un salario minimo. È quanto sostiene il Consiglio nazionale che, con 128 voti contro 59 e 1 astenuto, ha bocciato, come già gli Stati, l'iniziativa popolare in tal senso dell'Unione sindacale svizzera (USS). Il testo chiede di promuovere convenzioni collettive di lavoro (CCL) e, dove non fosse possibile, di introdurre uno stipendio minimo di 22 franchi l'ora, pari a una remunerazione mensile di 4'000 franchi per una settimana lavorativa di 42 ore.

Prima della votazione finale ha preso la parola il consigliere federale Johann Schneider-Ammann: "gli obiettivi degli iniziativisti sono lodevoli, combattere la povertà è importane" e il governo è attivo in questo ambito, ha affermato. Uno dei modi di lottare contro questi problemi sociali è garantire istruzione per i più svantaggiati.

"Fissare arbitrariamente un salario minimo non è invece una soluzione efficace, per questo motivo è necessario respingere l'iniziativa", ha aggiunto il ministro. Inoltre, la Svizzera possiede già uno dei sistemi di integrazione lavorativa migliori in assoluto, ha sostenuto. Sulla stessa linea anche la Commissione, che aveva proposto di respingere l'iniziativa con 18 voti contro 7.

Durante la prima settimana di sessione al Consiglio nazionale non erano bastate otto ore per concludere l'esame dell'iniziativa. Sull'arco di due giorni oltre 70 deputati avevano preso la parola. Anche oggi, domande al consigliere federale e ai membri della Commissione sono state poste con un certo trasporto da esponenti del campo rosso-verde.

Nel corso del dibattito si è evidenziata la più classica delle polarizzazioni politiche: la sinistra ha difeso l'iniziativa sostenendo che è un ottimo mezzo per lottare contro i cosiddetti "working poor".

Per molti deputati è indegno della Svizzera che ci siano persone impiegate a tempo pieno, ma che non hanno sufficienti risorse per mantenere la famiglia. A loro avviso il testo dell'USS permetterebbe inoltre di combattere efficacemente il dumping salariale nelle zone di confine.

I partiti borghesi hanno invece bocciato il testo ritenendolo controproducente e dannoso per l'economia. Chi oggi guadagna più di 4000 franchi potrebbe infatti vedersi ritoccato il salario verso il basso, ed esiste il rischio concreto di delocalizzazione: molte PMI, tra cui aziende agricole, non avrebbero infatti i mezzi per versare salari così elevati. Ciò è vero soprattutto nelle zone di confine dove molti posti di lavoro potrebbero semplicemente venire cancellati.

L'iniziativa popolare "per la protezione di salari equi" è stata depositata nel gennaio del 2012 con 112'301 firme valide. Il testo era già stato bocciato in settembre dal Consiglio degli Stati, con 31 voti contro 13.

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