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28.05.2016 - 15:250
Aggiornamento: 13.07.2018 - 15:11

Verso Zurigo-Lugano, Berardi: "Basta violenza negli stadi, prima che sia troppo tardi. Ora serve un "modello svizzero" contro il tifo violento"

L'ex deputato del PPD riflette sul fenomeno dell'hooliganismo e sui vari piani messi in atto dai Governi di ieri e di oggi contrastarlo: da Thatcher a Tsipras

Giovanni Berardi*

Mancano poche ore al fischio d’inizio della finale di Coppa Svizzera. Zurigo e Lugano si confronteranno nello sport più seguito in quella che dovrebbe essere la festa per antonomasia del calcio svizzero. Però molte persone che si recheranno domani al Letzigrund non lo faranno a cuor leggero e serenamente. Soprattutto dopo i ripetuti episodi di violenza ad opera di frange estreme di sedicenti tifosi di calcio.

Ma è normale che un paio di centinaia di violenti tengano in scacco migliaia di persone civili e un intero centro cittadino come avvenuto a Zurigo in alcune recenti occasioni? Senza contare che ormai siamo vicini anche all’insicurezza più totale addirittura di giocatori e dirigenti, come pure degli addetti alla sicurezza e delle forze dell’ordine costretti a mettere a repentaglio la propria incolumità per… una gara sportiva.

Qualcosa deve cambiare e presto perché altrimenti il rischio di degenerazioni è altissimo. È una sfida che coinvolge in primis l’ambito calcistico, ovvero federazione e club. E, naturalmente, anche le autorità politiche.

Quando si parla del rapporto fra sport, politica e violenza dentro e fuori gli stadi a tutti viene in mente il cosiddetto “modello inglese” nato dopo la tragedia dell’Heysel del 1985, quando per assistere alla tristissima partita Juventus-Liverpool, perirono 39 persone schiacciate da una calca provocata da cariche assassine di tifosi inglesi. Avviato negli ultimi anni ’80 da Margaret Thatcher, la Lady di ferro conservatrice inglese, il “modello inglese” fu proseguito dai successivi Governi, anche laburisti. Inizialmente prevedeva quasi esclusivamente misure altamente repressive poi completate da misure strutturali di ammodernamento degli stadi, istituite anche in seguito al successivo disastro di Hillsborough a Sheffield in cui nel 1989 perirono, soffocati, ben 96 tifosi accalcati in maniera disumana in un settore dello stadio.

Da allora posti seduti per tutti gli spettatori, carta d’identità obbligatoria per accedere agli stadi, schedatura dei tifosi violenti, obbligo di firma in commissariato per gli hooligans diffidati, giro di vite nella vendita di alcolici e numero verde per segnalare persone sospette di tifo violento sono diventate la regola in Inghilterra.

Il modello è anche controverso proprio per le misure liberticide adottate, ma un certo risultato, almeno negli stadi, l’ha ottenuto, anche se determinati problemi si sono spostati altrove (campi minori, risse nei pub, ecc.).

Poi, ultimamente, è emerso il “modello greco” con la sospensione temporanea del campionato di calcio, voluta da Tsipras in seguito ai continui disordini provocati da ultras greci, fra i più esagitati d’Europa.

Anche in Italia, c’è un forte dibattito sul tema della violenza negli stadi. Nella vicina penisola, si assiste anche a una certa politicizzazione degli ultrà più estremi. Sempre più spesso si sentono cori razzisti, rivolti addirittura, come nel caso di Varese, a singoli giocatori… della propria squadra. Che dire poi del tifo violento purtroppo in auge in diversi paesi dell’ex blocco sovietico, ma di cui si sente poco parlare?

La situazione sembra degenerare e di vere soluzioni, almeno per ora, non c’è nemmeno l’ombra. E se, almeno da noi, si puntasse su un “modello svizzero” da studiare e applicare in modo efficiente? È necessario l’impegno di tutti. In fondo la partita si gioca fra gli attori stessi (club e federazione) e le autorità politiche. Chi tirerà il calcio di inizio?

*Agricoltore, già deputato del PPD Giovanni Berardi 

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