Arlind
12.12.2013 - 07:530
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

L'avvocato di Arlind: “Spero ancora possano rivedere la decisione di espulsione”

“Per giudice e tutoria, stava meglio con la madre qui in Svizzera, ma le autorità amministrative hanno deciso che deve prima ripartire e fare poi regolare domanda di permesso dal Kosovo”, spiega Marco Garbani, ultimo legale del ragazzo

LUGANO – La situazione in cui si trova Arlind Lokaj, che da tre anni cerca di ottenere il ricongiungimento familiare con la madre, è il “tipico caso in cui le autorità civili (pretore e commissione tutoria) decidono in maniera diversa da quella amministrativa (Ufficio della migrazione)”, spiega Marco Garbani, l’ultimo avvocato che si è occupato del caso del ragazzo.

Infatti, aggiunge Garbani: “Giudice e commissione tutoria hanno stabilito che Arlind stava meglio con la madre qui in Svizzera, ma le autorità amministrative dal canto loro, anche se non negano la conclusione della civile, hanno deciso che deve prima ripartire e fare poi regolare domanda di permesso dal Kosovo”.

Il problema, come aveva spiegato Arlind nell’intervista di martedì e come conferma ora il suo ultimo legale, è quindi che il ragazzo e la sorella (che nel frattempo ha già dovuto abbandonare la Svizzera avendo raggiunto la maggiore età) non hanno seguito la procedura corretta. “Hanno fatto richiesta di ricongiungimento quando i due ragazzi erano già qui con un visto turistico, avrebbero invece dovuto avviare prima le pratiche e partire una volta ottenuto il permesso”.

Per quanto riguarda il ‘mancato iter’ però, seguire quello corretto sarebbe stato impossibile. Il ragazzo e la sorella hanno scoperto infatti solo una volta arrivati in Svizzera per passare quindici giorni di vacanza con la madre, che il padre rinunciava all’affidamento e quindi non avevano più una casa in cui tornare. “Le autorità amministrative però credono poco a queste storie, di cui si è spesso abusato in passato. Mentre il pretore è giunto alla conclusione che, per il benessere dei figli, era meglio fossero seguiti dalla madre in Svizzera che non dal padre, che aveva chiaramente dimostrato di non volersene più occupare. Purtroppo è una situazione di mancato dialogo fra le istituzioni”.

Garbani, a cui il caso è stato sottoposto dopo che le autorità civili avevano deciso che per il bene dei ragazzi era meglio restare in Svizzera con la madre, racconta di aver quindi chiesto alle autorità, data la situazione, se non era il caso di fare un’eccezione trattandosi di un minorenne ed evitare il ritorno in patria. La risposta però è rimasta invariata: il ragazzo deve partire e fare domanda dall’estero. Dopo quasi due anni, a un certo punto il Tribunale amministrativo ha deciso di negare il permesso e l’ammissione provvisoria. L’ufficio della migrazione ha perciò posto il termine di partenza, fissato appunto per il 15 di dicembre.

“L’Ufficio della migrazione - dice - sta quindi solo applicando una sentenza del Tribunale amministrativo che, anche se poco umana, è di per sé giuridicamente corretta. Come giuridicamente corretta è anche la fissazione del termine da parte della migrazione che, per quanto severa, non fa una grinza. Ma potrebbero sempre modificarlo e spostarlo a giugno permettendo quantomeno al ragazzo di finire l’anno scolastico o di restare qui fino al compimento della maggiore età”.

Di fronte alla decisione di negare il ricongiungimento, spiega ancora Garbani, restava la via del ricorso al Tribunale federale, ma “non hanno voluto farlo. Il mio mandato si è quindi concluso e quando ho scritto alla madre e al ragazzo per certificarglielo, ho comunque ripetuto loro che a mio avviso era consigliabile tentare il ricorso piuttosto che incominciare ora la procedura ordinaria”.

Infatti, Arlind è ormai 17enne e manca meno di un anno alla maggiore età, i tempi stringono, e perché non provare allora? “È vero che il ricorso sarebbe stato giocarsi il tutto per tutto - spiega l'avvocato -. Se fosse andato male non ci sarebbero state altre possibilità, ma continuo a credere fosse la soluzione migliore. Credo che qualcuno abbia consigliato alla madre di fare così. Dato che Arlind è ancora qui però, la procedura ordinaria non è stata avviata e se lui o la madre non hanno ricevuto una qualche assicurazione da parte delle autorità, io mi sento di dire che non riceverà il permesso per poter tornare a vivere in Svizzera”.

Il ragazzo però una volta in Kosovo, sembra ormai questo il suo destino, sarebbe un minore solo, senza nessuno che si occupi di lui. “È un aspetto molto importante, proprio perché, appunto, Arlind è ancora minorenne - sottolinea Garbani -. Questo porta a due cose: o c’è la certezza che qualcuno si occupi di lui in patria oppure lo devono fare le autorità che lo mandano via. Ciò vuol dire che, se si dovesse arrivare all’espatrio forzato, la migrazione non può semplicemente caricarlo sul primo aereo, ma è tenuta, in ragione della convenzione ONU sui diritti del fanciullo, ad assicurarsi che ci sia un adulto che se ne prenda cura o che se ne faccia carico un istituto. È una prassi già successa più volte, anche per questo dico che converrebbe aspettare che sia maggiorenne, in fondo conviene pure alle autorità che si eviterebbero la ‘rogna’ di dover organizzare e accertare un sostegno in patria”.

Sotto il profilo giuridico non credo che daranno il permesso al ragazzo, prosegue l'avvocato, "ma continuo ad augurarmi che l’autorità riveda la sua decisione e lo lasci qui, quantomeno, fino a giugno o ai diciotto anni. Sulla scorta di un ordine di partenza poi, non vedo ricorsi possibili, a meno di una domanda di riesame inoltrata perché nel mentre è avvenuto qualche cambiamento importante nella situazione di Arlind. Ma da quello che so, non seguo più il caso ormai da tre mesi, così non è”.

“Purtroppo – aggiunge infine Garbani – è una storia triste: Arlind sembra condividere lo stesso destino della sorella che poco più di un anno fa ha dovuto lasciare la Svizzera. Sono davvero dispiaciuto, da come li ho conosciuti, posso dire che mi sono sembrate brave persone e il ragazzo meriterebbe davvero una possibilità”.

IB

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