Arlind
12.04.2014 - 08:360
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Caso Arlind, parla il portavoce degli 'Amici': "Espellerlo è un insulto alla società. Che provino a mettersi nei suoi panni!"

Miguel Vazquez, uno dei ragazzi che si sono mobilitati in favore di Lokaj: “A chi difende l’espulsione al grido di ‘pensiamo ai giovani svizzeri’, vorrei ricordare che Arlind è nato in Ticino"

GIUBIASCO – Una decisione “ingiusta, che non prende in considerazione i principi morali ed etici delle persone. Burocratica, che non tiene conto che la società è composta da persone, non da macchine”. Sono alcune fra le parole usate da Miguel Vazquez, uno degli ‘Amici di Arlind’, il gruppo di ragazzi che si è mobilitato in favore di Lokaj, per commentare la decisione del Consiglio di Stato di non concedere il caso di rigore al 17enne di origini kosovare.

Certezze non ce n’erano, ma la ‘sentenza’ del Governo ha avuto comunque l’effetto di un fulmine a ciel sereno. “Certo, non avevamo nessun motivo per poter sperare in bene – racconta Vazquez –, ma allo stesso tempo nemmeno per temere il peggio. Vedendo che gli era stato dato più tempo, anche noi abbiamo pensato di poterci aspettare qualcosa di più, ma alla fine così non è stato. E Arlind ha sicuramente cominciato a crederci un po’. Mettendosi nei suoi panni, si può immaginare quanto adesso possa stare male”.

E sulla decisione aggiunge: “Non si possono considerare le persone come numeri. Si dovrebbe valutare caso per caso. Si concede di rimanere a persone che non meriterebbero nemmeno una briciola, mentre Arlind, che è il tipo di ragazzo che darebbe via il suo ultimo pezzo di pane ad un altro, viene mandato via così, senza nemmeno considerare che altre possibilità ci sono. Ha solo 17 anni e verrà mandato via da una madre che non ha potuto vedere per tanti anni e che ora ha finalmente ritrovato. Lo si costringe a sparire per la seconda volta. Sono senza parole. Trovo sia veramente un insulto alla società e alle persone”.

Fin dalla sua prima salita alla ribalta la vicenda di Arlind ha fatto molto discutere, dividendo profondamente gli animi. Divisione che con la decisione presa ieri dal Consiglio di Stato sembra ancora più netta. Due le fazioni insomma: quanti si indignano e si schierano in favore del ragazzo e quanti invece sostengono a spada tratta la posizione di autorità e Governo. Insomma, checché se ne dica della particolarità e della delicatezza del caso, la legge è uguale per tutti.

“Io davvero non riesco a capire chi trova la decisione di espulsione corretta – commenta Vazquez –. Vorrei che provassero a mettersi nei panni di Arlind, ma forse non ci riescono perché solo così si può spiegare la loro posizione. Come si può ritenere giusto cacciare un ragazzo di 17 anni che dopo un’infanzia terribile, fatta anche di maltrattamenti, ritrova finalmente la madre e dopo quattro anni viene cacciato per una questione di burocrazia, senza aver fatto assolutamente nulla di male?” 

La questione burocratica, il cavillo è nella richiesta di ricongiungimento considerata tardiva, presentata cioè quando Arlind si trovava già in Svizzera e non prima, come vuole la prassi (vedi articoli allegati). E su questo punto Vazquez ci tiene a fare una considerazione: “Parlano di ricongiungimento tardivo. E quello che io mi chiedo è: ma esiste veramente un limite di tempo per riunire un legame, quello di sangue, che in realtà esiste da sempre, dalla nascita alla morte? Non può esistere, è impossibile. Soprattutto tra madre e figlio”

Il caso di Arlind viene presentato come uno di quelli per cui sarebbe necessaria la proverbiale eccezione alla regola, che però non tutti ritengono giusto concedere. Il dubbio, il timore che sorge è: se si fa questa eccezione per Arlind, non bisognerà poi farla anche per tutti gli altri?

E anche su questo punto Vazquez ha le idee molto chiare: la risposta è analizzare caso per caso. “Magari per altre situazioni potrei essere anche io per l’espulsione di qualcuno. Ma qui stiamo parlando di un ragazzo che, tralasciando la sua difficile storia, è qui da quattro anni ed è integrato e che non ha nessuna intenzione, come alcuni temono, di rimanere per farsi mantenere. Anzi, Arlind al momento non può lavorare per il solo motivo che non ha un permesso, perché il lavoro l’avrebbe: molti datori gli hanno promesso un posto non appena avesse avuto le carte in regola. Non ha quindi nessun bisogno di essere mantenuto dalla popolazione svizzera, a loro non costerebbe nulla”.

Ma la critica, il commento che più non va giù a Vazquez è un’altro: “Ho trovato in internet molte persone che difendono la decisione delle autorità o che accusano chi sostiene Arlind al grido di ‘pensiamo piuttosto ai giovani svizzeri’. Una cosa vorrei ricordare loro: Arlind è nato in Ticino, a Locarno. Non è quindi uno dei nostri giovani? Mi sembra che stia proprio venendo a mancare il sentimento della società nella popolazione odierna. I ticinesi sono gli stessi che hanno aiutato molti cileni in fuga arrivati qui clandestinamente accogliendoli nelle loro case pur sapendo fosse illegale e che sarebbero anche potuti finire nei guai per questo. E ora, nello stesso Ticino, c’è gente contenta che un ragazzo di 17 anni debba andarsene? Di fronte a queste reazioni io non ho davvero parole.”

“Anche per questo – conclude ricordando il corteo organizzato per martedì prossimo – noi cerchiamo di mantenere in vita una speranza che, dopo la decisione del Governo, è ormai sempre più ridotta. Soprattutto ci resta la speranza di poter cambiare il modo di pensare di questa società immorale. Se non per Arlind, per cui continueremo comunque a lottare sperando trovi un modo per restare, almeno per evitare che accadano altri casi simili. E il nostro augurio va quindi a Yasin, che almeno lui riesca a restare”

IB

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