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08.01.2017 - 09:440
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Quattro giornalisti del Caffè a processo dopo la denuncia della Clinica Sant'Anna. Clamorosa protesta del domenicale che esce con la prima pagina bianca

Il procuratore pubblico Antonio Perugini, dopo la denuncia della Clinica, ha deciso di procedere nei confronti del direttore responsabile, del vice direttore, del capo redattore e di una giornalista per diffamazione e concorrenza sleale

LOCARNO - Una prima pagina di protesta a favore della libertà di stampa. È quella pubblicata stamane dal Caffè a seguito della decisione della Magistratura di processare quattro giornalisti della testata. Secondo il procuratore pubblico Antonio Perugini, infatti, sul caso dell'errore medico alla Clinica Sant'Anna, il domenicale con i suoi numerosi servizi ha prodotto un "accanimento giornalistico" tale da propiziare una "concorrenza sleale" nei confronti dell'attività della struttura privata. 
 
L'iniziativa della Procura parte da una denuncia della Clinica. Scrive il Caffè: "Denuncia ad agosto, interrogatori tra fine ottobre e inizio dicembre, chiusura dell’inchiesta prima di Natale. E in tempi brevissimi la magistratura ha comunicato due settimane fa al Caffè di essere intenzionata a portare in aula penale, accusandoli di diffamazione e concorrenza sleale - come richiesto dalla querela della clinica Sant’Anna - quattro giornalisti della testata, per i servizi pubblicati sulla vicenda della struttura sanitaria privata di Sorengo, ovvero l’asportazione dei seni per un errore di identità ad una paziente allora sessantasettenne". 
 
Il domenicale dedica un lungo approfondimento alla vicenda. Approfondimento accompagnato dall'editoriale in prima pagina firmato dal direttore Lillo Alaimo e dall'editore Giò Rezzonico. Di seguito ve lo proponiamo per esteso: 

L'editoriale di Lillo Alaimo e Giò Rezzonico

"È possibile negli anni Duemila operare una paziente, asportandole i seni, e a intervento concluso accorgersi di aver operato la paziente sbagliata? È possibile ed è accaduto solo due anni e mezzo fa alla Clinica Sant’Anna di Sorengo. È possibile cercare di capire come sia potuto accadere un simile errore e quale organizzazione e quale sicurezza siano garantite ai pazienti in una nazione che spende oltre 70 miliardi l’anno per la sanità? No, forse non è possibile tentare di comprendere e comunque non è possibile farlo attraverso un’inchiesta giornalistica come nei mesi scorsi ha fatto il Caffè.


La magistratura, dando tempestivamente seguito ad una denuncia della clinica, poco prima di Natale ci ha comunicato di aver concluso l’inchiesta e la decisione di voler processare in aula penale quattro giornalisti della nostra testata: il direttore responsabile, il vice direttore, il capo redattore e una giornalista. Tutti chiamati a rispondere dell’accuse di diffamazione e concorrenza sleale. Una prima svizzera sul fronte giudiziario, ma soprattutto un segnale preoccupante per la libertà di stampa.

Un segnale preoccupante per quelle poche “isole” ormai rimaste di giornalismo d’inchiesta. Un segnale preoccupante specie in una piccola realtà come quella ticinese in cui la pluralità di informazione va salvaguardata a tutti i costi. Da qui la nostra amarezza. Da qui la nostra protesta. Da qui questa prima pagina significativamente bianca. Senza alcuna notizia, come alcuni “poteri forti” pretenderebbero.

Un’inchiesta giornalistica svolge un ruolo di servizio pubblico. Ed è cosa diversa da quella della magistratura che di una vicenda ricerca responsabili e responsabilità penali. Al giornalismo, per quanto scomodo e indigesto possa essere ai poteri, occorre garantire autonomia e libertà. Querele e processi penali non sono altro che censure e intimidazioni. E a questo proposito la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) non ammette alcuna restrizione alla libertà di espressione, sia nel dibattito politico sia su temi di interesse generale, come indubbiamente sono salute e sanità. Non solo. Secondo la Cedu le sanzioni penali, per quanto lievi, hanno un effetto dissuasivo inaccettabile e rischiano di compromettere la funzione di promotore del dibattito democratico che è proprio della stampa.

Al Caffè non sono addebitati né errori né imprecisioni. Ogni riga, ogni parola di quanto scritto corrisponde a verità. Paradossalmente il giornale è ritenuto colpevole di aver pubblicato non uno, non due, non tre... ma più servizi sulla vicenda, una vicenda per altro lontana dalla parola fine. L’inchiesta penale - che vede per ora come unico responsabile il chirurgo che operò - non è ancora terminata. Più e più supplementi di indagine sono infatti stati richiesti dalla difesa del medico, chiamando così in causa l’intera organizzazione della clinica.

Come è possibile che l’errore di una sola persona, il chirurgo, possa aver determinato un simile disastro? Quali sono i sistemi di sicurezza - vale a dire le procedure di identificazione del paziente e della parte da operare - a cui le strutture pubbliche e private dovevano e devono attenersi? Chi è attorno al nostro lettino operatorio quando, sotto sedazione, siamo pronti per un intervento? Che formazione devono avere le persone addette alla sala operatoria? Quali controlli svolge l’autorità di vigilanza sanitaria e quali i risultati?

Domande legittime. Interrogativi doverosi che nell’inchiesta del Caffè, in parte hanno trovato risposta ma in parte no o, comunque, non in modo esaustivo e convincente. Eppure si tratta di temi e problemi di grandissimo interesse pubblico, vale a dire la salute e le strutture sanitarie pubbliche e private a cui i cittadini si affidano sborsando mensilmente e obbligatoriamente centinaia di franchi per l’assicurazione malattia. E la Sant’Anna, oltre tutto, riceve annualmente 13 milioni di finanziamenti pubblici.

Riteniamo che un giornale non debba limitarsi a rendere conto di comunicati e conferenze stampa. Crediamo che sia compito di una testata cercare di portare alla luce ogni risvolto di una vicenda, di un problema, di un fenomeno..., rendendolo di facile comprensione per i lettori e, soprattutto, mostrandone le cause e le possibili soluzioni.

Difendiamo quindi, non solo la “nostra” libertà ma quella dei cittadini di avere una stampa capace di indagare ponendo domande scomode alle istituzioni, ai poteri forti, siano essi dell’economia che della politica che della magistratura. Questo giornalismo riteniamo sia un antidoto agli abusi e ai soprusi. Una sentinella al servizio dei cittadini. Oggi però per i gravi fatti accaduti alla Sant’Anna, sotto inchiesta penale sono finiti un chirurgo e, incredibilmente, quattro giornalisti che hanno cercato di capire, senza per altro aver pubblicato alcun errore, come quelle cose siano potute succedere".


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