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29.08.2017 - 09:150
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

La preghiera politica di Sergio Morisoli: "God save the capitalism. La ricchezza aumenta e i multimilionari crescono in continuazione. Ma più opulenza e diventare sempre più ricchi non è sinonimo di capitalismo"

Il deputato e presidente di Arealiberale ci scrive: "Il capitalismo (quello vero) agonizzante è vittima di una coincidenza, o forse anche no, cioè dell’alleanza tra finanza liberista (destra) e l’anarchia dei costumi (sinistra). Gli uni hanno saccheggiato il mercato, gli altri i valori"

di Sergio Morisoli*

 

Dio salvi il capitalismo; lo scrivo in inglese ad onore del dove, del quando e del chi lo inventò. Mai come quest’estate, incontrando amici e in scambi di opinioni casuali ed effimeri al mare o in montagna, mi è parso di sentire un gusto nostalgico per un ordine politico ed economico del passato prossimo. Devo essere sintetico nel descrivere le impressioni udite. Approccio quindi la questione con il metodo Google map, dall’alto al basso ingrandendo l’immagine progressivamente con la rotella del mouse. Il blocco dell’ovest e quello dell’est, alla fin fine erano assicuranti; era un mondo bipolare dove erano chiare le regole, le aspirazioni, i desideri e in sintesi i fini e i mezzi per raggiungerli (o tentare di raggiungerli).

 

L’emisfero nord del pianeta deteneva l’80% della ricchezza e quasi l’80% di ciò che veniva prodotto veniva anche commercializzato nei mercati sopra l’equatore. Poi salta il muro e tutto cambia. Le ideologie diventano superflue, in modo affrettato si conclude che non esistono più; mentre invece esistono ancora svuotate però dagli ideali che le avevano fatte nascere e prosperare. Non solo, per di più ne nascono altre e nuove più attrattive ed adatte al secolo (buonismo, salutismo, ecologismo, nichilismo, relativismo ecc…). Il terremoto politico delle ideologie, dove in definitiva tutte sembrano giuste e sbagliate indistintamente, provoca poi questo senso strano che fa nascere la nostalgia per un ordine partico e sociale inteso come categorie (liberali, conservatori, socialisti) perso.

 

La seconda schermata mette in luce un fenomeno ancora più forte: la globalizzazione. I mercati sono più larghi dei confini nazionali, le merci vanno su e giù dal mondo senza ostacoli né di tempo né di spazio, i lavoratori “titolari” e non solo i disoccupati, devono rincorrere i lavori laddove vanno a localizzarsi. Dalla cultura sedentaria del coltivatore e raccoglitore, si è stati buttati brutalmente nella cultura del nomadismo da caccia. Alle nostre piccole latitudini il lamentio diventa spesso il “si stava meglio” quando c’erano: le FFS, le Officine, gli Arsenali, le guardie dei forti, il militare, le Poste e i Telefoni, le Dogane, le 5 grandi banche separate, la ramina alta, e il tunnel del Gottardo era (per le auto) solo un progetto.

 

La nostalgia per l’ordine perso deriva a livello globale, prima che da questioni economiche, molto di più da un mutamento strutturale e sostanziale dell’occidente: del suo modo di vivere, di educare, di lavorare. Sarà un caso che nei Länder tedeschi già comunisti della ex DDR, i neonazisti crescono a vista d’occhio, e che in zone insospettabili come le città opulente e finanziarie dell’Ovest i comunisti hanno un ritorno di fiamma impressionante(perfino in America!) ? Entrambi promettono di ricuperare certezze, sicurezze e ordine !

 

Piaccia o no siamo in una “società liquida”, ovvero nulla ha più forma, definitività, resistenza; tutto passa scorre via, si mescola e rimescola. Eccellente definizione inventata dal filoso (polacco, ateo ex comunista) appena scomparso Zygmunt Bauman, ma non basta saperlo (gli accademici) o accorgersene (il popolo). Diversi chiodi in parete sono saltati, sostituirli non basta più è tardi; aprire nuove vie non è semplice siccome non è più solo una questione di “come” farlo ma soprattutto di senso, cioè “perché” farlo. Alcuni dicono, tra molti post qualcosa, che siamo sia post marxisti che post borghesi, può darsi. Entrambe le categorie sociali possono esistere se il capitalismo è vivo e in salute, se lo togli di mezzo svaniscono. E’ dunque il capitalismo ad essere stato fatto fuori. Intendiamoci la ricchezza aumenta e i multimilionari crescono in continuazione. Ma attenzione, più opulenza e diventare sempre più ricchi non è sinonimo di capitalismo.

 

Egizi, greci, romani, cinesi, sovietici, arabi erano e sono tutto questo senza mai aver avuto un sistema capitalista. Qui sta il punto. Come la moneta grama scaccia quella buona, il cattivo capitalista ha fatto fuori il capitalismo sano. Chi l’ha ucciso o cacciato in fin di vita? Indagare per trovare i colpevoli non è facile, ma alcune piste si vedono e alcune tracce si scovano. Mi è capitato di leggere un commento strano di un ex no global, diventato giornalista economico e addirittura poi cronista al Forum di Davos. Suppergiù, vado a memoria, diceva:” mi aspettavo di andare li nel supremo summit del capitalismo mondiale e trovare un branco di lupi affamati, invece ho trovato un gregge di agnelli preoccupatissimo e intento a trovare protezioni da ciò che avevano messo in piedi !”

 

Affermazione strana. Se si scorre però la cronaca, l’ordine del giorno, la lista degli invitati e i reportage del Forum degli ultimi anni sembra così davvero. Nessuno parla più di come aumentare i profitti, le rendite, di progresso tecnologico per guadagnare di più, di conquista di mercati o quote di mercato per aumentare l’occupazione, di ricerca e sviluppo finalizzata a produrre soldi, di sistemi di produzione più performanti e ottimizzati per abbattere i costi, di scovare bisogni nuovi e soddisfarli tramite l’ingegno, di speculazione (significa intelligenza e sicurezza), di giusti prezzi, di sacrifici imprenditoriali, di compra e vendite, di rischi, di come battere i concorrenti e altro ancora. Insomma quel motore che serve a produrre profitto e che tiene in piedi sì il capitalismo, ma anche il benessere e la prosperità collettiva è un tema tabù cancellato dalle agende. Perfino lì.

 

In cambio si discute molto di governo del mondo, di governo della finanza, di bilanci sociali, di macrorganismi statali internazionali; come dire: il capitalismo ci ha portato fin qui adesso ci vuole altro. Ma una domanda nasce spontanea. Perché chi disegna scenari apocalittici per il futuro, e ha partecipato a crearli, dovrebbe ora essere in grado di correggerli e ottenere la fiducia per agire? C’è una spiegazione. Il capitalismo (quello vero) agonizzante è vittima di una coincidenza, o forse anche no, cioè dell’alleanza tra finanza liberista (destra) e l’anarchia dei costumi (sinistra). Gli uni hanno saccheggiato il mercato, gli altri i valori; con la complicità degli statalisti della politica per modificare le leggi da una parte e dall’altra dei partiti per non perdere elettori.

 

Tant’è. Il ricupero del sano capitalismo quello per intenderci che chi ci caccia i soldi o vince lui o paga lui gli errori, è un passaggio obbligato per rimetterci in sesto. L’azienda esiste e agisce solo e soltanto per tre scopi: primo, soddisfare i bisogni materiali dei consumatori; secondo, produrre profitto per i proprietari e terzo, distribuire salari a chi merita. Il primo scopo è il modo più evoluto per mantenere la pace tra chi ha e chi vuole avare; il secondo è il modo più evoluto per premiare chi rischia e investe; ma anche per far partecipi milioni di cittadini tramite fisco e ridistribuzione; il terzo è il modo più dignitoso per valorizzare il lavoro umano. L’azienda è il motore del nostro sviluppo. L’errore più colossale che stiamo facendo è quello di mungerla tramite tasse e balzelli e di imporle per Legge una serie di ruoli e di obblighi che non c’entrano nulla con il suo ruolo naturale e i suoi tre scopi fondamentali. Il grave e che stiamo facendo questo nel macro, a livello planetario, e nel micro a livello cantonale. Cambia la scala di misura, ma non il metodo e i contenuti.

 

Dall’azienda si pretende ormai che si occupi dei neonati fino all’età scolastica (asili nido), che faccia ore di servizi sociali (ente caritativo), che trasporti lavoratori e famigliari (agenzia ambientale), che assuma solo laureati e ingegneri (casta elitaria), che paghi salari senza relazione con ciò che fa (ente filantropico), che assuma chi non ha bisogno (agenzia di collocamento), che sia innovativa per decreto (club statalista esclusivo), che non faccia differenze di merito o altre (cellula comunista). Mi fermo, ma basta dire che l’invasione dello statalismo, come scambio di favori con la finanza liberista e l’anarchia dei costumi, è visibilissima: i “bilanci sociali” di molte aziende, per piacere alla gente che piace, sono ormai più spessi e importanti dei tradizionali bilanci economici.

 

Se buona parte dell’occidente e dell’umanità è riuscita a passare da un’economia di sussistenza a un’economia del benessere è perché il capitalismo con i suoi attori e le sue regole sono riusciti a produrre profitti, guadagni superiori al necessario e valori aggiunti che hanno potuto essere tassati o distribuiti. Senza il guadagno capitalista con il gettito fiscale ad esso relativo, nessun sistema di stato sociale (welfare) avrebbe visto la luce, invece di ridistribuire soldi e offrire servizi a chi non poteva permetterseli, si sarebbe al massimo ridistribuita equamente la miseria. Si dimenticano le guerre, si dimenticano le crisi, si scaricano i valori, si liquidano le ideologie e ora si dimentica quali sono le necessità fondamentali per mantenere e creare prosperità e benessere. Anche queste ricette di successo fanno parte dell’identità occidentale cristiana e capitalista.

 

Finora il mercato era quell'istituzione umana che ha permesso di mettere d'accordo pacificamente, nella soddisfazione dei bisogni materiali, centinaia di milioni di persone. Purtroppo enormi gruppi economici e stati irresponsabili si sono messi a saccheggiare, dopare, truccare e distruggere questa istituzione. Il capitalismo scellerato cercando di neutralizzare le leggi della domanda e dell'offerta (pilotandole entrambe), della concorrenza (eliminando il piccolo), della sovranità del consumatore (monopolio dell'offerta), della scelta del consumatore (protezionismo mercantile). Lo statalismo ideologico, non sufficientemente memore dei disastri dell'economia pianificata, cercando di trasformare il mercato in un grosso supermercato in cui è la politica che decide: orari di apertura, le merci da vendere, disposizioni degli scaffali, istruzione del personale di vendita e dei clienti, prezzi, quantità, ammissione dei clienti, rimunerazione degli addetti; insomma tutto o quasi. Entrambi i fronti idealizzano mondi perfetti, possibili solo eliminando qualcuno o qualcosa. Vi è che, purtroppo, c'è parecchia materia per capire (non giustificare) sia la posizione degli uni che degli altri.

 

Colpevoli non sono né il mercato, né lo stato; né i loro motori: il libero scambio e la democrazia. Colpevoli sono quelle persone che hanno abusato del mercato e dello stato. Colpevoli sono quelli che hanno creato sistemi (finanziari) talmente perfetti (sic!) che per arricchirsi non bisognava produrre assolutamente nulla! Da qui la crisi finanziaria. Colpevoli sono quelli che hanno creato sistemi (welfare statale e spese pubbliche allegre) talmente perfetti che per vivere non occorreva più lavorare. Da qui il disastro dei Paesi indebitati.

 

Le persone astute e scaltre degli ultimi decenni, qui la libera circolazione intercontinentale gioca in pieno, hanno potuto semplicemente scegliere se diventare potenti e ricche attraverso un mercato snaturato oppure attraverso uno stato irresponsabile; i furbissimi hanno saputo percorrere entrambe le vie. Queste sono le due categorie dei nuovi potenti della terra, e in mezzo ci sta il popolo che subisce le bizze degli uni o degli altri o di entrambi assieme.

 

Qualcuno stappa champagne per l’avvento della “società liquida” , contenti di aver fatto fuori marxismo e socialisti da una parte e capitalismo e borghesi dall’altra, lavoratori e imprenditori, di aver atomizzato i cittadini da una parte e creato entità extraterritoriali mostruose dall’altra. E con essi, fatto fuori gli ideali e gli obiettivi che li caratterizzava. Non c’è da meravigliarsi che la borghesia, dopo l’aristocrazia, sia la specie da eliminare. Sarebbe un potente freno alla liquefazione. La borghesia è un modo una cultura di essere, di vivere e di gestire i soldi, non di fare e di sperperare i soldi. Il termine «Bürgerlich» più volte dato per scontato e implicitamente ritenuto acquisito per sempre è un errore. Specialmente in Ticino. Cosa oggi significhi «Bürgerlich» per i cittadini che hanno meno di 50 anni non è dato sapere. Si parte da un (pre)concetto come se la«Bürgerlichkeit svizzera» fosse ancora un dato di fatto naturale visibile nella realtà. Cosa sia una politica borghese o i valori borghesi, ecc… è tutt’altro che scontato. Esiste una politica borghese se esistono i borghesi che fanno politica, e qui sta il punto. Quanti, quali e chi sono i borghesi oggi? Una borghesia si forma se vi è una chiara prevalenza di persone che testimoniano coi fatti: la proprietà privata, l’intraprendenza economica propria, la solidarietà privata reciproca, la sussidiarietà dello Stato, il radicamento territoriale; caratteristiche non certamente in crescita negli ultimi decenni. In Ticino non è la ricchezza borghese a mancare ma la cultura borghese. Lo si vede nei partiti, in Gran Consiglio e in Governo.

 

Il materialismo storico di destra e sinistra ha il terrore delle resistenze non monetarie, non economiche, non finanziarie; che sono quelle spirituali, ideali, religiose, morali e valoriali. Per questo dopo il saccheggio dei mercati è ora in corso l’incendio di ciò che potrebbe ridare memoria all’uomo prima e al cittadino poi. Per questo è in corso la distruzione totale di tutto ciò che l’uomo crea tra lui e lo stato e tra lui il mercato, di tutto ciò che ostacola il monopolio politico e il monopolio economico, semplicemente non possono tollerarlo. L’intesa tra i killer del cosmos (ordine) per far vincere il caos (disordine), in termini volgari potrebbe essere: a noi i soldi e a voi i vizi.

 

La soluzione ? Come sempre non sono sistemi, ma un ricentramento dal basso. Una ripresa a partire dal singolo. Dal singolo consumatore, dal singolo elettore, dal singolo cittadino, dal singolo imprenditore, dal singolo docente, dal singolo politico, dal singolo lavoratore nel riscoprire e nel riconoscere quella traccia di sano capitalismo che tiene in piedi tutto. Difficilissimo ma non impossibile. Ci sarebbero le istituzioni adatte a questo scopo, ma mi paiono sgangherate. La scuola è alla ricerca di sé stessa e punta all’egualitarismo e all’ingegneria sociale; i partiti sono sempre di più agenzie elettorali invece di centri di produzione di proposte politiche; le famiglie sono dopo la distruzione delle nazioni, dei popolo, delle imprese sono l’ultimo ostacolo e il prossimo oggetto da eliminare.

 

Concludo, scendendo con la google map, sul personale e mi scuserete. Dio salvi il capitalismo e ci mandi molti Siccardi. Quelli che superati i 70 anni ancora si preoccupano della ditta, quelli che a proprie spese creano asili nido per le proprie dipendenti senza che nessuna legge glielo imponga, quelli che creano trasporti collettivi per i dipendenti prima delle leggi, quelli che assumono persone bisognose e diversamente capaci per amore e non perché devono, quelli che fanno provare e lavorare chi ha voglia di lavorare premiandole creando ingiustizia tra questi e chi non lo merita, quelli che dal profitto tagliano una fetta per investirla in prodotti o mercati rischiosi e magati perdendoci, quelli che prima di licenziare le provano tutte, quelli che donano direttamente a chi ha meno e creano fondazioni di aiuto per i meno fortunati senza far rumore, quelli che fanno grande il nome, il marchio e la qualità svizzera con i fatti e non con le lobby. Questo è il sano capitalismo, ma soprattutto questi sono i profili umani che ci servono per farlo sopravvivere e darci una mano.

 

*deputato e presidente di Areliberale

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