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Cronaca
17.11.2017 - 17:330
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

In morte di Totò Riina. Jacques Ducry: "Un vigliacco senza umanità. Nessuna gioia per la sua scomparsa ma neppure nessun perdono. Le mie emozioni sono per Giovanni Falcone e per le inchieste di quegli anni"

Intervista all'ex procuratore pubblico che riflette sulla morte del Capo dei Capi di Cosa Nostra, ricorda gli anni in cui da magistrato combatteva la mafia e ammonisce sul futuro: "Quando nel 2000 lo interrogai si limitò ad augurarci buona giornata. Riina si è sporcato le mani di sangue come quasi nessuno. Ma oggi combattere la criminalità organizzata è ancora più difficile"

di Andrea Leoni


BELLINZONA - “Non provo nessuna emozione per la morte di Totò Riina. Non mi provoca alcuna reazione di pelle. Non mi fa né caldo né freddo. Le emozioni profonde che conservo dentro di me sono quelle legate alle inchieste con cui contribuimmo a condannare i mafiosi come lui, e al 23 maggio 1992: quando uccisero, su suo ordine, Giovanni Falcone. Un giorno che non dimenticherò mai”.

 

Ora che il Capo dei Capi di Cosa Nostra è morto, per molti protagonisti di quell’epoca, si chiude per sempre un capitolo sanguinario. Tra le pagine più drammatiche vissute dall’Italia, quando la mafia del padrino di Corleone spadroneggiava tra gli anni 80 e l’inizio dei 90, seminando cadaveri e facendo esplodere autostrade.

 

Jacques Ducry, con altri magistrati ticinesi, collaborava con la Procura di Palermo e il giudice Falcone nel contrasto a Cosa Nostra. E in un certo senso, anche per lui, la morte di Riina rappresenta la chiusura di un cerchio. Di un periodo ruggente della sua vita, quando dagli uffici del Ministero Pubblico di Lugano, dava il suo contributo a fronteggiare la mafia stragista.

 

“Ma per me - precisa l’ex procuratore pubblico - la vera chiusura del cerchio sono state le sentenze dei processi. Quando tutti questi signori sono stati condannati dalla giustizia: prima con la Pizza Connection, poi con il maxi processo di Palermo e infiine con tutte le altre condanne che sono seguite”.

 

“Come tutti i mortali - prosegue Ducry sull’onda dei ricordi - anche Totò Riina è venuto a mancare. È stato un personaggio feroce che ha deciso la vita di tantissime persone innocenti. Per fortuna è morto in carcere e non in regime di semi libertà come volevano i suoi avvocati".

 

Jacques Ducry ha avuto anche un contatto diretto, seppur in videoconferenza, con il Capo dei Capi: “Era la fine di maggio del 2000 e l’amico ed ex collega Luca Tescaroli, chiese la nostra assistenza attraverso una rogatoria. Lo interrogammo ma ovviamente non rispose a nulla. Mi ricordo che si limitò ad augurarci buona giornata. D’altronde da questi personaggi non ci si può aspettare nulla di più che il silenzio. E così andò anche quella volta. È stato solo grazie al lavoro degli inquirenti, con la ricerca delle prove e le testimonianze dei pentiti, che si è potuti arrivare a condannarli”.

 

I pentiti, appunto. Nonostante 24 anni di carcere duro, Riina non ha mai voluto collaborare con la giustizia. Forse anche per proteggere indicibili accordi tra mafia e politica, oppure capitali nascosti o ancora la famiglia. Non lo sapremo mai. “Del fatto che non si sia mai pentito - riflette Ducry - non sono affatto sorpreso. Questi sono puri e duri. Fortunatamente ci sono stati anche mafiosi che hanno deciso di collaborare, come Tommaso Buscetta. Non penso che Riina tacesse perché aveva paura di qualcosa o qualcuno. Probabilmente c’erano delle altre implicazioni che, tuttavia, non sono mai state dimostrate in sede penale. Certo è che loro sono diventati dei simboli di Cosa Nostra, grazie a svariati livelli di protezione. Da soli non avrebbero mai potuto fare ciò che hanno fatto. A cominciare dalle lunghissime latitanze”.

 

Maria Falcone, sorella di Giovanni, ha commentato la morte di Riina dicendo “né gioia, né perdono”. Il Capitano Ultimo, che fisicamente lo ammanetò nel 1993, ha detto che il Capo dei Capi era solo un vigliacco. “Posso concordare sia con la signora Maria che con il capitano dei Carabinieri. Riina è stato effettivamente un vigliacco perché con il suo comportamento, senza un briciolo di umanità, si è sporcato le mani di sangue come quasi nessuno. E per questo si è meritato tutti gli ergastoli e il carcere che si è fatto, e nel regime con il quale lo ha scontato, fino all’ultimo giorno della sua vita. Gioia per la sua morte no. Ma neanche alcun tipo perdono”.

 

Con la morte di Totò Riina si può archiviare e consegnare alla storia anche un tipo di criminalità organizzata, che è stata sconfitta e che oggi non esiste più: “Ma la mafia c’è ancora. Agisce in modi sicuramente diversi. Non c’è più il mozzicone lasciato da Giovanni Brusca sulla collina di Capaci, quando schiacciò il telecomando che fece saltare in aria Falcone e la sua scorta. Ma purtroppo abbiamo una criminalità organizzata molto potente e più difficile da scovare. Una mafia che si affida a colletti bianchi, a strutture finanziarie di vario livello, ai paradisi fiscali, che agisce all’ombra delle cassette di sicurezza. Qualche traccia evidente l’abbiamo vista anche con gli scandali dei Panama Paper e dei Paradis Papers. Ma purtroppo se ne parla sempre meno”.

 

“Giovanni Falcone - conclude Ducry - aveva avuto questa grande intuizione investigativa, quando capì che per combattere la mafia bisognava aggredirne il patrimonio. Ma al giorno d’oggi è ancora più complicato attaccare le organizzazioni mafiose dal profilo finanziario. La globalizzazione, e la tecnologia, consentono con un click di spostare miliardi in un secondo da un capo all’altro del Mondo. Mentre gli inquirenti hanno bisogno giorni, settimane, solo per potersi attivare nella ricerca del denaro. Servirebbe un accordo tra le nazioni. Perlomeno a livello di Unione Europea, assecondando proposte come quelle di un procuratore europeo che contrasti le varie mafie. Ma non ho molta fiducia che ciò accada. Credo che non ne usciremo mai”.

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