L’immagine di immunofluorescenza scatta con un microscopio confocale ad alta risoluzione, rappresentanza delle cellule tumorali in un tumore prostatico, che accumulano goccioline di lipidi (in rosso)
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Salute e Sanità
16.01.2018 - 11:250
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

"Combatteremo il cancro facendolo dimagrire". La scoperta dell’Istituto Oncologico di Ricerca dell'USI. Ma il professor Alimonti avverte: "Ciò non significa che pazienti affetti da tumori debbano sottoporsi a uno stretto regime dietetico"

Il fatto che il metabolismo dei lipidi funzioni come benzina per sostenere la macchina tumorale non era mai stato chiarito in dettaglio e questa scoperta apre quindi nuovi e inattesi scenari nella terapia contro il cancro

BELLINZONA - Per anni si è cercato di comprendere i meccanismi alla base della proliferazione delle cellule tumorali: come una macchina ha infatti bisogno di benzina o di elettricità per muoversi, le cellule tumorali hanno bisogno di metaboliti per crescere e proliferare. Fino ad oggi tuttavia non si conosceva di quali metaboliti la cellula tumorale avesse effettivamente bisogno.

Un team di ricercatori dell’Istituto Oncologico di Ricerca (IOR) dell’Università della Svizzera italiana (USI, Facoltà di scienze biomediche) guidato dal professor Andrea Alimonti ha identificato uno dei meccanismi alla base di questo processo, come pubblicato in un recente articolo della prestigiosa rivista Nature Genetics.

Per anni si è creduto che per supportare la loro crescita le cellule tumorali avessero bisogno di aumentare soprattutto il loro consumo di glucosio, si legge in una nota stampa dell’USI, senza servirsi del metabolismo del mitocondrio, una teoria inaugurata agli inizi ‘900 dal premio Nobel per la medicina Otto Warburg.

Il mitocondrio è un organello che produce l’energia necessaria alla sopravvivenza della cellula, funzionando come una sorta di centrale elettrica.

“Contrariamente a quanto pensato per quasi un secolo – ha affermato il professor Alimonti – abbiamo scoperto che le cellule del tumore prostatico hanno bisogno proprio del mitocondrio, non perché questo produca energia, bensì in quanto esso è in grado di regolare uno specifico processo metabolico. In particolare, il mitocondrio è in grado di regolare - tramite un complesso enzimatico chiamato PDC - la sintesi dei grassi (o lipidi)”.

Lo studio pubblicato da Nature Genetics dimostra che senza la capacità di produrre efficientemente lipidi, le cellule del tumore prostatico non sono in grado di crescere e metastatizzare, pur in presenza di un’aumentata glicolisi. “Ci siamo accorti – continua Alimonti – che nelle cellule del tumore della prostata l’attività del complesso enzimatico PDC è 10 volte quello di una cellula normale proliferante e che a causa di questo le cellule accumulano moltissimi lipidi”.

È noto come una dieta ricca di grassi possa aumentare il rischio di sviluppare un tumore della prostata e che le persone obese siano più predisposte allo sviluppo di questo tipo di tumore. Il fatto che il metabolismo dei lipidi funzioni come benzina per sostenere la macchina tumorale non era tuttavia mai stato chiarito in dettaglio e questa scoperta apre quindi nuovi e inattesi scenari nella terapia contro il cancro.

“Abbiamo individuato un numero di composti farmaceutici in grado di inibire selettivamente - in diversi modelli sperimentali - l’enzima del mitocondrio responsabile della crescita tumorale, contenendo la sintesi dei grassi e senza danneggiare le cellule normali. Ci tengo a precisare però – ha concluso Alimonti – che la nostra scoperta non implica che pazienti affetti da tumori debbano sottoporsi a uno stretto regime dietetico, cosa per altro dannosa: una riduzione dei grassi nelle cellule del tumore può essere infatti ottenuta solo bloccando il metabolismo della cellula tumorale attraverso specifici farmaci”.

La ricerca è stata possibile anche grazie al contributo del Dr. Jingjing Chen dello IOR – primo autore dell’articolo di Nature Genetics – e del Dr. Andrea Cavalli dell’Istituto di ricerche in biomedicina (IRB), in collaborazione con altri centri di ricerca svizzeri, spagnoli e inglesi.

Lo studio è stato possibile grazie al contributo finanziario dell’European Research Council (ERC), del Fondo Nazionale Svizzero, della Fondazione IBSA, della Fondazione Horten e della Fondazione J Steiner.
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