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Cronaca
23.03.2018 - 18:000
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Picasso, un'arte da indagare a due passi da casa. Lo schizzo che poteva cambiare Les Demoiselles d'Avignon e la cronaca di un lavoro di studio durato una vita

Ieri mattina, il LAC si è riempito di chi, silenziosamente, voleva osservare la mostra senza il disturbo di chi cercava il folclore. La curatrice ha scelto un ordine senza ordine, che al primo momento lascia confusi, ma poi fa capire: il grande pittore ha usato tutti gli stili in ogni momento, in una sperimentazione senza fine

LUGANO – Probabilmente era a questo che chi ha voluto a tutti i costi il LAC pensava: un autore straordinario, che poche volte, anzi pochissime, si trova fuori dalla porta di casa, con le sue sculture inedite da osservare con sullo sfondo il lago.

Erano appena le 10 di mattina, non ancora scoccate, eppure la gente cominciava già ad affluire. Se le visite guidate della festa del papà hanno fatto registrare un numero incredibile di persone, qui sono di meno. È gente che non vuole la guida, si accontenta di sistemarsi sulle orecchie l’audioguida. Non sono gruppi rumorosi, bensì gente che vuole avere calma, per osservare.

E forse, per chi non ha interesse nel folclore, è la soluzione migliore. Le opere di Picasso, anche se incompiute nel senso che sono schizzi, impongono di fermarsi, un momento. Perché le ha dipinte lui, e ripercorrendo con gli occhi le sue linee, sembra quasi di seguire la sua mano mentre le tracciava. Per magia, un nome storico diventa un uomo, una persona vivente, anche attraverso la voce
dell’audioguida che mette in relazione lo stile con i periodi di serenità o meno vissuti da Pablo Picasso, con le sue storie sentimentali. Un pittore, certo, eppure un uomo, con le sue sensazioni, che nell’arte riversava amore e dolore, amicizie, come quella con Matisse, con cui sarà in perenne confronto, e rivalità.

Picasso è un autore unico. Ma vedere i suoi studi dal vivo va molto oltre quello che pur affascina dai libri di storia: periodo blu, periodo rosa, cubismo, Les Demoiselles d’Avignon. L’arte dovrebbe essere mostrata e non solo studiata.

Certo, dire qualcosa di innovativo su un autore le cui opere si sono studiate in ogni angolazione, non è facile. La curatrice, Carmen Gimenez, si definisce essa stessa una Picassiana, per il semplice motivo che lui ha attraversato tutto il secolo. E ha voluto puntare su uno sguardo diverso, come appunto si intitola la mostra. Ha scelto qualcosa di nicchia: gli schizzi. Già, come si arriva a un’opera finita? Mentre si osservavano i vari quadri, una maestra spiegava a dei ragazzini come avveniva la scomposizione cubista, come era possibile vedere, per esempio, una donna contemporaneamente di schiena e di fronte. I disegni lo mostrano: non è stata un’improvvisazione. Picasso dapprima, spesso, tratteggiava quel che voleva mettere su tela, oppure scolpire. Già, perché è stato artista completo. Ha usato i più svariati materiali, basti pensare a quelli che sono serviti per la celeberrima Capra che fa bella mostra di sé qui al LAC. Ha vissuto epoche, eppure le ha pure compenetrate.

Gimenez non ha scelto un ordine cronologico per le opere esposte, e nemmeno un giro predefinito. Al primo momento, la reazione è stata di confusione. Ma come, senza un senso, senza un percorso, come fare a capire che cosa ci vuole mostrare? Anche in seguito, osservando il catalogo che, egli sì, presenta il tutto in ordine cronologico, l’impressione rimane quella. Ovvero, che ci sia sempre tutto. Scomposizione, linee semplici, colori, forme. Una sperimentazione continua che percorre tutta la monumentale opera di Picasso, tanto che dividere davvero i periodi è difficile. Molto più semplice è farlo con le opere finite, ovviamente. Con gli schizzi, molto meno.

Come si spiegherebbe, sennò, che a fianco di giocatori di calcio dipinti quasi come fantasmi, come li dipingerebbero dei bambini che stanno cercando il senso del bidimensionale, ci sia una serie di donne che si pettinano, esposte una vicina all’altra, dipinte in pochissimi giorni? Picasso voleva capire come ridipingerle al meglio, provando dettagli diversi, uno a fianco al seguente.

Questa mostra è la prova che il pittore non ha mai smesso di tentare, di cercare nuove forme, di usare tutto assieme quello che aveva scoperto. Come davvero ha lavorato ogni giorno della sua vita, prendendo spunto da ogni cosa che viveva e vedeva, come il suo ultimo atelier, ripreso più volte.
A livello storico, ciò che più impressiona è lo studio per Les Demoiselles d’Avignon: in un angolo, il disegno di un uomo. Doveva comparire nell’opera, ma poi ha deciso di non metterlo. Perché? Forse, non lo sapremo mai. Eppure, lì, a pochi centimetri, c’è un frammento che poteva modificare la critica di un quadro monumentale. Cosa si sarebbe detto, di quell’opera, in quel caso? Chi lo sa.

Si esce con una sensazione ancor maggiore di rispetto. Le opere a casa propria, il senso dell’arte dovrebbe essere questo. Entrare con un’aspettativa, uscire chiedendosi che cosa voleva dire o rappresentare Picasso in quel preciso momento. Sapere che non lo si saprà mai, per quanto si indagherà.

PB
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