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19.04.2018 - 15:070
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Caso Adria-Wir, il Tribunale federale bacchetta la giustizia ticinese e ordina: fate luce sul ruolo di Mister X, il 'grande accusatore'. Che da vittima potrebbe diventare imputato. Come avevamo raccontato un anno fa... Ecco i passi salienti della sentenza

Confermando il decreto di non luogo a procedere del procuratore generale Noseda, scrivono i giudici federali, la CRP ha violato il principio in dubio pro duriore, perché ha arbitrariamente ritenuto chiaramente accertato che Mister X non ha partecipato consapevolmente alle truffe ai danni della Wir

di Marco Bazzi

Il 15 febbraio dell’anno scorso vi abbiamo raccontato una storia molto complicata che ha come sfondo un caso giudiziario che ha fatto clamore, quello del crac dell’impresa di costruzioni Adria e del coinvolgimento della Banca Wir. Quella ricostruzione era frutto di un lungo esame di atti e documenti giudiziari.

Ora, in una recentissima sentenza, il Tribunale federale ha confermato l’esattezza della nostra ricostruzione (e dei dubbi che sollevavamo) ordinando di approfondire la posizione nel procedimento penale di quello che abbiamo chiamato “Mister X”.

Una breve premessa: l’atto d’accusa con il quale il 25 ottobre del 2016 il procuratore generale John Noseda rinviò a giudizio Adriano e Filippo Cambria (padre e figlio, titolari dell’impresa Adria), l’ex direttore della filiale luganese della Wir Yves Wellauer e due immobiliaristi è stato contestato in alcune sue parti dal presidente della Corte delle assise criminali Marco Villa, che avrebbe dovuto presiedere il processo. Villa ha rinviato il dossier a Noseda chiedendo ulteriori approfondimenti. E il processo è slittato alle calende greche.

Parallelamente, nei confronti di Mister X, imprenditore trentenne italiano residente a Lugano - le cui deposizioni fecero scattare l’inchiesta Adria-Wir – c’era stata una denuncia penale e successivamente una promozione privata dell’accusa da parte della banca. Nel procedimento Mister X non è però mai stato indagato ma figura come parte lesa. Inoltre, la denuncia nei suoi confronti è stata disgiunta dal procedimento Adria-Wir.

Ora il Tribunale federale ha stabilito che la decisione di non indagare Mister X, che fu socio dei Cambria in due operazioni immobiliari, ha violato il principio “in dubio pro duriore”.

Un principio secondo il quale se la pubblica accusa ha il dubbio che una persona sia colpevole, deve indagarla.

Gli imputati, premettono i giudici federali, “sono accusati di aver, tra l'altro, ingannato con astuzia gli organi e i funzionari della Wir nell'ambito della concessione di finanziamenti per operazioni immobiliari, cagionando alla banca un danno patrimoniale di circa 27 milioni.

Sulla scorta delle risultanze del procedimento, il 18 ottobre 2016 la Banca ha richiesto l'estensione dell'istruzione anche a Mister X, subordinatamente l'apertura di un procedimento penale nei suoi confronti, per aver egli partecipato consapevolmente alle ingannevoli operazioni immobiliari, nonché per aver truffato la banca mediante l'emissione di fatture, parzialmente incassate per il tramite della società a lui riconducibile, per complessivi 700'000 franchi quale corrispettivo per una direzione lavori, mai eseguita, sui cantieri”.

A questo link potete leggere il nostro articolo di allora, che spiega per filo e per segno le due operazioni immobiliari finanziate dalla Wir nelle quali fu coinvolto Mister X.

“Il 25 ottobre 2016 il Procuratore generale ha decretato il non luogo a procedere nei confronti di Mister x – scrivono i giudici federali - non considerandolo correo o complice, bensì danneggiato dalle operazioni immobiliari in questione, veste peraltro riconosciutagli nell'atto di accusa di pari data”.

Contro il decreto di non luogo a procedere la Wir “è insorta alla Corte dei reclami penali del Tribunale d'appello del Cantone Ticino (CRP), che ne ha respinto il reclamo con sentenza del 3 maggio 2017 ponendo a suo carico complessivi 15'500 franchi a titolo di tassa e spese di giustizia e ripetibili. In breve, per la CRP non sussistono indizi oggettivi per ritenere che Mister X abbia partecipato consapevolmente ad attività truffaldine ai danni della banca e nemmeno che abbia tratto un qualsivoglia illegale vantaggio economico, risultando anzi vittima di quanto perpetrato” dai Cambria.

Così il caso è arrivato al Tribunale federale, perché la Wir “si duole della violazione del principio in dubio pro duriore, nonché del diritto di essere sentito con riferimento al diritto a una decisione motivata, oltre che di un accertamento inesatto e incompleto dei fatti conseguente ad arbitrio nella valutazione delle prove, la CRP non tenendo conto dei dubbi sul coinvolgimento penale di Mister X nelle operazioni immobiliari”.

La questione di sapere se il pubblico ministero, prosegue il Tribunale federale, “possa rinunciare ad aprire l'istruzione penale deve essere vagliata sulla base del principio in dubio pro duriore, che deriva dal principio della legalità. Esso significa che, di massima, un non luogo a procedere o un abbandono non possono essere decretati dal pubblico ministero se non quando appaia chiaramente che i fatti non sono punibili o le condizioni per il perseguimento penale non sono adempiute.

In questo ambito, il pubblico ministero e l'autorità di ricorso dispongono di un potere di apprezzamento che il Tribunale federale esamina con riserbo. Per contro, la procedura deve di principio essere continuata quando una condanna appaia più verosimile che un'assoluzione o quando le probabilità di assoluzione e di condanna appaiono equivalenti, in particolare in presenza di un reato grave. Questo principio vale anche per l'autorità giudiziaria incaricata di esaminare la decisione di abbandono del procedimento penale”.

Il Tribunale federale, si legge ancora nella decisione, “fonda la sua sentenza sui fatti accertati dall'autorità cantonale, tranne se il loro accertamento è stato effettuato in modo manifestamente inesatto, vale a dire arbitrario, o in violazione del diritto ai sensi”.

E ancora: “L'autorità precedente ha considerato superfluo chinarsi sugli elementi fattuali evidenziati nel reclamo, perché inidonei a condurre a un diverso giudizio, non sussistendo in concreto indizi oggettivi per ritenere che Mister X abbia consapevolmente partecipato alle attività truffaldine ai danni della ricorrente e nemmeno che abbia tratto un qualsiasi vantaggio economico illegale dalle operazioni immobiliari. In conclusione, per la CRP, questi non ha ricevuto indebitamente degli importi, bensì ha fatto ingenti apporti di fondi, assumendosi enormi debiti ipotecari, e risulta pertanto essere vittima dei maneggi” dei Cambria.

Per la Wir, Mister X non è una vittima delle operazioni immobiliari, scrivono i giudici federali, “ma anche a voler riconoscere l'esistenza di un danno (ndr: da lui subito), rispettivamente l'assenza di qualsiasi suo vantaggio economico, non sarebbe comunque esclusa a priori una sua partecipazione alle truffe, quantomeno come complice”.

Dopo aver qualificato il reato di truffa, i giudici federali ricordano che “è complice chiunque aiuta intenzionalmente altri a commettere un crimine o un delitto. La complicità è una forma di partecipazione accessoria al reato (…). Non è tuttavia necessario che il contributo del complice sia la condicio sine qua non alla realizzazione del reato. Il contributo fornito può essere materiale, intellettuale o consistere in una semplice astensione.

Il complice può intervenire fino all'ultimazione dell'infrazione; nell'ambito di una truffa egli può dunque apportare il suo contributo fino all'incasso dei fondi mediante il quale l'autore arreca il danno, rispettivamente fino alla lesione degli altrui interessi pecuniari.

Soggettivamente, occorre che il complice sappia o si renda conto che apporta il suo concorso a un atto delittuoso determinato e che lo voglia o quanto meno lo accetti; al riguardo è sufficiente che conosca a grandi linee l'attività delittuosa dell'autore che deve aver già preso la decisione dell'atto. Il dolo eventuale è sufficiente”.

Constatando unicamente l'apporto di ingenti fondi propri e l'assunzione di enormi debiti ipotecari, proseguono i giudici federali, “la CRP ha escluso la sussistenza di indizi oggettivi per ritenere che Mister X abbia consapevolmente partecipato alle attività truffaldine ai danni della banca, non avendone tratto alcun vantaggio economico illegale, ma risultandone vittima. Queste considerazioni non bastano tuttavia a negare la commissione, quanto meno a titolo accessorio, di eventuali reati. La CRP omette di considerare che egli era socio dei Cambria in entrambe le operazioni immobiliari. Proprio in ragione degli importanti apporti di fondi propri la sua esposizione era rilevante, di conseguenza aveva manifestamente un interesse al loro buon esito”.

Insomma, la circostanza che Mister X possa eventualmente essere considerato a sua volta una vittima dei suoi soci in affari, come ritiene la CRP, “non può escludere a priori un suo possibile coinvolgimento in comportamenti di natura penale (…). Tanto più che, secondo le dichiarazioni riportate nel ricorso, gli imputati hanno riferito di una consapevole implicazione nelle operazioni, dichiarazioni sulle quali l'autorità cantonale è silente”.

Confermando il decreto di non luogo a procedere, la CRP ha quindi violato il principio in dubio pro duriore, perché ha arbitrariamente ritenuto chiaramente accertato che Mister X non ha partecipato consapevolmente alle truffe ai danni della Wir.
"Alla luce delle attuali risultanze istruttorie non appare sufficientemente chiaro che il suo coinvolgimento nelle operazioni immobiliari non abbia carattere penale. La CRP ha conseguentemente omesso di pronunciarsi sugli argomenti fattuali avanzati nel reclamo, ritenuti irrilevanti sulla base di un'arbitraria valutazione anticipata degli stessi. La sentenza impugnata deve quindi essere annullata e la causa è rinviata alla Corte dei reclami penali per nuovo giudizio”.

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