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08.09.2019 - 14:280

La morte di Hubert e i rischi del motorsport. Fontana: "Resta e resterà sempre uno sport pericoloso"

Il pilota ticinese sulla morte del ‘collega’ Hubert a Spa: "Immenso senso di tristezza e dispiacere"

LUGANO – Il motorsport è sotto shock per la morte di Anthoine Hubert, il pilota 22enne tragicamente deceduto sabato scorso in un incidente nel corso della gara di Formula 2 sul circuito di Spa, in Belgio.

Un incidente che ha scosso tutto il paddock, dagli addetti ai lavori a piloti e meccanici. Emblematica, in questo senso, l’espressione sul volto del pilota della Ferrari Charles Leclerc sul gradino più alto del podio in Formula 1. Chi ha vissuto i terribili attimi dopo l’incidente di Hubert è Alex Fontana, pilota professionista e lo scorso weekend in Belgio per commentare per la RSI la categoria regina.

“Il senso di tristezza e dispiacere – racconta il driver ticinese – è immenso. È sempre brutto commentare la morte di qualcuno, specie se parli di qualcuno che conosci anche solo di vista. Ancora più brutto parlare di un giovane che ha perso la vita in maniera improvvisa e brutale. Avvenimenti di questo genere ti lasciano sempre un vuoto dentro. Quarant’anni fa, la Formula 1 perdeva piloti a “ripetizione”. Ora è più raro morire in pista e quindi lo shock arriva all’improvviso perché passi il tempo a credere di essere indistruttibile”.

Da pilota esperto quale è, Fontana – come tutti i piloti – sa “che ci si può fare male, anche se nessuno entra in pista pensando al peggio. Questo ci ricorda che il motorsport resta, e resterà sempre, uno sport pericoloso. Su questo non possono e non devono esserci dubbi”.

Il pilota ticinese evidenza come “l’automobilismo ha fatto passi da giganti in termini di sicurezza, ma il corpo umano arriva fino a un certo limite. Finché c’è una componente umana rimane sempre un elevato rischio. E credo sia questo che piace ai tifosi e renda chi pratica questo sport diverso dagli altri”. Con chi giudica il circuito di Spa ‘troppo pericoloso’, Fontana non è assolutamente d'accordo.

"È normale – spiega – che ci siano curve , come l'Eau Rouge o il Radillion, più pericolose di altre. Così come esistono piste e categorie più rischiose di altre. Ma nel complesso il rischio è lo stesso: c’è e ne siamo consapevoli. Guidare a quelle velocità è una cosa che quindi sono disposti a fare in pochi. Se fossimo in piste larghissime e piene di vie di fuga infinite, probabilmente molte più persone sarebbero disposte a rischiare". Ma è proprio l’adrenalina e la vena ‘eroica e coraggiosa’ ad alimentare la passione dei piloti. “Chi pratica l’automobilismo sa che corre dei rischi. Le misure di sicurezza adottate sono apprezzate dai piloti, ci mancherebbe, ma non azzerano il rischio di incidenti mortali”.

Fontana ci parla anche di Juan Manuel Correa, il pilota 20enne della Sauber Junior Team che con la sua vettura ha centrato in pieno quella di Hubert. “Lo conosco bene – racconta – essendo stati ‘compagni’ nel Lotus F1 Junior Team. È un ragazzo gentile e genuino con cui ho mantenuto i contatti, uno che ha sempre il sorriso stampato sul volto e motivato nel rincorrere il suo sogno. Cosa passa nella sua testa? Sicuramente niente di bello, ma non è colpa sua anche se quell’impatto ha causato, probabilmente, la morte del collega. So che l'intervento alle gambe è andato bene e che dovrebbe tornare a camminare, anche se con qualche problema alle gambe. So che in questo momento è molto rattristato e cupo...".

E ancora: “Immagino che si ponga la domanda se effettivamente valga la pena continuare a praticare questo sport, come se lo sono chiesto molti piloti nel weekend. Incidenti del genere ti sbattono in faccia la realtà che la vita è molto di più di uno sport. Penso, però, che Hubert amasse questo sport e che l’unica cosa che vorrebbe sia tornare a guidare. Noi che amiamo questo sport, quindi, dobbiamo continuare a fare quello che amiamo con la passione di sempre”.

Abbiamo chiesto a Fontana se ha mai temuto per la sua vita durante una gara. “Era il 2014 e correvo a Sochi, in Russia. Rimasi coinvolto in un incidente a 200 km/h appena dopo la partenza. Persi il controllo della monoposto dopo essere stato colpito da due auto ai lati. Senza sospensione andammo a muro tutti e tre. L'ho vista brutta quando ho capito che l’impatto era inevitabile. Mi sono stretto alle cinture, ho mollato il volante e ho aspettato il violento impatto. Sono stati attimi bruttissimi, anche se in cuor mio sapevo che ne sarei uscito vivo e con al massimo qualche frattura o livido. Restai bloccato con la schiena per una settimana, poi tornai a correre. Ma se fosse successo 30 anni fa, o anche meno, avrei sicuramente perso le gambe. È una cosa che ti fa riflettere e ti rende felice di tutte le misure che la FIA e i vari enti attuano per la sicurezza dei piloti. Ma – conclude – non dimentichiamoci mai che l’automobilismo è uno sport altamente pericoloso".

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