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Cronaca
11.05.2016 - 07:550
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

La "casa della morte" di Melano, il drammatico suicidio della signora Susanna, che i vicini hanno visto "in diretta", le proteste contro Liberty Life, e la storia dell'infermiera Gasperini

Una vicina racconta l'episodio che ha scatenato una raccolta di firme per far chiudere la "clinica". E così La Stampa narrò l'ultimo viaggio di una donna da Torino a Melano

MELANO – Una palazzina grigia di tre piani, in via Cantonale a Melano. Qualcuno la chiama “la clinica”. Una clinica dove si curano con la morte il dolore e il peso della malattia. Quando diventano insostenibili.
Ma non è una clinica. È semplicemente il luogo in cui l’associazione Liberty Life pratica il suicidio assistito. Il caso continua a far discutere e nei giorni scorsi è stato oggetto di un’interrogazione parlamentare firmata da Amanda Rückert e Fiorenzo Dadò (leggi qui).
Un’interrogazione con la quale si chiede al Governo di fare chiarezza sull’associazione che fa capo a Mariangela Gasperini, infermiera italiana alla quale nel dicembre scorso il Dipartimento della sanità ha vietato di operare in Ticino. Quante sono le persone che hanno scelto di morire in quella palazzina di Melano? Da dove arrivavano? E quanto costa il suicidio assistito di Liberty Life? Diecimila euro, come dichiara chi l’ha scelto, o settemila franchi, come sostiene la Gasperini?
Ieri il sito web Ticinolive ha riportato la testimonianza di una donna che abita nei pressi della “casa della morte”.
Caterina Benincasa Cruz ha raccontato quel che è successo a inizio marzo, quando “è morta la signora Susanna. L’accesso al garage sotterraneo era impedito dalla neve e così è avvenuto tutto in strada. C’era l’ambulanza, la polizia e le pompe funebri. È stata una scena psicologicamente toccante. Vedere gli impiegati delle pompe funebri trasportare dei sacchi neri, ci ha impressionati, ci ha lasciati senza parole”.

La storia della signora Susanna, che da 25 anni soffriva le pene dell’inferno a causa di una sclerosi multipla, era stata raccontata a inizio marzo dal quotidiano La Stampa. L’inviato, Andrea Malaguti, aveva seguito la donna e i suoi famigliari fino a Melano. Partendo da casa sua, a Torino.

“Corso Fiume, a pochi passi dal Po e dalla Gran Madre, appartamento elegante e silenzioso. Susanna Zambruno Martignetti, ex assicuratrice di famiglia ebraica, ha passato la sua ultima notte dormendo male. Si è svegliata prima dell’alba di questo lunedì 7 marzo e non è più riuscita a chiudere occhio. ‘Eppure, apparentemente, non mi sento agitata’. Sono sempre stati gli altri ad andare da lei piangendo. ‘Io resisto. E in genere li consolo. Da più di un anno la vita mi fa orrore. Ma sto facendo la cosa giusta ed è per questo che l’ho fatta chiamare. Per offrire la mia testimonianza estrema, anche se la politica capirà quello che dico solo tra 20 anni”.

Il racconto del giornalista terminava con la morte della signora Susanna: “L’infermiera svizzera usa le parole con parsimonia professionale. ‘Come preferisce assumere il farmaco?’. Gli occhi di Susanna Zambruno Martignetti, posati inquieti e neri sull’enorme lago che si stende oltre la finestra, si fanno all’improvviso piatti per intrappolare le emozioni. Qual è l’alternativa? ‘Può berlo, oppure posso farle una flebo’. Susanna dice: ‘La flebo’. L’infermiera le fa firmare un foglio e si allontana. ‘Vado a Lugano, compro il farmaco e torno’. È il penultimo atto del rapido protocollo dell’eutanasia. Un minuetto preciso, apparentemente pulito - un accordo tra adulti consenzienti - che consegna ogni singola responsabilità legale e morale a chi ha scelto di morire, vietato in quella prateria bruciata dei diritti individuali che è ancora il nostro Paese, possibile appena dieci chilometri oltre il confine, dove, partendo dall’acqua, la linea dell’orizzonte si alza vertiginosamente sulla cima delle montagne per poi confondersi in un cielo luminoso e sterminato. Il mondo alla sua massima potenza”.  

A quella morte si riferisce la vicina di casa, Caterina Benincasa Cruz, che aggiunge: “Non siamo sicuri che abbiano effettivamente sospeso l’attività. Anzi. La settimana scorsa è ricominciato il via vai. È arrivata un’ambulanza italiana. È scesa una donna anziana, in carrozzella. E le luci al terzo piano si sono accese un’altra volta”.

In Comune dicono però che l’attività della Liberty Life è congelata, in attesa di formale autorizzazione: “L’attività è sospesa e la domanda è stata correttamente pubblicata all’albo. Non ci risulta che Liberty Life, malgrado la decisione comunale, continui ad accompagnare al suicidio. Se così fosse lo sapremmo, dal momento che ogni decesso deve essere notificato al comune”, ha dichiarato il segretario comunale di Melano, sempre a Ticinolive.

Mariangela Gasperini, 49 anni, vedova, 4 figli, era finita nella bufera già tempo fa, in qualità di presidente della Liberty Life, che ha sede a Riva San Vitale, ma sede operativa a Melano, dopo aver tentato invano di insediarsi a Paradiso, e conta cinque collaboratori.
Ad accendere su di lei i riflettori era stata un’interrogazione presentata nel giugno dell’anno scorso dal deputato Raoul Ghisletta che chiedeva lumi su quella che definiva "l’incredibile galassia Gasperini".
L’attività della Gasperini, scriveva, "si snoda nei più svariati settori, dall’assistenza a domicilio per anziani alla vendita di prodotti di moda e servizi estetici, dalla gestione di immobili e patrimoni all’associazione caritatevole che si finanzia tramite donazioni liberali di persone fisiche/giuridiche all’associazione che offre il servizio del suicidio assistito".
A inizio marzo, lei aveva risposto in un’intervista al Caffè: "E allora, che male c’è a produrre business per creare lavoro? Alcune di queste società nel frattempo sono state chiuse perché non funzionavano, una persona con cui ho lavorato me ne addossa la colpa e va spargendo cattiverie sulla mia persona".
"È la mia storia a garantire la mia buona fede – aveva dichiarato al domenicale -. Per motivi burocratici non sono riuscita ad esaudire il desiderio di mio marito, morto due anni fa. Era gravemente malato e voleva farla finita. Ecco perché aiuto la gente a morire".
Finora, nella “casa della morte” di Melano sono già entrati 17 aspiranti suicidi. E la Gasperini aveva parlato anche del suicidio della signora Susanna, l’episodio che ha indotto gli abitanti del quartiere a raccogliere firme per far chiudere Liberty Life.
"Non cerco alcuna giustificazione, ma era un’emergenza – aveva detto la presidente dell’associazione -. Solitamente operiamo in modo discreto, la sera tardi o all’alba. Quel giorno, era inizio marzo, nevicava e s’era creato un blocco di neve proprio all’entrata del garage sotterraneo, in cui di solito entrano le auto delle autorità per l’iter burocratico che segue un decesso. Gli abitanti si sono giustamente spaventati, mi scuso pubblicamente".
Ma aveva respinto "la valanga di critiche gratuite, illazioni e imprecisioni sin qui pubblicate sui vari media. Liberty Life ha sempre operato e opera nel pieno rispetto delle regole, seguendo nei minimi dettagli le prescrizioni legali".
Questo è quel che si sa, fino ad oggi, della “casa della morte” di Melano. In attesa che si esprima il Governo.

emmebi

 

 

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