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Cronaca
11.09.2020 - 18:020

Il Vescovo ai fedeli: "Dobbiamo essere uniti come cristiani per reagire al generico grigiore, al gelo, alla tristezza, alla cattiveria amara"

La pandemia ha sconvolto anche il modo di vivere la Chiesa, impedendo di celebrare messe e eventi come battesimi e matrimoni. Permane l'incertezza, Monsignor Lazzeri chiede di trovare un nuovo modo di fare Chiesa

LUGANO – Non interrompere la propria vita, trovare nuovi modi di pregare insieme, attraverso nuove forme comunitarie, per far fronte a quel che sta emergendo nella pandemia. Monsignor Valerio Lazzeri si rivolge con una sentita lettera pastorale, che riflette la difficoltà di organizzare eventi quali matrimoni, battesimi, cresime dato che non si sa che cosa si riuscirà effettivamente a fare, ai fedeli ticinesi.

“Non ho evidentemente nessuna pretesa di poter dissipare tutte le inquietudini e gli interrogativi che pesano sui nostri cuori. Con tutta sincerità e semplicità, desidero semplicemente esservi vicino, incoraggiarvi e - perché no? - provare a darvi l’indicazione di possibili piste di approfondimento e di sviluppo positivo della dinamica di comunione in Cristo, in cui siamo inseriti e a cui niente e nessuno potrà mai costringerci a rinunciare”, si legge nella lunga e accorata missiva.

“È inutile negarlo o tentare di nasconderlo: viviamo tuttora uno stato d’animo complesso e, per molti versi, contraddittorio. Quanto abbiamo attraversato ci porta a leggere il momento presente come quello di una “normalità”, prima bruscamente interrotta e quasi annullata, poi solo lentamente e parzialmente ripresa e, infine, ancora assai vacillante per quanto riguarda la sua evoluzione futura”. Abbiamo conosciuto, spiega, la sospensione, e “il nostro modo abituale e pubblico di vivere la fede è stato direttamente e pesantemente toccato dalla situazione generale che si è venuta a creare. Più volte, in questi mesi difficili, ho raccolto gli interrogativi di parroci, catechisti, famiglie, responsabili di parrocchie, associazioni, movimenti e comunità di vario tipo: che cosa fare con l’arrivo di settembre?”. Non ha una risposta, Monsignor Lazzeri.

“A me preme, però, che non lasciamo inascoltato, come Chiesa che è a Lugano, l’appello che il Signore sicuramente ci sta rivolgendo da dentro le precise circostanze storiche che sono le nostre. Non mi sembra teologicamente, spiritualmente e umanamente corretto pensare tutto quello che stiamo vivendo soltanto come un’interruzione temporanea dei progetti in corso, in attesa di riprenderli quando tutto sarà passato”, convinto che “Egli ha sempre le mani nella pasta di questa nostra storia accidentata e complessa e non cessa mai di volerne fare una storia di salvezza”.

“Quali scoperte, dolorose ma spesso anche feconde e positive, ci ha fatto fare o ci sta facendo fare questo lungo attraversamento del deserto? Ha fatto crescere in noi soltanto la paura, la consapevolezza della nostra estrema vulnerabilità, il senso del nostro limite e della nostra precarietà, oppure ci ha anche portato a risvegliare un desiderio più radicale di comunione, di vittoria sull’isolamento, di superamento di barriere e di pregiudizi ritenuti finora insormontabili?”, si chiede.

Quanto sta accadendo deve far riflettere sul modo di essere Chiesa. Il suo desiderio è “che possano nascere piccoli e umili laboratori di speranza, luoghi dove la fede in Gesù Cristo, morto e risorto”, partendo dal cuore delle persone, rilanciando la parola a cui ha fatto riferimento anche nella prevedente lettera pastorale, ovvero “Mistagogia” (con essa si intende l’introduzione al mistero di Cristo. Mistero è Cristo stesso; mistero sono anche i sacramenti, attraverso i quali incontriamo Dio. Si tratta di una proposta capace di armonizzare tra loro catechesi, liturgia e vita, e di favorire in tutte le sue componenti il coinvolgimento della Comunità cristiana nell’agire pastorale). “Qui vedo fondamentale un intensificarsi della preghiera, non semplicemente come proposta di pratiche esteriori, ma come vita di preghiera, con i suoi ritmi e le sue stagioni, come avventura spirituale da alimentare adeguatamente e realmente, di cui ciascuno è in prima persona responsabile (…). In effetti, la spiritualità cristiana non è come una salsa per dare a un cibo il sapore che non ha in sé. È l’opera di una vita intera in cui tutto è stato messo in atto per eliminare il rumore che facciamo con noi stessi, gli ingombri che ostruiscono la comunicazione interiore con l’unica Sorgente della nostra vita”.

Il suo desiderio è il rafforzamento di reti e zone pastorali. “Oso pensare che, anche nel nostro tempo desertificato, non manchino le persone toccate intimamente dallo Spirito di Cristo, desiderose di condividere con altre il loro anelito di maturazione nella fede e di servizio. L’obiettivo non sarà quello di appesantire la loro agenda già carica di appuntamenti, ma di rafforzare la condivisione di uno stile evangelico di vita umana. Più che mai mi sembra importante che siamo uniti come cristiani nel reagire al generico grigiore, al gelo, alla tristezza e alla cattiveria amara, che rischiano di invadere le nostre vite che in questo momento si sentono ancora più deboli e vulnerabili”.

Esorta a “mettersi all’opera senza lasciarci schiacciare interiormente dal ridimensionamento esteriore delle proposte che saremo in grado di fare e di portare avanti. Ciò che dovrà essere ridotto o dilazionato non ci impedirà di coltivare l’intensità di ciò che sarà possibile”, con pazienza.

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