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19.01.2017 - 13:160
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Un fazzoletto con sei nodi per il presidente del PPD Fiorenzo Dadò. Lo tenga in tasca e di tanto in tanto lo sgrani. Soprattutto quando le cose andranno bene

Piccolo promemoria per gli anni a venire con post scriptum: continui a non sedere in alcun Consiglio d'Amministrazione di Enti pubblici o parapubblici. Soprattutto se le diranno che se rifiuta quel posto lo guadagnerà un suo avversario

di Andrea Leoni
 
 
Sabato Fiorenzo Dadò assumerà la carica di presidente del PPD, dopo che il congresso gli avrà ufficialmente consegnato il timone del partito. Auguri e buon lavoro, innanzitutto. Siamo certi di non sbagliare se affermiamo che dalle ore immediatamente successive al suo trionfo davanti al Comitato cantonale  - e di certo anche nei giorni antecedenti a quella vittoria - in molti si siano prodigati in consigli, suggerimenti, dritte.
 
 
Noi ci limitiamo a consegnare a Fiorenzo Dadò un fazzoletto con alcuni nodi. Uno straccio da tenere in tasca e da sgranare di tanto in tanto. Magari nel silenzio delle sue montagne e nei momenti di buona, soprattutto.
 
 
 
Primo nodo. Il nuovo presidente si ricordi ogni giorno la sconfitta del suo principale concorrente alla presidenza: Filippo Lombardi. La politica sa essere spietata verso chi non si rende conto dei suoi limiti e del suo tempo. E neppure il lustro di una carriera ricca di prestigiosi successi, può salvarti da una parabola che arriva per tutti e non va mai sfidata. Lasciare il palcoscenico è doloroso, farsi indicare l'uscita molto di più.
 
 
 
Per questo motivo, a nostro avviso, uno dei mattoni più preziosi con cui Dadò ha annunciato di voler edificare le fondamenta della sua presidenza, è quello di non voler accanto degli yes man. Se applicherà questo criterio fino in fondo per formare la sua squadra, allora un pezzetto del suo successo lo avrà già messo in cassaforte. Perché un minuto dopo che un buon collaboratore gli avrà detto che nel partito non è più "supportato" ma "sopportato", avrà la straordinaria occasione di fare la cosa giusta: lasciare il posto a qualcun altro. E se saprà scegliere persone oneste e di valore questo inevitabilmente accadrà.
 
 
 
Terzo nodo. La "speranza" è una delle parole chiavi con cui Dadò ha voluto timbrare la sua presidenza. Ridare speranza a quelle migliaia di ticinesi che l'hanno smarrita, nel vortice carnivoro della disoccupazione, della sottoccupazione, dell'assistenza, della povertà. Mettere gli occhiali dell'umanesimo per leggere nel profondo il disagio che vivono molti nostri concittadini, è un atto oggi quasi rivoluzionario. Perché introduce un elemento di nobiltà in un panorama dominato da uno scontro che si consuma nei bassifondi della società e in modo sempre più bestiale. Vedere persone e non numeri, dignità violentate e non statistiche, cittadini sconfitti e non casi sociali, è senza dubbio un approccio culturale "spianato" dalla globalizzazione e dal suo veleno peggiore, l'egoismo liberista, la cui grammatica sociale andrebbe ricostruita e nuovamente legittimata. Serve un microfono per queste voci. E a questo coro una comunità.
 
 
 
Una presidenza come quella di Dadò - e siamo al quarto nodo -  non può nascere con lo scopo di vincere le prossime elezioni. Chi lo pensa o è in malafede oppure ha sbagliato a votare il presidente. I partiti storici, nell'angoscioso inseguimento della Lega, si sono bruciati negli ultimi anni fior fior di persone e di occasioni. Una vittoria non si costruisce con una campagna elettorale ben fatta o con una lista di combattimento (che pure sono elementi fondamentali e mai deve passare l'idea della conservazione o di essere rinunciatari rispetto agli obbiettivi più prestigiosi). Un successo, soprattutto un successo capace di durare nel tempo, lo si costruisce con una linea politica chiara, con dei progetti concreti e dunque faticosi da produrre, costruendo una classe dirigente ampia e ricca di sfumature che sia in grado di presentare all'elettorato più scelte credibili, con una comunicazione sintonizzata con i tempi. Per fare tutto questo non bastano un paio d'anni, assolutamente. Non è questione di mettere le mani avanti ma di dire la verità. Ecco, glielo dica e lo ripeta a se stesso. D'altra parte è già stato ampiamente dimostrato che i ripetuti cambiamenti di presidenti avvenuti negli ultimi anni, le uniche teste da mozzare alla resa dei conti, non hanno prodotto cambiamenti di tendenza.
 
 
 
Un'altra mossa che ci pare di aver colto dalle prime dichiarazioni di Dadò è quello di voler smontare la politica del triciclo, ovvero sia l'asse privilegiato con PLR e Lega. E di tentare di allargare la condivisione delle scelte strategiche di politica cantonale con i socialisti. Ci pare un'idea sensata perché non è conveniente per il partito numericamente più piccolo, fare sostanzialmente da ruota di scorta ai due grandi avversari della politica cantonale. Appiattendosi su questo asse il PPD rischia infatti semplicemente di scomparire e, implicitamente, di confermare che l'unica scelta importante e autentica per gli elettori sia quella tra Lega e PLR. Il gioco, insomma, a cui abbiamo assistito in tutte le ultime tornate elettorali. Hai voglia poi a lagnarsi della mediatizzazione del duello che taglia fuori tutti gli altri partiti…
 
 
 
Infine, sesto nodo, le persone. Perché non c'è buona politica destinata ad aver successo senza buoni interpreti. E questo è il nodo più delicato del fazzoletto che Dadò sarà giocoforza costretto ad accarezzare più spesso. In un'intervista rilasciata stamane al Corriere del Ticino ne ha già parlato: "Nessuno di noi è eletto alle cariche che occupiamo in modo autonomo, ma siamo stati scelti per dare voce a determinati valori e per realizzare delle priorità che stanno a cuore alla popolazione che ci sostiene. Una volta stabilita la via da seguire, di conseguenza ci adatteremo. E questo, pur con l’autonomia che va riconosciuta al consigliere di Stato, vale anche per Beltraminelli". Se andrà fino in fondo su questa strada si confronterà con molti lunghi coltelli. E l'unica soluzione per farsi guardare le spalle sarà quella di condividere, condividere, condividere e con il più ampio numero di persone possibili all'interno del suo partito. Per trascorrere quanti meno giorni possibili nel limbo inevitabile e logorante della "solitudine del presidente".
 
 
Post scriptum: continui a non sedere in alcun Consiglio d'Amministrazione di Enti pubblici o parapubblici. Soprattutto se le diranno che se rifiuta quel posto lo guadagnerà un suo avversario.
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