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Politica e Potere
09.03.2018 - 17:140
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Rimborsopoli... Giuridicamente è un abbandono. Politicamente è un decreto d'accusa. Le picconate di John Noseda a Governo e Parlamento. Il PG esprime "sconcerto e preoccupazione di fronte alla carente e incompleta evasione di ordini dell’autorità"

Liberatv è in grado di anticipare i passi salienti della decisione del PG: “Se dal profilo oggettivo le procedure di esame adottate da entrambi i poteri appaiono istituzionalmente molto problematiche, dal profilo soggettivo si deve comunque escludere l’intenzione di perseguire un indebito profitto avvalorata dalle modalità giuridicamente negligenti che hanno contraddistinto la gestione dell’intera vicenda nel corso degli anni”

LUGANO - Giuridicamente è un decreto d’abbandono. Politicamente è un decreto d’accusa. Oggi il procuratore generale, John Noseda, ha ribadito, nell’ambito del procedimento penale per abuso di autorità aperto contro ignoti, che nel caso “Rimborsopoli” non sono stati commessi reati penali. Ma, come nel primo ‘abbandono’ (firmato il 14 febbraio), Noseda piccona la politica (Governo e Parlamento) con severi giudizi.

“Il procedimento abbandonato – si legge nella decisione del procuratore generale - è stato necessariamente riaperto (ndr: su segnalazione del deputato del Movimento per il socialismo Matteo Pronzini), e sulla base della nuova documentazione si è proceduto a un nuovo interrogatorio dei consiglieri di Stato che avevano ricevuto i suddetti rapporti e preso posizione sui medesimi”.

Si è inoltre dovuto verificare approfonditamente, scrive ancora Noseda, “la completezza della documentazione, acquisendo ulteriori atti precedentemente non rinvenuti e trasmessi dai destinatari dei summenzionati ordini” (ndr: gli ordini emanati dal Ministero pubblico).

Ed ecco la prima picconata: “A tale proposito il sottoscritto non può esimersi dall’esprimere sconcerto e preoccupazione di fronte alla carente ed incompleta evasione di ordini dell’autorità penale indirizzati ad autorità legislative, esecutive e amministrative, ed avente per oggetto l’acquisizione di tutta la documentazione inerente i rimborsi spese e diritti di carica del Consiglio di Stato e del cancelliere.

Essa contrasta manifestamente con la prassi adottata da banche e fiduciarie private, o da autorità giudiziarie, strutture sanitarie e altri uffici amministrativi in esecuzione di analoghi ordini (relativi a tutta la documentazione concernente determinati individui o oggetti) che vengono evasi regolarmente in modo completo e trasparente.

È per tanto auspicabile per il futuro l’adozione, da parte del Consiglio di Stato e del Gran Consiglio, dei necessari correttivi in sede di classificazione, gestione e verifica degli incarti, nonché evasione puntuale delle domande di edizione documentale delle autorità giudiziarie, anche per evitare il sospetto di omissione deliberata, costitutiva del reato di favoreggiamento”.

Ecco che cosa è emerso dalla ‘seconda inchiesta’

Il procuratore generale traccia quindi il quadro delle nuove risultanze. In relazione alla Nota a protocollo del 2011, Noseda scrive che “sono emersi nuovi elementi di fatto precedentemente (e sorprendentemente) non comunicati al Ministero pubblico”. Seconda picconata.

Per la cronaca, le note a protocollo sono i documenti relativi ai rimborsi spesa dei ministri e del cancelliere dello Stato.

Noseda elenca poi una lunga serie di scambi di informazioni tra ministri, alti funzionari di Dipartimento, cancelliere e Controllo cantonale delle finanze (CCF).

E scrive: “La nuova documentazione versata agli atti dopo la riapertura del procedimento, attesta che i consiglieri di Stato hanno ricevuto, nel corso del 2012 e nel corso del 2014, i rapporti di revisione del CCF attestanti la mancata approvazione della nota a protocollo 44/2011, e hanno adottato la Nota a protocollo 103/2016, pur essendo stati precedentemente resi edotti dei rilievi contenuti nei rapporti medesimi. Occorre pertanto stabilire se la conoscenza delle critiche mosse dal CCF circa il mancato rispetto dell’articolo 7 della Legge sull’onorario e la previdenza del Consiglio di Stato comporti, dal profilo soggettivo, il dolo eventuale da parte dei consiglieri di Stato”.

Analizza poi l’eventuale configurazione del reato di abuso di autorità per dolo eventuale…
“Secondo la giurisprudenza e la dottrina, posteriori alla revisione della parte generale del Codice penale 2007 – annota -, l’elemento distintivo del dolo eventuale rispetto alla negligenza non risiede nell’elemento conoscitivo, bensì in quello relativo all’elemento volitivo. Ne consegue la necessità di considerare la gravità del comportamento, l’entità del rischio, e il movente, allo scopo di valutare se il risultato sia stato accettato (dolo eventuale) o trascurato (negligenza).

Nel caso specifico dell’articolo 312 del Codice penale (nrd: abuso di autorità), occorre pertanto verificare se il Consiglio di Stato fosse consapevole di agire illegalmente e accettasse l’ipotesi di conseguire un indebito vantaggio, applicando i suddetti criteri giurisprudenziali”.

Il Parlamento sapeva

Continua Noseda: “Se è inequivocabile l’interesse diretto dei consiglieri di Stato all’ottenimento delle prestazioni previste nella Nota a protocollo 44/2011 e 103/2016, la documentazione acquisita agli atti comprova tuttavia che essi fossero convinti di aver adottate entrambe le decisioni legittimamente e con l’avallo del Parlamento. In effetti, dopo aver adottato la nota a protocollo 44/2011, il rapporto del CCF era stato trasmesso anche alla Commissione della gestione, così come i rilievi trasmessi l’anno successivo erano stati inviati alla medesima in data 14 settembre 2012.

Aggiungasi che il Parlamento (…) aveva ricevuto il 25 maggio 2013 la tabella degli emolumenti percepiti dai consiglieri di Stato (comprensivi delle indennità), nonché, in data 27 marzo 2015 il rapporto del CCF che risollevava il problema e in data 17 settembre 2015 il rapporto del CCF che comprendeva le divergenti opinioni del cancelliere (ndr: Giampiero Gianella) e del CCF stesso sulla questione.

Ancora in data 7 marzo 2017 il Consiglio di Stato aveva comunicato alla Gestione una lettera contenente i dati salariali e i rimborsi spese con un confronto intercantonale.

Di conseguenza, anche se, dal profilo formale ed oggettivo, le suddette note a protocollo non sono state adottate dal Parlamento, dal profilo soggettivo i consiglieri di Stato erano legittimati a ritenere che il Parlamento fosse perfettamente informato della situazione, e che la mancata formalizzazione dipendesse unicamente dal fatto che il Gran Consiglio intendesse regolare definitivamente la questione nell’ambito della riforma complessiva del trattamento salariale e pensionistico tutt’ora in fase di discussione. Il fatto stesso che il Parlamento, malgrado le ripetute segnalazioni, abbia ritenuto di intervenire (nel febbraio 2015) unicamente sulle trattenute previdenziali (…), era atto a suffragare il convincimento dei consiglieri di Stato di agire legalmente e con l’avallo parlamentare”.

Infine le conclusioni, e l’ultima picconata alla politica…

“Se dal profilo oggettivo – si legge ancora nel decreto - le procedure di esame adottate da entrambi i poteri appaiono istituzionalmente molto problematiche, dal profilo soggettivo si deve comunque escludere l’intenzione (anche solo eventuale) di agire scorrettamente e di perseguire uno scopo di indebito profitto avvalorata dalle modalità giuridicamente carenti e superficiali (ovvero giuridicamente negligenti) che hanno contraddistinto la gestione dell’intera vicenda nel corso degli anni da parte delle autorità preposte”.

Nel concludere che il procedimento, come il precedente, è abbandonato, Noseda ricorda che contro la sua decisione è possibile ricorrere entro 10 giorni alla Corte dei reclami penali.

emmebi
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