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29.09.2014 - 07:090
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Festa del vino o della birra? Valsangiacomo: "Sospendiamo la Sagra per un paio d'anni e ripartiamo su nuove basi"

L'ANALISI - Si è fatta tanta cagnara sul biglietto a 8 franchi, ma il problema centrale della Sagra dell’uva di Mendrisio è la sua identità. L'assenza della Vineria dei Mir è un segnale chiaro che va colto da organizzatori e autorità

di Marco Bazzi

MENDRISIO - Si è fatta tanta cagnara sul biglietto a 8 franchi, ma il problema centrale della Sagra dell’uva di Mendrisio è la sua identità. Nel senso: vogliamo che sia una vera festa della vendemmia (com’era un tempo), un evento che valorizza e promuove i vini, le tradizioni e i prodotti ticinesi, o un caotico “melting pot” di birra da fusto, vinacci “da lavandino” e disagio?

Metafora: ricordate il Decameron di Boccaccio? Per sfuggire alla peste nera che imperversa a Firenze, dieci giovani si rifugiano per due settimane sulle colline. È un po’ ciò che han fatto quelli della Vineria dei Mir, che per primi hanno lanciato il j’accuse contro la “sagra della birra” e quest’anno si sono chiamati fuori. Si sono “rifugiati” a Besazio, sulle colline, dove venerdì e sabato sera, all’osteria La Palazzetta, si potevano degustare (gratuitamente e a volontà) ottimi vini di produttori della regione, e mangiare polenta di Bruzella con cassoeula o mortadella.

Le tradizioni, il buon bere, i piatti della tradizione, il piacere di stare insieme, sopravvivono nelle corti del nucleo, quelle che ancora non si sono convertite alla “caciara”. Ma quando esci, per le vie del borgo non trovi “il ribollir de’ tini” e “l’aspro odor d’ vini” che, come nella poesia di Carducci, va “l’anime a rallegrar”. Trovi orde di ragazzini (e non solo) ubriachi di birra e di vodka, e per terra cocci di bottiglie, lattine, cartacce di hamburger o di kebab. Per non parlare della piazza della chiesa o di piazzale alla Valle. E fuori dalla “cinta” decine e decine di bottiglie di alcolici vari abbandonate sui muretti delle case o davanti alle vetrine dei negozi, con gli immancabili buzzurri che pisciano negli angoli, sui cancelli o sulle gomme delle auto come i cani (visti personalmente), perché usare i “toi toi” è troppa fatica. Non è il carnevale. È la Sagra dell’uva.

Uberto Valsangiacomo, uno dei grandi produttori del Mendrisiotto, uno che dice pane al pane e vino al vino, è arrivato a una conclusione drastica: “Secondo me bisogna sospendere la Sagra per un paio d’anni, ripensarla profondamente e ripartire su altre basi e con una nuova organizzazione. Sono anni che denunciamo la deriva di un evento che dovrebbe promuovere il vino e i prodotti del territorio e non essere un modo per ‘far cassa’. Bisogna dare una linea chiara a questa festa. E non sono l’unico a pensarla così. Per ripensare la Sagra intendo valorizzare quel che già oggi c’è di bello attorno alle corti, puntare non sulla massa, ma sul pubblico che apprezza il vino e i prodotti del territorio”.

Valsangiacomo durante la Sagra gestisce un wine bar nella Corte della Banda. “Ma se mi proponessero di mettere una tendina nel nucleo direi di no. L’assenza, quest’anno, della Vineria dei Mir è un segnale chiaro, che anche le autorità politiche dovrebbero considerare attentamente”.

Del resto, la Vineria dei Mir scriveva in tempi non sospetti: “Ci siamo resi conto che i prodotti locali (vino in particolare) erano ben poco presenti alla festa, a vantaggio di prodotti esteri. Inoltre sembrava che per le diverse associazioni presenti, l’aspetto del guadagno avesse il sopravvento su quello della festa”. Queste considerazioni si trovano nero su bianco sul sito web della Vineria.

Altre esperienze dicono che non per forza una festa della vendemmia deve trasformarsi in “zona disagio”. La Bacchica a Lugano ha funzionato alla perfezione. Così come PerBacco! a Bellinzona, la festa che l’ha sostituita. Siamo certi che sarà così, anche il prossimo fine settimana per la Festa d’Autunno di Lugano.
“Dove c’è buon vino, servito in bicchieri di vetro – conclude Valsangiacomo – non c’è disagio”.

Sono gli organizzatori (e prima di loro il Municipio) che devono dettare le condizioni e decidere che tipo di pubblico vogliono: se quello che ama davvero i prodotti del territorio o un pubblico da capannone di carnevale. E devono decidere qual è l’obiettivo: avere la massa, per poter decantare 30'000 presenze, o puntare sulla qualità.
Certo che il biglietto comprensivo di treno gratuito, se da un lato è “socialmente corretto”, dall’altro attira gente che per il vino e la cucina nostrana ha ben poco interesse. 

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