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26.04.2016 - 07:330
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Negozi che chiudono, affitti alle stelle, 'spazi alienati', prospettive incerte... Cosa succede in città? Riflessioni sul tramonto della 'Lugano da bere' citando Vasco e Antonio Gramsci

L'ANALISI - Quel che sta succedendo nella “city” merita urgenti riflessioni. Senza drammatizzare, occorre cogliere i segnali che si stanno moltiplicando

di Marco Bazzi

Quel che sta succedendo nella “city” di Lugano merita qualche seria e urgente riflessione. Senza drammatizzare, occorre cogliere i segnali, senza dubbio negativi, che si stanno moltiplicando. Si potrebbe citare Vasco Rossi: “Cosa succede in città? C’è qualche cosa, sì, qualche cosa che non va!”…

Diversi negozi stanno chiudendo e i locali che occupavano restano sfitti. Hanno chiuso commerci storici, gestiti da luganesi, ma anche alcuni “monomarca” – Bulgari, Benetton, Armani - che negli ultimi anni avevano colonizzato l’area centrale che va da piazza Dante alla fine di via Nassa. E quando un negozio chiude, a meno che non sia per cessata attività, significa che non regge più dal profilo del mercato.

Ora, a Lugano girano affitti da capogiro che probabilmente vanno bene in via della Spiga a Milano o in via Condotti a Roma, perché lì, comunque, sulla massa di gente che ci passa per curiosare, una parte entra nei negozi a comprare.

Stiamo parlando, nel centro di Lugano, di una media di 2'000 franchi al metro quadrato, che per cento metri di spazio commerciale (e sono ancora pochi), fanno 200'000 franchi all’anno, più o meno 16'000 franchi al mese di solo affitto. La domanda è: ma possiamo ancora permetterci prezzi del genere?

Oggi in via Nassa, dove ai tempi d’oro c’era la corsa per accaparrarsi ogni cantuccio libero, ci sono tre negozi vuoti, quattro con l’ex Bulgari, dove dovrebbe entrare la catena di gioielleria Gubelin. Ma sarà davvero così?

E quanti altri negozianti (locali o internazionali) stanno valutando di chiudere senza che ancora lo si sappia?
Negli ultimi anni la struttura del commercio nel centro di Lugano è molto cambiata. Una volta la cornucopia, il corno dell’abbondanza della mitologia greca, buttava denaro senza interruzione: erano gli anni eroici della piazza finanziaria, il cui lento declino è stato in parte, ma solo in parte, compensato dall’insediamento di gente facoltosa.

L’economia girava e chi possiede edifici in centro ne ha approfittato sparando gli affitti alle stelle. Ma si sa che la gente si sposta facilmente, va e viene, se non ha radici che la leghino a un territorio. Come si spostano, facilmente, i domicili fiscali, anche di chi afferma di averle, le radici nel territorio.

Oggi, soprattutto nell’ultimo anno, il “mercato” ha subìto un preoccupante rallentamento, e i segnali ci dicono che la “Lugano da bere” non tornerà più. È chiaro che l’ente pubblico e la politica non possono imporre dei tetti sugli affitti. Ma, senza drammatizzare, qualche seria riflessione la devono fare.

Karin Valenzano, oggi capogruppo del PLR in Consiglio comunale, aveva segnalato il problema in una sua opinione durante la recente campagna elettorale: “Il fenomeno è davvero preoccupante e deve essere affrontato con estrema urgenza”, aveva scritto. “I negozi monomarca dovrebbero essere affiancati e integrati con commerci di offerte locali”. E ancora: “È urgente prevedere dei vincoli o dei bonus edificatori per poter incentivare l’insediamento di attività commerciali o turistiche”.

È difficile dire se questi strumenti “politici” saranno efficaci senza che vi sia una presa di coscienza collettiva sul tema di fondo: Lugano sta vivendo al di sopra delle sue possibilità. Ma le risorse che l’ente pubblico ha, finanziarie e politiche, le deve utilizzare per investire. Una città che mira solo al pareggio del bilancio o alla riduzione del debito pubblico, rischia di morire. E il discorso vale anche per il Cantone.

I costi sono sempre più alti, altri alberghi chiuderanno, come hanno chiuso (o sono passati di mano con prospettive incerte) ristoranti e locali pubblici.

Qualcuno mi diceva: “Il centro di Lugano è ormai uno spazio alienato, un mercato anacronistico”. Ma forse è anche questo un concetto che vale un po’ per tutto il Ticino…

Dicono che perfino il concorso aperto dalla Città per affittare i locali dell’ufficio turistico, sulla parte di Palazzo civico che dà verso il lago, sia andato deserto: nessuno aveva intenzione di sborsare 66'000 franchi all’anno, che sono ancora pochi rispetto agli affitti di via Nassa.

Ma sembra che anche i negozianti che si sono trasferiti negli spazi commerciali dell’ex Palace si stiano lamentando, perché si sono resi conto che gli affitti sono insostenibili in rapporto al giro di affari.

E qui si apre un altro discorso ancora. È vero che il LAC funziona, che la sala è sempre piena quando ci sono concerti e spettacoli teatrali, e che ha avuto il merito di prolungare il centro  verso Paradiso. Ma con questi eventi non si attirano i turisti. O almeno non nella misura in cui sarebbe necessario oggi a Lugano.

L’ho già scritto, ma lo riscrivo: senza le grandi mostre, di richiamo internazionale, la cultura non fa turismo. Genera soltanto costi. E al LAC, per ora, le grandi mostre non si vedono nemmeno all’orizzonte. Ma non si vede nemmeno chi potrebbe organizzarle.
Non è con una collezione privata di arte moderna, per quanto pregevole e pregiata, che si attirano le masse affamate di cultura. Quelle che, dopo aver visitato una mostra potrebbero visitare i negozi, occupare alberghi e ristoranti.

E già che ci siamo, riapriamo anche la piaga della ristorazione, che nel Palazzo della cultura resta una povera Cenerentola.

È la visione d’insieme che manca o è mancata. E il sistema che fino a qualche anno fa funzionava si è inceppato e rischia di provocare gravi danni alla “Città futura”, per usare un termine gramsciano.
E chiudo proprio con una citazione da quel libro di Antonio Gramsci che, al di là dell’ideologia e delle posizioni politiche, molti dovrebbero leggere: “Tra l'assenteismo e l'indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un'eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch'io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?”.

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