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31.08.2018 - 09:480
Aggiornamento: 03.09.2018 - 09:08

Dell'Ambrogio bombastico: "La sanità deve essere a due velocità. Ma la mia è una lamentela nel deserto"

"Il pagamento a carico della società per tutto quando va sotto il titolo “salute” porta prima o poi all’insostenibilità economica"

di Mauro Dell’Ambrogio * (da Opinione Liberale)

 

Nel medioevo immense risorse pubbliche e private erano investite in cattedrali e pellegrinaggi, per tentare di garantirsi la salvezza eterna. Oggi si investono risorse altrettanto immense in diagnosi e terapie per conseguire la salute terrena. L’umanità persegue in altri modi l’immortalità.

 

Il paziente di oggi è spesso non dissimile da un fedele. Non si cura più per vivere ma vive per essere curato, reso e mantenuto sano, possibilmente anche bello e felice.

 

Questa tendenza di molti individui diventa obbligo a carico di tutti, come una volta con le decime anche i miscredenti pagavano la salvezza dell’anima di chi ci credeva. Ben oltre la cura immediata da una malattia, si paga la ricerca del benessere: secondo la larga definizione che l’Organizzazione Mondiale della Sanità dà della salute.

 

Con questa definizione, ammalati di qualcosa lo siamo tutti, paziente è chi lo vuole. Il consumo di cure e di medicinali cresce; ma con esso crescono più le aspettative che il benessere, senza contare i danni collaterali.

 

La recente condanna (nel 2006) di un noto psichiatra ticinese ha dimostrato il circolo infernale: tra il paziente che deve dimostrare di essere ancora malato per non perdere rendite sociali, il consumo di cure per dimostrare l’esistenza della malattia e il medico che trae guadagno da questo consumo ed è nel contempo giudice della malattia.

 

Di questi circoli infernali è intriso il nostro sistema sociale e sanitario. La spesa per la sanità, come quella per l’istruzione, misura tradizionalmente il grado di sviluppo di una società, teoricamente la qualità di vita, ma oltre una certa soglia ne misura la decadenza.

 

La sanità deve essere a due velocità, necessariamente. La prima è quella dei consumi i cui costi sono socialmente ripartiti, ai quali bisogna saper porre limiti: le cure salva-vita per intenderci. La seconda velocità ha da essere pagata da chi consuma: la chirurgia estetica ne è (ne era?) l’esempio classico.

 

Negare la distinzione e imporre, in nome dell’uguaglianza, il pagamento a carico della società per tutto quando va sotto il titolo “salute” porta prima o poi all’insostenibilità economica. Che uguaglianza può mai esserci tra l’ipocondriaco e chi preferisce morire dignitosamente che essere a carico degli altri?

 

Di fatto il limite tra le due velocità si sposta, inevitabilmente, a vantaggio della prima. Ad esempio con le cosiddette terapie alternative, che si volevano (nel 2006) mettere a carico dell’assicurazione obbligatoria, con l’argomento che chi ci crede e le sceglie evita così di ricorrere a terapie ufficiali più costose.

 

Con questo argomento, visto che un modo efficace e poco costoso per restare in buona salute è mangiare verdura, anche la verdura per tutti dovrebbe pagarla la cassa malati.

 

All’orizzonte (2018) c’è, con argomenti simili, un’iniziativa per autorizzare categorie di professionisti della salute a dispensare cure a carico dell’assicurazione malattia anche senza prescrizione medica.

 

E per un medicamento non incluso tra quelli a carico dell’assicurazione malattia non ci si limita a fare una colletta pubblica in favore di un bimbo malato, ma si mettono alla gogna gli assicuratori; cui scappa la voglia di proteggerci dall’aumento dei premi.

 

Da un punto di vista socialista, può disturbare che taluni possano consumare “cure” (cosa non può rientrare in questa definizione?) che altri non possono permettersi.

 

Da un punto di vista liberale disturba invece che gioie “più sane” della vita, come le vacanze o un ristorante, diventino inaccessibili al ceto medio perché costretto a pagare le “cure” di altri.

 

Certo è più comodo dare la colpa ai bassi salari o illudere che basta far pagare i ricchi per tutti. Di fatto la spesa pubblica per la salute va a scapito di altre: a cominciare dalle infrastrutture e dalle basi di benessere per le generazioni future.

 

La mia è una lamentela nel deserto. La maggioranza, sommando chi lavora nel settore con chi ha i premi sussidiati o vive di prestazioni sociali, vorrà sempre più cure a carico della collettività. Ma intanto ascoltiamo le recriminazioni farisee contro i prossimi aumenti dei premi.

 

* segretario di Stato alla ricerca

 

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