di Antonella Rainoldi*
Innanzitutto ringrazio Marco Bazzi per avermi ospitata su «Liberatv». Per la stampa nostrana, e sottolineo nostrana, da qualche tempo sono un fantasma. Non mi lamento. Ho una causa in corso, non sono mai stata iscritta a niente, non appartengo alle mafiette corporative locali.
Se oggi rompo il silenzio, grazie a Marco, è perché le pagine de «Il Caffè» di domenica scorsa dedicate al Consiglio del pubblico della CORSI e ai programmi RSI promossi e bocciati hanno catturato la mia attenzione di giornalista, per molti anni critica televisiva di «Azione» e curatrice delle interviste ai personaggi della tivù. Per i più distratti, il Consiglio del pubblico rappresenta l’utenza radiotelevisiva e ha il compito di analizzare e valutare i programmi della RSI.
Ora, è probabile che i suoi membri lavorino con impegno. Ma uno di loro, Giulia Fazioli, ha detto una di quelle cose che ti fanno cadere le braccia: «Può capitare che qualcuno di noi, a volte, si improvvisi ‘critico’ televisivo, ma è un rischio che in generale non corriamo. Prima di tutto perché il monitoraggio avviene tra gruppi di lavoro, e poi non entrano in campo simpatie e antipatie per un genere o gusti personali». C’era bisogno di una simile precisazione? Il critico televisivo studia, si interroga sul mezzo, partecipa a convegni e a dibattiti sulla tv. Non ho mai visto un membro del Consiglio del pubblico della CORSI, uno solo, partecipare a convegni e dibattiti sulla tv.
Come ricorda spesso Aldo Grasso citando Davila, «il critico formula giudizi impersonali solo quando è venduto». E ancora: «Il grande critico è la somma tanto delle sue eccentricità e dei suoi capricci quanto dei suoi giudizi azzeccati». Lo stesso Grasso – grande critico del «Corriere della Sera», amatissimo da chi vi scrive e dalla RSI – ha le sue preferenze personali, le sue simpatie e antipatie, le sue fole, e non le nasconde.
Per non parlare di Sergio Saviane. Non si ricorda, nella storia meno recente della critica tv, un altro professionista così determinato a smascherare i meccanismi perversi del potere, così deciso nel denunciare storture e sopraffazioni, così risoluto a non fermarsi davanti a nulla, così disposto a fare bene il proprio lavoro.
La distanza che divide il lavoro del critico da quello del Consiglio del pubblico della CORSI è da cima abissale. Lo stesso vale per i criteri di scelta del critico e del Consiglio del pubblico. Come testimoniano le schede dei programmi RSI promossi e bocciati, apparse domenica sulle pagine de «Il Caffè», il Consiglio del pubblico non vuole mai dispiacere a nessuno, non riesce mai a essere tranchant, abbraccia le mezze tinte, accarezza, strizza l’occhio, tiene annodati sempre tutti i fili. Si capisce il perché.
*giornalista