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Salute e Sanità
17.01.2015 - 09:570
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Tra medicina e ricerca, Christian Garzoni: "Vi racconto la mia guerra quotidiana contro le infezioni e come combattiamo batteri sempre più resistenti"

Specialista in medicina interna e malattie infettive, il giovane medico ticinese continua in parallelo l'attività accademica e di ricerca a Berna

LUGANO – Quando si ha la passione per la medicina, unita a quella per la ricerca, è possibile portarle avanti anche dal nostro Ticino? Sì, secondo PD Dr. Christian Garzoni, attivo in qualità di specialista in medicina interna e malattie infettive presso la Clinica luganese e tutt’ora impegnato nell’attività accademica di ricerca con l’Inselspital di Berna, da cui, nel novembre 2011 è approdato alla Moncucco e dove svolge ancora il ruolo di libero docente.
“Una delle condizioni per tornare in Ticino – spiega –  era proprio quella di poter continuare, anche da qui, la mia attività accademica. E grazie a internet posso tranquillamente proseguire gli studi epidemiologici a livello dello Studio di Coorte Svizzera dei Trapianti, per cui sono diventato responsabile per il Canton Ticino. Continuo inoltre a collaborare con l’Istituto di Microbiologia e il servizio di malattie infettive, sempre dell’Università di Berna, per dei progetti mirati nell’ambito delle malattie infettive dei pazienti con il sistema immunitario compromesso”.

Una risposta in cui, per molti dei non addetti ai lavori, sono già contenuti alcuni termini quantomeno ‘oscuri’. Cominciamo innanzitutto col capire cos’è quindi uno “specialista in malattia infettive”. 
“Spesso anche i miei amici non sanno cosa faccio. Nell’ultimo periodo poi – scherza Garzoni –, in molti pensavano mi occupassi solo di ebola…! In realtà a livello ospedaliero si tratta soprattutto di gestire in maniera ottimale diagnosi e terapia in caso di infezioni complesse o in pazienti molto deboli, come quelli affetti da malattie tumorali o reumatologiche. Inoltre, negli ultimi anni purtroppo si è assistito a un rapido aumento dei batteri multi-resistenti agli antibiotici. Diventa pertanto sempre più difficile per chi non è specialista scegliere l’antibiotico più appropriato, e qui subentriamo noi”. 

Inoltre, aggiunge, una parte del suo tempo è anche occupata nel ‘servizio di prevenzione delle infezioni’: “Si tratta, in sostanza, di ottimizzare tutte le misure in grado di evitare la trasmissione delle infezioni all’interno degli ospedali. Servizio che, negli ultimi anni, è diventato un pilastro essenziale per ogni istituto di cura e in quest’ottica anche la Clinica Luganese ha deciso di ottimizzare le misure preventive creando un Servizio di malattie infettive vero e proprio. Grazie alla mia esperienza con persone dal sistema immunitario ‘indebolito’, sono contento di essere diventato anche referente per molti casi di pazienti trapiantati, reumatologici, oncologici del Cantone, sia a livello ambulatoriale che ospedaliero. Vi sono poi le consultazioni puntuali per problemi di malattie sessualmente trasmissibili e di patogeni trasmessi da insetti o zecche. Infine, vengo anche consultato nei casi di febbre di origine non chiara, che il più delle volte però risultano legate a malattie tumorali o reumatologiche, mentre solo in un terzo dei casi la causa è una infezione”.

Fin da studente, racconta Garzoni ripensando agli inizi, che l’hanno visto, dopo la laurea all’Università di Basilea, cominciare qui in Ticino un percorso in medicina interna al fianco di due grandi maestri come il dottor Giovanni Mombelli e il dottor Carlo Tosi, “sono rimasto affascinato dalla cronica battaglia che il corpo umano deve sostenere contro gli agenti patogeni. Viviamo infatti in un mondo pieno di batteri, virus, funghi… eppure, grazie alle nostre difese immunitarie, riusciamo a essere praticamente sempre sani. A volte però l’agente infettivo ha il sopravvento e ci ammaliamo. Ecco il motivo per cui ho intrapreso questa strada: è lo studio di una guerra quotidiana, ed è estremamente affascinante!”

Mentre parla, l’entusiasmo nella sua voce è quasi palpabile: essere medico non è semplice lavoro, ma una passione che gli ha permesso di mantenere nella sua vita la biologia, la ricerca e la tecnica, discipline da cui ci dice di esser rimasto affascinato ancor prima di scegliere gli studi in medicina che a quest’ultime hanno permesso di accompagnare anche il lato umano della scienza. “È un campo dove la ricerca di base trova molto rapidamente una sua applicazione. Ma nella pratica quotidiana delle malattie infettive, vissute come dottore, c’è tanto il coté legato alla ricerca d’avanguardia e alla biologia molecolare, quanto il rapporto umano con le persone che si curano, i propri pazienti”. 

Rapporto che però non era possibile sviluppare a pieno in una grande realtà quale è quella di un ospedale universitario: “È stata proprio la possibilità di poter avere contatti più regolari con i pazienti a spingermi ad accettare la proposta della Clinica luganese. Una particolarità della struttura privata è proprio il rapporto estremamente privilegiato, praticamente 1 a 1, tra medico e paziente. Il mio lavoro a Berna era invece in parte diverso sotto questo punto di vista: ero prevalentemente chiamato come consulente e spesso si trattava di un contatto puntuale e limitato nel tempo. Sentivo la mancanza di quel rapporto sul lungo periodo, in cui si crea una “relazione” con il paziente”. 

Il gap, se pensiamo all’avanguardia e alla conoscenza di cui, per natura, un grande polo universitario dispone, sarà stato però importante: non ha mai sentito un divario di questo tipo fra le due realtà? “Altro vantaggio che una realtà privata ha rispetto a un grosso Ospedale Universitario è la dinamicità. Le decisioni possono essere prese in maniera molto più rapida e incisiva. Inoltre alla Moncucco lavorano ottimi specialisti e sotto-specialisti. Una rete estesa e completa grazie a cui la Clinica Luganese può oggi offrire una medicina di alta qualità e di gestione complessa, paragonabile a quella di ospedali di taglia maggiore, perciò non ho mai veramente rimpianto il sapere che trovavo all’Inselspital di Berna. E se dovessi trovarmi confrontato con casi molto particolari, so comunque di poter sempre contare facilmente su contatti specialistici sia a Berna che a livello Svizzero”.

Contatti che Garzoni ha costruito durante i lunghi anni di esperienza sul campo seguiti alla conclusione della formazione in medicina interna a Basilea: prima con i periodi di ricerca a Zurigo, nell’ambito del corso di ‘medicina sperimentale’, e a Ginevra, presso il servizio di malattie infettive dell’Ospedale Universitario (dove ha ottenuto il titolo di FMH di malattie infettive); poi, nel 2007, a Berna, dove si è occupato della creazione del servizio per le ‘malattie infettive nei pazienti trapiantati e immuno-soppressi’, diventando, l’anno seguente, sempre in seno all’Università e al suo nosocomio, il responsabile di un grosso studio di coorte dei pazienti trapiantati. “In Svizzera, da quel momento – spiega –tutti i pazienti che subiscono un trapianto di organo solido (fegato, reni, polmone, cuore…) vengono inseriti in un registro nazionale. Strumento che io come i miei colleghi del gruppo malattie infettive delle altre università utilizziamo per meglio capire l’epidemiologia, la prevenzione e la cura delle malattie infettive in questi pazienti delicati”.

Basilea, Zurigo, Ginevra, Berna, lo stesso Ticino… molte le realtà che Garzoni ha vissuto in qualità di medico agli esordi. Com’è cambiata, se lo è, la formazione dei giovani? Come giudica le condizioni quadro a cui si va ora incontro scegliendo questa strada?
“Nel percorso per diventare un medico, tutto si gioca sull’acquisizione dell’esperienza necessaria e il sistema che ho vissuto personalmente, pur con le sue pecche, ha avuto certamente il pregio di permettermi di poter approfittare al meglio del sapere trasmessomi dai grandi “maestri” che ho avuto la fortuna di incontrare. Negli ultimi quindici anni però moltissimo è cambiato: ancora nel ’99, quando ho iniziato, nessuno parlava di “tetto lavorativo di cinquanta ore settimanali” o di orari dei medici assistenti. Erano periodi relativamente duri, ma in pochi anni si accumulava  grande esperienza. Oggi quindi le condizioni di lavoro sono sicuramente migliorate: oltre al rispetto di un monte ore massimo, c’è anche l’obbligo degli istituti di organizzare delle formazioni strutturate”. 

Qualche pecca, sottolinea Garzoni, però resta: “Purtroppo, a causa di scelte discutibili, la Svizzera ha un manco chiaro di medici. Gli ospedali presentano quindi una penuria cronica di dottori che, lato positivo della medaglia, si traduce in maggiori possibilità lavorative per gli assistenti. Ma l’accesso alle specialità e sotto-specialità rimane ancora difficile: anche a causa di un sistema relativamente “protezionistico”, i posti di formazioni negli ospedali universitari restano infatti insufficienti. La Svizzera finisce quindi col formare un numero insufficiente sia di medici specialisti sia generici ed è obbligata a colmare i vuoti ricercando medici all’estero”.

E per quanto riguarda i giovani ricercatori? La situazione è altrettanto critica? “Se si collabora con un ospedale o con un gruppo ‘ben avviato’, a livello quindi di medico assistente, le possibilità sono buone – risponde Garzoni –. In questa fase non si ha infatti la preoccupazione di dover generare il denaro necessario per coprire i costi della ricerca. Con gli anni però la componente di ‘autonomia finanziaria’ diventa sempre più importante ed è forse questa la grande difficoltà e il grande problema del fare ricerca oggi”.

In conclusione, visto il periodo dell’anno, la domanda nasce da sé: cosa si augura di vedere, dal profilo lavorativo, nel suo futuro? 
“Comincio a rispondere dal passato: sin dalla fine degli studi, che mi vedevano altrove, sono sempre stato fiero delle mie origini e  ho mantenuto un grande interesse per la realtà ticinese. Negli anni ho saputo quindi crearmi una rete di conoscenze e amicizie con svariati colleghi del Cantone. Questo mi ha aiutato, dopo il mio rientro alla Clinica Luganese, nel costruire sinergie con molte delle altre strutture sanitarie attive sul territorio. È su questa strada che credo proseguirà anche il mio futuro, con l’obbiettivo di creare ulteriori legami con le strutture pubbliche e private del Ticino, cercando di favorire le peculiarità, spesso nate per motivi storici, dei singoli istituti. In questo senso, spero che il master di medicina che dovrebbe costituirsi possa fungere da catalizzatore e “compattare” tutta la sanità della svizzera italiana, dando vita a un vero e proprio polo cantonale, in cui i singoli attori, compresa la Clinica Luganese, giochino di squadra per correre tutti insieme in avanti. E questo per il bene della nostra popolazione”. 

IB

 

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