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Salute e Sanità
13.10.2016 - 09:220
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

"Vi dico tutto". Il Cardiocentro, la politica, "Prima i nostri", la pianificazione ospedaliera, le casse malati. Dante Moccetti: "Le eccellenze sanitarie ticinesi devono mettersi in rete e non farsi la guerra"

Intervista al direttore dell'ospedale del cuore: "La nostra forza è l'indipendenza. L'Istituto di medicina rigenerativa che stiamo costruendo al palazzo Mizar un'occasione straordinaria: si sono fatti vivi ticinesi che vivono negli USA disposti a tornare. Beltraminelli nel CdA dell'EOC per me è un errore, che paga soprattutto lui. I premi aumentano eccessivamente, mi piacerebbe capire cosa guarda Mister Prezzi....Figlio di papà? Giudicatemi dai risultati"

LUGANO - Il Cardiocentro, la politica, "Prima i nostri", la pianificazione ospedaliera, il fatto di avere un ruolo di prestigio nell'istituto fondato da suo padre. Parla di tutto Dante Moccetti e non si sottrae a nessuna domanda, neppure a quelle più cattivelle e, forse, più intime. 

 

E non è scontato che in un'intervista ciò accada. Soprattutto quando si ha a che fare con uno dei principali manager della sanità ticinese. Non un politico dunque che, bene o male, è tenuto a rispondere su tutto...o quasi.

 

Dante Moccetti, in qualità di direttore, in coppia con Fabio Rezzonico, è al vertice della gestione del progetto Cardiocentro. Un progetto che, come vedremo, non è soltanto l'ospedale del cuore che tutti i ticinesi conoscono. Accanto all'istituto si stanno infatti sviluppando progetti di ricerca e di terapia d'eccellenza che spaziano dalle cellule staminali alle più sofisticate tecniche di ricerca. Punte di diamante della sanità ticinese. 

 

"Sono stato il primo dipendente del Cardiocentro", attacca la chiacchierata Moccetti. "Avevo 25 anni ed ero appena tornato dagli Stati Uniti. Il dottor Zwick mi propose la sfida di partecipare alla creazione del primo centro cardiologico in Ticino. Colsi al volo quell'opportunità e fu un'esperienza entusiasmante che dura ancora oggi. Fui nominato segretario della Fondazione e collaborai con persone straordinarie - medici, architetti, ingegneri, costruttori - all'ideazione e alla realizzazione del Cardiocentro. Pensi che il cantiere durò appena 17 mesi. E questo dimostra che fin dal principio abbiamo avuto il dinamismo e la volontà di fare le cose bene e in tempi brevi"

 

"E il lavoro degli anni successivi - prosegue Moccetti sull'onda dei ricordi - è stato ancora più appassionante. Siamo partiti con 86 dipendenti nel 1999 e oggi siamo in 400. Un'evoluzione straordinaria, quasi incredibile, non solo dal punto di vista del personale o delle terapie, ma anche delle tecnologie e della ricerca che abbiamo saputo sviluppare. Abbiamo intuito per tempo che la nuova frontiera della medicina sarebbero state le cellule staminali. Siamo stati i primi in Svizzera ad impiantare delle cellule staminali nel cuore. E ora stiamo costruendo l'Istituto di medicina rigenerativa al palazzo Mizar a Molino Nuovo. Trovo che sia una location fantastica per un progetto di questa portata, perché è situata tra l'Università, i nuovi campus, il centro di calcolo federale e, naturalmente, gli ospedali". 

 

Da un punto di vista strategico ed economico, questo allargamento significa che il Cardiocentro non è più il vostro core business?

"No, io direi piuttosto che abbiamo allargato il nostro core business. Partiamo sempre dal cuore ma il nostro progetto è quello di mettere sotto lo stesso cappello anche altre specialità di punta. Le cellule staminali, certo, ma anche l'acquisto di tecnologie e costosissime facilities. In Ticino è difficile trovare le risorse necessarie per un ambito così vasto, delicato e finanziariamente gravoso. Noi vogliamo realizzare queste opportunità per metterle a disposizione dell'intero sistema sanitario ticinese. Sono infatti convinto che le eccellenze sul territorio devono mettersi in rete, e non farsi la guerra, per produrre una medicina di punta che sia davvero in grado di fare concorrenza alla Svizzera interna". 


Ci sarà anche un profitto, no?

"Le buone idee portano sempre un profitto e, francamente, non vedo cosa ci sia di sbagliato se poi questi soldi servono sostanzialmente a fare nuovi investimenti. Noi non siamo una SA che deve produrre utili per manager e azionisti! Non dimentichiamo poi che il volano economico prodotto da questi progetti è a beneficio dell'intero sistema Ticino. Ma il punto centrale resta sempre l'aspetto sanitario e i relativi benefici, di cui potranno godere tutti i pazienti ticinesi, non solo quelli del Cardiocentro". 

 

Il fatto però che voi siate una fondazione privata, convenzionata con l'EOC, all'interno della sanità ticinese genera sempre diffidenze e critiche. Come risponde?

"Iniziamo con il ribadire un punto fondamentale: la Fondazione Cardiocentro è no profit. E poi vorrei spiegare che il nostro modello ci ha permesso di essere concentrati unicamente sugli obbiettivi da raggiungere. Il fatto di essere indipendenti ci ha consentito di tagliare diversi traguardi importanti. Noi partiamo con un'idea, la sviluppiamo e la realizziamo in tempi brevi. Altre realtà fanno più fatica perché c'è di mezzo la politica. Non dico che sia un male, ma inevitabilmente rallenta i processi. Perché su ogni cosa giocoforza deve esserci una condivisione maggiore". 

 

A suo avviso come si potrebbe liberare maggiormente la sanità ticinese dalle lungaggini della politica?

"Penso che bisognerebbe liberare i vertici, chi è chiamato a decidere insomma. Avere ad esempio un ministro della sanità che sia totalmente libero di scegliere quale strada intraprendere. Il fatto che Paolo Beltraminelli sieda nel CdA dell'EOC secondo me è un errore. Perché se non sedesse in quel Consiglio sarebbe più forte nel portare avanti le proprie idee e anche nel confronto con il Parlamento. Darebbe insomma più forza a se stesso ma anche all'EOC. L'Ente ha delle risorse d'eccellenza incredibili. E talvolta queste energie, come dicevo, sono frenate da un'eccessiva politicizzazione". 
 

A proposito. Nel 2020 scadrà la famosa convenzione fra voi e l'EOC che, stando così le cose, porterà all'assorbimento del Cardiocentro nell'Ente. Voi avete più volte ribadito l'dea di rinegoziare. Qual è la vostra proposta? 

"Al momento non mi posso sbilanciare nel merito perché sono in corso delle discussioni. Discussioni che stanno ponderando tutte le esigenze e le peculiarità delle parti in campo. Ma più di tutto al centro del confronto tra le parti c'è l'interesse dei pazienti ticinesi. Sono comunque fiducioso che troveremo una soluzione che possa andar bene a tutti. In ogni caso, quando ci saranno delle comunicazioni di merito, sarà il Consiglio di Fondazione a parlare: l'unico organo che, per quanto ci riguarda, può esprimersi su questo tema". 

 

Tornando a lei. Che rapporto ha con i medici nella sua veste di direttore che ha il compito di amministrare e non ha studiato medicina?

"Mi sono sempre sentito al servizio dei medici. Il mio compito è quello di essere a loro disposizione per realizzare i progetti e le visioni che hanno in mente. Il mio mestiere è, prima di tutto, quello di incoraggiare le idee e trovare in ogni modo le soluzioni migliori per renderle possibili". 

 

 

Vorrei fare un passo indietro. All'inizio dell'intervista quando mi ha raccontato che è stato il primo dipendente del Cardiocentro. Ovviamente questo è stato possibile anche per la presenza di suo padre. Oggi è direttore. Come vive le malelingue che affermano che lei è il figlio di papà che si è trovato la pappa pronta senza particolari meriti? È una cosa che la disturba o che la fa soffrire?

"Inutile negarlo: è una cosa che inevitabilmente esiste. Mi piace rispondere che nonostante la mia presenza nel Cardiocentro i risultati si vedono….(ride, ndr). Però devo dire che all'interno del Cardiocentro ancora oggi si percepisce fortissimo l'entusiasmo contagioso di mio padre che, soprattutto, dà fiducia a chi vuol fare. A tutti, non solo a me".  

 

Giudicatemi dai risultati, risponde lei insomma. 

"Io penso che sia giusto così. E paradossalmente, al contrario di quel che si pensa, essere figlio di mio padre non è sempre un vantaggio. Perché per essere credibile mi tocca spesso dover dimostrare il doppio o il triplo degli altri. Un po' come i ticinesi quando vanno a studiare oltre Gottardo. Ma io lo sforzo lo faccio volentieri perché credo sia corretto farlo. Poi, come in ogni campo della vita, non avrai mai tutti dalla tua parte, ci sarà sempre qualcuno che ti gioca contro o parla male di te. Bisogna saperlo accettare serenamente".
 

Lei ha avuto anche un breve trascorso in Gran Consiglio. Le manca la politica?

"La politica mi appassiona sempre, dopo bisogna saperla fare. In Parlamento ho fatto fatica: la dimensione pubblica non era la mia dimensione e inoltre nel mio partito allora c'era una litigiosità che non mi appartiene. Ma detto questo ho apprezzato molte persone che siedono in Parlamento e ammiro il sacrificio e l'impegno che ci mettono. Vado un po' controcorrente:  provo dispiacere quando si giudica superficialmente il lavoro dei deputati, perché so la passione e il lavoro che c'è dietro un Parlamento di milizia. Naturalmente parlo di chi ricopre questa carica per ideali e per portare un onesto e sincero contributo allo sviluppo del Paese. Sono molti di più di quello che molta gente crede". 

 

Restiamo sulla politica. Questi ultimi giorni sono stati segnati dall'iniziativa "Prima i nostri". Come ha vissuto il risultato di quella votazione da direttore di un centro  che assume sia residenti, che stranieri, che frontalieri?

"Credo che bisogna sempre guardare le cose dalla giusta distanza. Facciamo un esempio. C'è la Confederazione che non sforna abbastanza medici. Ora si è corso ai ripari ma ci vorranno anni per recuperare questo gap. E allora nel frattempo devi andare a prendere le persone dove le hanno già formate. La Svizzera, da questo punto di vista, paga una scelta politica che da una parte punta a una formazione di altissimo livello, ma dall'altra non soddisfa le richieste del territorio. Io sono totalmente d'accordo sulla necessità di tutelare il lavoro residente, ma bisogna creare anche le condizioni quadro a livello di sistema Paese perché ciò avvenga". 

 

Si spieghi meglio.

"Nel campo della ricerca ci sono delle persone che forzatamente devi andare a prendere all'estero se vuoi mantenere un livello d'eccellenza. Ma ci sono anche tante persone altamente qualificate in Ticino o che pensano di tornare se il nostro Cantone saprà realizzare delle strutture all'avanguardia. Pensi che da quando abbiamo lanciato il progetto al Mizar, si sono fatti vivi anche ticinesi che vivono negli Stati Uniti disposti a rientrare. Queste sono le condizioni quadro".

 

D'accordo, ricercatori e scienziati, ma se guardiamo per esempio alle infermiere qual è la situazione?

"Il Cardiocentro ha una componente di frontalierato che è fondamentale per far funzionare l'ospedale. Ma noi cerchiamo sempre prima in Ticino i profili che ci occorrono. E ci fa molto piacere quando possiamo assumere un'infermiera o un altro lavoratore che vive qui. Ma non è solo una questione politica: mantenere vivo e forte un legame con le persone del territorio porta benefici tangibili all'intera struttura. Pensi solo al rapporto con i pazienti". 

 

Due risposte flash per concludere. Cosa ne pensa dell'ultima pianificazione ospedaliera che tanto ha fatto discutere il Ticino?

"A mio avviso la pianificazione non deve essere fatta dal Parlamento. È il Governo che deve assumersi questo compito e questa responsabilità. Noi e Ginevra siamo gli unici cantoni in cui la pianificazione viene decisa dal Gran Consiglio. E in Parlamento, lo sappiamo, convivono interessi ed esigenze diverse. Se vogliamo parlare di modelli pianificatori, secondo me dobbiamo seguire quello di di Zurigo. Ma tornando al nocciolo della sua domanda le rispondo che l'ultima pianificazione soddisfa un po' tutti, quindi non soddisfa nessuno. Direi che per il 60% è ben fatta. Ora bisogna lavorare per migliore il 40% restante".
 

E infine le casse malati. Cosa ne pensa dell'ultimo salasso sui premi?

"Le casse malati hanno una lobby talmente potente a livello federale che riescono a imporre anche quello che non dovrebbero poter imporre. Per me gli aumenti sono eccessivi. Mi piacerebbe capire mister Prezzi cosa guarda... Detto questo però è evidente che le prestazioni che le casse malati sono tenute a rimborsare sono troppe".   

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