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Salute e Sanità
10.12.2017 - 06:500
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Chi ha paura dell'anestesia? L'ansia, il timore del risveglio, o del sonno eterno... Il dottor Frédéric Lelais racconta come la medicina gestisce il dolore: "Anche con l'ipnosi". E spiega l'importanza di quel “medicamento, purtroppo poco usato, che si chi

Il medico: “Vogliamo far capire al paziente che è al centro della nostra attenzione, insegnargli ad essere un paziente: non vogliamo che si abbandoni nelle mani di un medico, ma che sia protagonista della propria guarigione, anche nell’affrontare l’intervento… E queste secondo me non sono sole le nuove frontiere dell’anestesiologia, ma anche quella della medicina generale e d’urgenza”

GRAVESANO - Anestesia, dal greco “ἀναισθησία - anaisthesìa”, significa privazione della percezione. Più in generale, abolizione reversibile della sensibilità, della coscienza e del dolore associato ad un rilassamento muscolare. Da millenni l’uomo cerca di ridurre la sofferenza fisica: già nel 3000 avanti Cristo in Mesopotamia si "narcotizzava" il paziente comprimendo le carotidi per fargli perdere coscienza. In seguito, gli Egizi utilizzarono la neve per diminuire la sensibilità o la cosiddetta "pietra di Menfi" sbriciolata sulla parte dolente.

Poteri sedativi erano attribuiti nel mondo romano alla mandragora e col passare dei secoli vennero utilizzate sostanze come hashish, oppio, alcool, eccetera.

Oggi l’anestesiologia è una branca molto importante della medicina e utilizza tecniche sofisticate e sicure. Negli ultimi anni sempre di più si abbina alle tecniche anestesiologiche l’ipnosi quale strumento complementare. Ed è in particolare di questa tecnica che abbiamo parlato con il dottor Frédéric Lelais. Quarantacinque anni, laureato in medicina a Basilea, si è specializzato in anestesiologia dopo aver lavorato nei reparti di medicina interna all’Ospedale Malcantonese di Castelrotto e chirurgia e medicina all’Ospedale regionale di Lugano. Ottenuta la specializzazione nel 2008, è stato capoclinica all’Ospedale universitario di Basilea e poi all’Ospedale Regionale di Lugano. Nel 2015 è stato direttore sanitario del Servizio Autoambulanza del Mendrisiotto presso il quale è tuttora medico d’urgenza, e dall’anno scorso lavora in Hospita Suisse Anesthesia Care come sostituto direttore sanitario e responsabile del servizio di anestesiologia della Clinica Ars Medica.
Nel 2013 ha conseguito il diploma universitario di anestesiologia loco-regionale all’Università Paris Nord-Paris 13 e da alcuni anni è anche abilitato come medico specializzato in ispezioni legali.

Iniziamo dalla paura: perché molti pazienti temono l’anestesia?

“Fondamentalmente – dice il medico - perché devono mettersi nelle mani di uno “sconosciuto” e perdono completamente, o almeno in parte, il controllo su se stessi. A questo si aggiunge inoltre lo stato d’ansia generale legato all’intervento chirurgico, la paura degli aghi, anche se non sono più dolorosi che una puntura di zanzara, la paura del dolore, di non risvegliarsi, o di svegliarsi durante l’intervento…. In fondo ci sono tantissimi motivi per cui un paziente sottoposto ad un’anestesia per un intervento chirurgico o per un esame diagnostico abbia ragionevolmente paura. Ecco, uno dei compiti dell’anestesista è cercare di fare in modo che i pazienti si fidino completamente di noi”.

“Cerchiamo insomma”, spiega il dottor Lelais, “di trasformare questa paura in qualcosa di positivo. Utilizzando un “medicamento”, purtroppo poco usato, chiamato “empatia” e con l’aiuto di un’adeguata comunicazione terapeutica si crea un rapporto di fiducia tra medico e paziente. L’obiettivo è, da un lato, di far capire al paziente che è al centro della nostra attenzione e che noi saremo sempre al suo fianco per sostenerlo e proteggerlo e d’altro canto di fargli capire che ha delle risorse interne, nascoste da qualche parte dentro di sé, che può utilizzare, inizialmente sempre con il nostro aiuto, per trasformare questa situazione di stress e di paura in qualcosa di positivo con lo scopo finale di favorire il benessere e la guarigione”.

Veniamo ora all’ipnosi applicata all’universo dell’anestesia e del dolore…

“Come detto precedentemente l’ipnosi è uno strumento complementare alle tecniche farmacologiche - che troviamo nel bagaglio dell’anestesista - che permette di accompagnare il paziente verso le sue risorse interne. L’ipnosi è uno stato di coscienza modificato, più rivolto verso l’interiore di se stessi, che permette di accedere alle risorse inconsce con attenuazione della vigilanza periferica”.

La base di tutto, spiega il medico “è la comunicazione terapeutica. Con un’adeguata comunicazione verbale - le parole giuste -, non verbale - mimica, posizione del corpo, gesti…- e paraverbale - ritmo, timbro, volume, tono di voce -, si cerca di creare un rapporto empatico, di fiducia, quasi “amicale” con il paziente. Se per esempio durante un colloquio preoperatorio sono seduto di fronte al paziente con una scrivania tra noi due e guardo lo schermo del PC mentre lui mi parla sarà più difficile creare questo rapporto di fiducia rispetto a sedermi di fianco a lui, senza ostacoli tra noi due, col mio sguardo rivolto verso di lui, attento a quello che mi dice. Sono piccolezze, dettagli, ma molto importanti. Ricordo che quello che noi diciamo con le parole conta solo per il 7% sulla comunicazione globale, l’importanza maggiore è data appunto dalla comunicazione non verbale e paraverbale!”.

“Una comunicazione terapeutica - continua il medico - ha lo scopo di creare questo rapporto di fiducia con conseguente diminuzione dell’ansia e della paura per poi, progressivamente, passare, se necessario, ad un’ipnosi conversazionale/non formale per finire con una vera e propria ipnosi formale con l’obiettivo di accompagnare il paziente verso il suo interno, verso l’inconscio alla scoperta delle sue risorse interiori.”

Nell’ipnosi conversazionale/non formale, spiega il dottor Lelais, “la conversazione con il paziente ha lo scopo di favorire un clima di distrazione, di focalizzazione e di dissociazione attraverso una retorica ben specifica. In questo modo il passaggio da una conversazione “apparentemente banale” ad una conversazione ipnotica avviene in modo molto sottile, quasi impercettibile. Il prossimo passo è quello dell’ipnosi formale dove l’equilibrio tra la nostra parte conscia e quella inconscia, che normalmente si situa attorno al 70% contro il 30%, si ribalta…. Nell’ipnosi formale, in un quadro terapeutico ben definito, dove l’obiettivo della trance ipnotica è formulato dal paziente, quest’ultimo è accompagnato in uno stato di trance per mezzo di tecniche di comunicazione che portano appunto ad una dissociazione psichica e fisica, ad una diminuita  percezione sensoriale. In questo modo si smorzano paura, ansia, sensazioni dolorose e si risalta un benessere globale per il paziente”.

E aggiunge: “Questa è una tecnica che personalmente applico, sia prima dell’anestesia, sia durante l’intervento in anestesia locale, sia per esami diagnostici invasivi, sia per ridurre dolori acuti post-operatori o durante trattamenti di fisioterapia particolarmente dolorosi”.

Attenzione, però, precisa il dottor Lelais, tutto questo lavoro presuppone la partecipazione attiva e consapevole del paziente. “Noi lo possiamo guidare, prendere per mano, possiamo  insegnargli come attivare le risorse interiori di cui dispone. Non usiamo più la pre-sedazione prima dell’anestesia: vogliamo che il paziente sia lucido e che partecipi attivamente alla cura e al trattamento, e notiamo che questi processi migliorano la prognosi e la guarigione post-operatoria, oltre a diminuire ansia e dolore”.

In buona sostanza, conclude il medico, “vogliamo far capire al paziente che è effettivamente al centro della nostra attenzione, insegnargli ad essere un paziente: non vogliamo che si abbandoni nelle mani di un medico, ma che sia protagonista della propria guarigione, anche nell’affrontare l’intervento… E queste secondo me non sono sole le nuove frontiere dell’anestesiologia, ma anche quella della medicina generale e d’urgenza”.

Marco Bazzi


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