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Cronaca
22.04.2014 - 11:500
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Bellinzona, la “resistenza” contro la chiusura dello Zoccolino: “Ennesima speculazione edilizia”

Il noto e storico ritrovo bellinzonese dovrebbe chiudere a giugno, facendo spazio a una moderna enoteca. Il gruppo Collettivo culturale popolare però non ci sta e, dopo aver raccolto le firme con una petizione online, scrive al sindaco e al Municipio

BELLINZONA – È già da qualche tempo che sotto i castelli è in corso una discussione animata sulle sorti dello storico ritrovo pubblico, il bar “Lo Zoccolino”, in piazza del Governo. Il locale dovrebbe infatti chiudere a fine giugno, così dice la scadenza del contratto d’affitto non rinnovato, per fare spazio a una moderna enoteca. Ma il gruppo Collettivo culturale popolare non ci sta, e dopo una petizione online, prende carta e penna e scrive direttamente a sindaco e Municipio per scongiurare la chiusura dello “Zocco”. 

Sono 619 le firme raccolte dal gruppo online, tramite l’apposito servizio Avaaz, mentre la pagina facebook dedicata ha raccolto 1730 membri. Cifre che hanno spinto il Collettivo a scrivere al Municipio, chiedendo all’esecutivo una presa di posizione ufficiale e la protezione del locale inserendolo come “Bene Immateriale e luogo di cultura popolare". 

Di seguito vi riportiamo integralmente il testo della missiva indirizzata all’esecutivo cittadino e al sindaco Branda. 

“Lo Zoccolino è uno storico ritrovo bellinzonese che a giugno scomparirà per l'ennesima speculazione edilizia. Chiediamo che la Città di Bellinzona lo protegga come "Bene Immateriale e luogo di cultura popolare", evitando così la sparizione di un mondo fatto di musica, popolo, incontri, arte e socialità. Lo Zoccolino è quanto di più popolare che l’inanimata Bellinzona possa offrire. Allo Zoccolino sono passati tutti quelli che ancora odorano di umanità: musici-sti, artisti, scrittori, fotografi, bevitori, cantanti, amici, giovani, vecchi, ragazze, poveri, amici e soprattutto, tutti i belli dentro. Un ritrovo di resistenza umana, debellato dai denari di chi vuole intascarne ancor di più, eliminando i soggetti alternativi per far posto al conformismo mascherato da buongusto. Che è invece solo cattivo, cattivissimo gusto, però lindo e patinato, silenzioso e servo. Con lo Zoccolino, sparirà anche la variegata umanità che ha sfidato freddo e angustie a colpi di birra e ragionamenti spettacolari, che ascoltava blues e rock, folk e canzone popolare, balle e verità, con la gioia dignitosa di chi si diverte senza bisogno di lustrini o grassoni vestiti a puntino. Dal Baco al Gas, era tutto un inventare un mondo sostituendosi alla misera quotidianità, proponendo visioni e accanendosi sulle opinioni.

A due passi dal governo cantonale e dal municipio di Bellinzona, dove le parole si sono accasciate e le idee avvizzite, spente da una classe politica cieca e priva di immaginazione, lo Zoccolino era un simposio di menti eccelse alimentate a birra, attente a tutto e a tutti, dove i compagni e gli amici ritrovavano un senso giornaliero e futuribile. L’enoteca che sembra voglia prenderne il posto, pretenziosa e chic quanto inutile, non sarà altro che l’ultimo rifugio di pacchianeria, incastrata tra la fine della giornata di lavoro perverso e la cena a casa in accappatoio e pantofole a puzzare di chiuso. Finiti la polenta e brasato, le insalate fresche, la pasta sublime a prezzi popolare, cominceranno le tartine di tofu e salmone con i tovagliolini colorati, magari anche i volgari assaggi di sushi, che non hanno nemmeno il pregio di proiettare per sempre gli utenti nel lontano oriente, togliendoceli dai piedi.

La Bellinzona dei morti viventi stapperà un rimuss per festeggiare, ma non è ancora detta l’ultima parola. C’è ancora la resistenza e la voglia di rompere i sogni malati di chi colonizza il vivere con la banalità del lusso, per ottundere. Forse è il momento che il popolo dello Zoccolino alzi la testa oltre le sue idee e prepari la barricata contro il barrique.

Terra di tutti e di nessuno, Zocco libero
La chiusura dell’Osteria Zoccolino costituisce una ferita dolorosa che non merita di cadere nell’indifferenza, anche se il fatto si è in qualche modo guadagnato una minima celebrità mediatica. Non è, comunque, che un episodio emblematico all’interno del processo globale e crescente di inaridimento delle pratiche e dei luoghi dell’esistenza sociale: certamente un fenomeno non solo bellinzonese.

Impregnato e arricchito dal susseguirsi multiforme e multicolore di generazioni di frequentatori, oggi più che mai lo Zocco trasuda e riconduce continuamente in superficie storia e umanità, passioni e autenticità, umori e vitalità. Qualcosa di forte e di vero ci deve pur essere in questo luogo, angusto e poco conforme, se ha potuto resistere all’accavallarsi di gerenze e presenze, a volte lineari, a volte contraddittorie. Uno spirito ribelle sui generis, in passato intimidito dall’adiacenza del “governo”, e oggi venuto allegramente allo scoperto proprio in reazione alla cupa immanenza dello stesso. Vi ha trovato libera cittadinanza ogni sorta di attività ed eventi, oltre ad un numero incalcolabile di inusuali in-contri e provvidenziali trasgressioni. Un magnete per chi insegue la propria natura genuina, una musica gioiosamente aritmica per chi arranca dentro gli spartiti delle gabbie di allevamento. Fuor di metafora: un bel pezzo della nostra Storia, un capitolo della nostra Cultura, e chissà quanti dei nostri vecchi, per dirla con Plinio Martini, hanno trascinato le nostre stesse croci con i gomiti poggiati sullo stesso bancone.

Per questo, rivendicare la crucialità dello Zocco, proprio adesso che si avvia al tramonto, equivale a coglierne e raccoglierne il senso profondo e ad andare oltre i facili giudizi e i tossici pregiudizi di chi ci accusa di nostalgismo. Non abbiamo certo le forze per opporci alla tranquilla e feroce logica del profitto che calpesta e crede di rinnovare tutto, accompagnato da leggi fin troppo ovvie e comune-mente accettate. Abbiamo ancora tutti una pur minima proprietà privata da di-fendere, o no? Ma, abbiamo sempre meno campi comuni da coltivare assieme, spazi e forme da condividere senza né possessi né recinzioni. Ecco perché siamo qui, ecco il progetto per il futuro (immediato!), ecco da dove ripartire: dalla piazza, dal luogo di incontro per eccellenza, dalla terra di tutti e di nessuno. Occupare non interessa. E’ il momento di liberare, vale a dire ideare, creare, realiz-zare.

Collettivo cultura popolare”

red

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