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Cronaca
31.05.2014 - 08:330
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Il mondo legalizza la cannabis e in Ticino... Regazzoni: “Con il nostro Social Club, lavoro, entrate fiscali e polizia su reali priorità”

Il presidente dell’Associazione cannabis ricreativa Ticino spiega il progetto proposto al Governo. “Il nostro modello è fondato sulla prevenzione, che deve prevalere su tutto”

BELLINZONA – Cannabis sì? Cannabis no? Il tema è tornato prepotentemente alle cronache, dopo che diversi paesi, in primis l’Uruguay, e alcuni stati americani, hanno deciso di regolamentare e legalizzare la produzione e il consumo di canapa, con modelli differenti che prevedono anche l’uso ricreativo della sostanza. Anche in Svizzera il dibattito ha ripreso vigore e analogo e Ginevra, Berna, Lucerna e Zurigo, hanno già richiesto le rispettive deroghe a Berna promuovendo l’introduzione del cosiddetto modello di cannabis social club, già presente ad esempio in Spagna.

E anche il Ticino non sta a guardare, tanto che una proposta identica è stata portata sul tavolo del ministro Norman Gobbi, che dovrebbe a sua volta girarla a Berna, dall’Associazione cannabis ricreativa Ticino (ACRT).

Abbiamo chiesto a Sergio Regazzoni, dottore in scienze politiche, con un passato prevalentemente da giornalista e attuale responsabile dell’associazione, i dettagli della proposta ticinese.

Regazzoni, innanzitutto ci spieghi brevemente in cosa consiste il vostro progetto di Cannabis Social Club, che avete proposto per il Ticino con una mozione?

“Noi il 28 gennaio abbiamo presentato al Consiglio di Stato un modello intitolato “Per una maggiore sicurezza in Ticino”. Questo modello sociale prevede che i 30mila utilizzatori di cannabis ricreativa, residenti e maggiorenni – sono cifre e statistiche federali, non buttate là – possano avere il diritto di coltivare e fumare le loro piante di cannabis, o farci i biscotti o quello che vogliono. Questo significa anche che la nostra polizia non deve più occuparsi di 30mila persone, che da sole producono circa il 66% dei reati dei quali si occupa attualmente la polizia cantonale, liberandola di fatto per occuparsi di momenti criminogeni ben più preoccupanti per la società, come i furti negli appartamenti o le rapine nelle zone di confine. Si tratta quindi di migliorare e perfezionare i mandati assegnateli. Inoltre anche i fumatori sono dei cittadini e, in questo modo, gli si permetterebbe di contribuire a migliorare la società, sia dal punto di vista sociale che da quello economico-fiscale. E non bisogna tralasciare l’aspetto ambientale…”

A cosa si riferisce?

“La canapa ha dei grossi vantaggi per quanto riguarda l’ambiente: il potere di assorbimento del C02 è di molto superiore rispetto a tutti gli altri vegetali, arricchisce il terreno al contrario delle monoculture intensive presenti in tutto il mondo, che invece lo distruggono. Esistono poi possibili utilizzi come biocarburante e in riferimento a tutto quanto riguarda il tessile, un tessile che è migliore di quello prodotto dal petrolio, come il nylon, e che ha minori costi e minore impatto ambientale. È importante capire che cos’è la canapa, perché negli ultimi 80 anni è sempre e solo stata demonizzata, ma la storia insegna che è una delle piante più versatili e utili che ci siano, e il fumarla è solo l’ultimo degli utilizzi possibili. Inoltre ha sempre fatto parte della storia del Cantone, basterebbe andare a studiarsi il perché Canobbio si chiama così. Senza contare che la produzione autoctona potrebbe dare una grande mano anche ai nostri contadini di montagna, che aggiungendo questa attività migliorerebbero le proprie condizioni, non sempre facili. ”

Non crede che la legalizzazione, e quindi la facilitazione dell’accesso a una sostanza comunque considerata stupefacente sia socialmente pericolosa?

“No, assolutamente: oggi come oggi è facilissimo accedere a tutte le droghe, però il prodotto che si trova sul mercato, proveniente dalla criminalità organizzata che viene continuamente ingrassata e fomentata dal mercato nero, è di una qualità spesso bassa e molto più nociva per la salute rispetto a un prodotto controllato e autoctono. Il 60-70% dell’erba che viene fumata in Ticino è chimica. Senza contare che in questo modo si dà un esempio negativo ai nostri giovani, facendo passare il modello attrattivo dello ‘spacciatore’ con i vestiti firmati e i macchinoni.”

E i giovanissimi come verrebbero protetti?

“Innanzitutto il nostro modello riguarda solo i maggiorenni, non è prevista la regolamentazione del consumo dei minori. Dopodiché io credo che su questo tema il lavoro preventivo deve innanzitutto partire dalla famiglia, è il primo baluardo a cui fare affidamento: il genitore deve essere in grado prendere una posizione e dialogare anche su questo tema, come su tutte le droghe accessibili dai giovani, e a partire da un’età dei figli molti più precoce di una volta, adesso capita che inizino addirittura a 11-12 anni, spetta dunque al genitore in primis l’intervento e la mediazione con il figlio. In seconda battuta le istituzioni che più sono a contatto con questi ragazzi: scuola, apprendistato e datori di lavoro. Tutti dobbiamo impegnarci di più, a cominciare dal docente che si lamenta che metà della classe si addormenta, non basta rilevarlo, bisogna andare oltre e capire e intervenire in modo preventivo. È una questione sociale, non di leggi.”

In tanti, anche tra i favorevoli a una depenalizzazione/legalizzazione, temono l’“effetto Amsterdam”, ovvero il turismo della canapa. Come si inserisce questo aspetto nella vostra proposta?

“Il nostro modello prevede unicamente consumatori maggiorenni e residenti, e le garanzie affinché questo avvenga sono semplici: chi è che ottiene l’autorizzazione? Il consumatore. Fatto il calcolo dei consumatori si fa il calcolo della produzione ammessa, punto e fine. E non è che dopo avverrebbe come in Spagna che l’amico dell’amico in visita viene ammesso nei club: di turismi noi non ne vogliamo, abbiamo già visto cosa è successo durante la stagione dei canapai.

Un folto gruppo di massimi esperti mondiali, indipendenti, di lotta alla droga, capitanati dall’ex segretario dell’Onu Kofi Annan e incaricati proprio dalle Nazioni unite, hanno stilato un rapporto frutto di un enorme lavoro nel quale arrivano a una conclusione incontrovertibile: la politica repressiva e il proibizionismo hanno fallito su tutti i fronti, bisogna trovare altre vie. Condivide questo punto di vista?

“La repressione in certe occasioni ci vuole comunque, ci sono casi gravi e persone che sgarrano che la richiedono. Ma non si può pensare che 30mila persone adulte, dall’estrazione più che trasversale che va dal direttore di banca, al politico fino al manovale, siano tutti dei criminali. Il modello veicolato dalla nostra associazione è fondato sulla prevenzione, che deve prevalere su tutto, e secondo noi bisogna fare molto di più su questo fronte, ma attivandosi seriamente e partendo dalle età più sensibili: prendiamo ad esempio i tossicomani e portiamoli nelle scuole elementari o all’inizio delle medie così da fare toccare con mano le conseguenze di determinati comportamenti, oppure il fumatore che ha avuto il cancro ai polmoni e che fa fatica a respirare e a parlare. Di vie ce ne sono moltissime e il modello di regolamentazione è un tassello in più anche in questa direzione.”

Se da una parte ci sono i moltissimi fumatori regolari che, come affermato anche dal capo della polizia giudiziaria di Neuchâtel, non sono certo dei criminali, dall’altra c’è anche una forte richiesta di regolamentazione e di legalizzazione dagli ambienti medici, visti gli effetti più che positivi per diverse patologie. Questo discorso si inserisce nella vostra proposta o non toccate questo ambito?

“Bisogna partire da un paradosso: in Svizzera i farmaci contenenti il principio attivo sono già permessi, ma non lo è la produzione di canapa, pertanto ci andiamo a rifornire di questi prodotti dai paesi dell’est, dove la qualità del coltivato è bassissima. Inoltre il Ticino gode di una posizione geografica e di condizioni climatiche perfette per la coltivazione di un ottima cannabis, e abbiamo già anche le capacità estrattive sul territorio, garantite dalle aziende farmaceutiche presenti, dunque anche su questo fronte si potrebbe sviluppare un circuito virtuoso di ricerca scientifica ed economia. Posso anche dire che noi stessi riceviamo molte richieste da persone interessate unicamente alla cannabis terapeutica e l’interesse è altissimo. Detto questo lo Stato deve tutelare la mia salute, con l’alcol e la nicotina agisce già così, come anche con gli alimenti, con l’obbligo di segnalare ad esempio i conservanti o i nitrogeni, poi spetta a me cittadino decidere cosa dare al mio corpo e cosa no. Dunque anche in questo senso la liberalizzazione regolamentata della coltivazione potrebbe avere effetti più che positivi, anche se il progetto si occupa prevalentemente dell’uso ricreativo.”

Infine, da quello che mi ha detto, una regolamentazione porterebbe anche parecchi soldini nelle casse cantonali che, soprattutto in un momento di crisi come questo, di certo non guasterebbero. Avete già quantificato l’ammontare ipotetico di queste entrate?

“Le rispondo facilmente: non si capisce perché oggi lo Stato si limiti, con l’agire della polizia che sanziona amministrativamente i fumatori, a raccogliere un massimo di 100 franchi quando con il sistema regolamentato che proponiamo i consumatori oltre a pagarci l’iva produrrebbero un circuito economico virtuoso, che creerebbe circa 300 posti di lavoro diretti e 1’200 indiretti, posti di lavoro locali che andrebbero a giovani che vivono qui, non a frontalieri, generando per lo Stato entrate pari ad almeno 20 milioni annuali e altri 8 o 9 a favore delle assicurazioni sociali, un bel rimpinguo delle casse, con la possibilità anche di ‘bonificare’ diversi locali ed edifici pubblici dismessi, riqualificando al contempo anche il territorio.”

dielle

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