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Salute e Sanità
02.09.2014 - 05:570
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Sanità in subbuglio, malumori e medici in fuga: "Si pianifichi con regole chiare. Non vogliamo un un Civico piglia tutto!"

Le dure critiche del direttore della Clinica Luganese, Christian Camponovo, al progetto di pianificazione ospedaliera: "Vedo nubi nere. Si rischia di aprire pericolose crepe e di compromettere il funzionamento del sistema sanitario ticinese"

di Marco Bazzi

LUGANO - Il Ticino politico e sanitario è in subbuglio. Al centro del dibattito, lanciato da alcuni medici e deputati, c’è la pianificazione ospedaliera. Un tema ricorrente, che da sempre divide e scatena polemiche. Ma questa volta non si tratta semplicemente di tagliare un certo numero di letti in ospedali e cliniche private. Questa pianificazione rischia di incidere profondamente nell’organizzazione ospedaliera ticinese. E c’è chi teme che questa “incisione” lascerà cicatrici indelebili.

Il progetto varato dal Consiglio di Stato e basato su un rapporto allestito da “tecnici” è attualmente sul tavolo di una speciale commissione del Gran Consiglio. Per i deputati non è facile uscire dal ginepraio, anche perché i tempi sono stretti e le sensibilità molto acute, come quando si tocca un nervo scoperto.
La revisione della Legge sull’assicurazione malattia (Lamal), entrata in vigore nel 2012 ha stabilito che i cantoni devono varare la nuova pianificazione entro il gennaio 2015. Ma che quella sarebbe stata la “deadline”  lo si sapeva già dal 2007. E già su questo punto non sono mancate le proteste: il rapporto è arrivato al Parlamento troppo tardi.
Tra i critici c’è anche Christian Camponovo, direttore della Clinica Luganese, uno degli istituti più importanti nel panorama sanitario cantonale.

“Siamo di fronte a una proposta di pianificazione – dice a liberatv - che sicuramente non è basata, o lo è in modo insufficiente, sui criteri di qualità ed economicità, criteri imposti come vincolanti dalla Lamal”.

Ci spieghi…
“La Commissione di tecnici che ha studiato il progetto aveva preso come base il modello di Zurigo, che definitiva per i diversi mandati di prestazione sanitaria i criteri di qualità che le strutture dovevano ottemperare. Ma nella proposta del Dipartimento della sanità ci sono, oltre a mandati assegnati in base a questi criteri, alcuni mandati assegnati in assenza dei criteri stessi, ma soprattutto molti mandati che vengono tolti a ospedali e cliniche anche se soddisfano i criteri”.

È un po’ complicato… Ci fa qualche esempio?
“I mandati specialistici nell’ambito chirurgico o ortopedico, per esempio quelli che si vorrebbe togliere all’ospedale San Giovanni di Bellinzona, o alla nostra clinica in ortopedia. L’autorità cantonale si sta chiaramente muovendo verso una concentrazione delle attività sanitarie. È una tendenza che va di moda, anche se in alcuni settori ospedalieri non ci sono evidenze che indicano la necessità di concentrare. Questo è il punto che sta facendo molto discutere e che sta mettendo molta pressione ai singoli istituti e ai medici attivi nel nostro sistema ospedaliero. Il problema tocca un po’ tutta la chirurgia e parte della medicina interna e alla fine, se passasse questa pianificazione, a perderci sarebbero quassi tutte le strutture stazionarie del nostro Cantone, ad eccezione del Civico di Lugano”.

Quindi voi come Clinica Luganese siete preoccupati…
“Certo, ma sia chiara una cosa: il problema della perdita di questi mandati non è tanto la rinuncia a un’attività che per la nostra clinica rappresenta circa il 10% dei casi trattati, quanto la perdita di competenze che servono per gestire pazienti affetti da patologie meno specialistiche e la necessità di continuare a spostare i pazienti affetti dalle patologie più gravi. Mi spiego con un esempio: per effettuare un intervento chirurgico banale come un’ernia è bene che ci siano competenze solide, perché possono verificarsi complicazioni che bisogna saper gestire, rispettivamente è bene che in caso di complicanze il team che ha in cura il paziente possa continuare a seguirlo”.

In particolare cosa temete?
“Temiamo che in futuro sarà più difficile, per noi, ma anche per gli ospedali pubblici, trovare dei medici validi. Se tu concentri tutto in un solo polo specialistico, non solo rafforzi ulteriormente quello che è già una sorta di monopolio, ma crei un danno: il Ticino sanitario nel suo insieme rischia seriamente di uscirne impoverito. E questa è un’opinione condivisa da molti medici e dirigenti, sia nel pubblico che nel nel privato. Non solo, è qualcosa che, malgrado la pianificazione non sia ancora definitiva, sta già avvenendo”.

Insomma, sullo sfondo di questa pianificazione si intravede già il mega-ospedale cantonale?
“Guardi, il miraggio di creare un ospedale cantonale è sicuramente allettante, ma al di là del bel progetto io penso che sia più importante confrontarsi con i problemi che il nostro sistema sta conoscendo oggi, evitando di sognare qualcosa che già negli anni '70 era stato affossato dai Ticinesi e che oggi sarà ancora più difficile raggiungere. Creare un ospedale cantonale è ben diverso che rafforzare con la pianificazione ospedaliera una sola struttura, il Civico, e penalizzare la maggior parte delle altre”.

Insomma, molti temono un futuro ospedale Civico in forma di Moloch, una mega-macchina pigliatutto…
“Questo è certo, e la prospettiva preoccupa molti medici, ospedali e cliniche. Ma il problema è generale e dovrebbe preoccupare tutta la popolazione: andando in quella direzioni non ci sarà un reale rafforzamento della rete di cura, intesa come insieme di conoscenze e competenze in grado di rispondere ai bisogni dei pazienti”.

Ma voi queste cose le avrete dette ai commissari parlamentari…
“Sì, come rappresentanti delle cliniche private abbiamo incontrato la Commissione, abbiamo espresso le nostre perplessità e ne abbiamo constatato molte anche tra i deputati”.

Senta Camponovo, ma secondo lei c’è in atto un tentativo di favorire il pubblico a scapito del privato?
“No, non credo, ma c’è sicuramente una difficoltà, evidente anche in questo processo di pianificazione, a rimanere neutrali, in modo da tenere in considerazione le esigenze di tutti gli attori coinvolti”.

Quindi cosa chiedete a Governo e Parlamento?
“Semplicemente regole chiare. Una volta che le avremo cercheremo di organizzarci, insieme a tutti gli altri istituti, pubblici e privati, per far funzionare il sistema sanitario. Quello che non vogliamo è una pianificazione imposta dall’alto senza dei criteri chiari, anche se magari certe scelte si riveleranno giuste. Magari, però. Vogliamo regole chiare non imposizioni”.

Ma già il taglio dei letti, che scatenò tante polemiche nelle precedenti pianificazioni, era una sorta di imposizione dall’alto…
“Vero, ma oggi, per legge, non si possono più pianificare i letti, ma solo i mandati di prestazione. La pianificazione è diventata quindi molto più complessa. Per questo i tecnici hanno proposto l'adozione del modello di Zurigo, che è stato elaborato con il coinvolgimento di un centinaio di medici. Ma il rapporto del Dipartimento non rispetta quel modello”.

In che senso?
“Semplice: il modello di Zurigo indica, per ogni singolo mandato ospedaliero, che cosa devi garantire come istituto: dalla casistica minima al numero di medici e alla loro disponibilità e reperibilità. È una sorta di decalogo per garantire una corretta ed efficace applicazione ed esecuzione dei mandati. I criteri qualitativi e organizzativi definiti sono molto esigenti, quindi l’eventuale concentrazione di specialità avverrebbe semplicemente applicandoli”.

E a Zurigo funziona così?
“Certo, oggi una struttura ospedaliera a Zurigo sa che se vuole mantenere una specialità deve soddisfare i criteri stabiliti dalla pianificazione. E su questa base decide. Noi, per esempio, abbiamo una geriatria piuttosto importante nel Luganese e sappiamo che gli anziani a volte cadono; dobbiamo quindi potergli offrire una cura competente e coerente, dalla A alla Z. Se un domani non potremo più fare determinati interventi di chirurgia protesica, gli anziani dovranno far capo a una struttura specializzata in ortopedia ma che non garantirà una loro presa a carico completa. Non credo sia questo il futuro che vogliamo per il nostro sistema sanitario”.

Nubi nere all’orizzonte, insomma…
“Io le vedo. Ci sono medici, e anche intere equipe che non potranno più lavorare dove lavorano attualmente, e che stanno seriamente valutando se restare in Ticino. C’è apprensione e malumore in un’ampia parte degli addetti ai lavori. D’altra parte, di fronte a questo panorama di incertezza, abbiamo già visto recentemente casi di specialisti che hanno deciso di emigrare oltre Gottardo. Questo non è vantaggioso per il modello sanitario cantonale. Con il modello di Zurigo i cambiamenti verrebbero diluiti e mediati dalla realtà, in modo concordato e ragionato. Invece qui si vorrebbero togliere dei mattoni alla base di un muro. Il rischio peggiore è il crollo. Il rischio minore è creare delle crepe”.

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