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Salute e Sanità
10.09.2014 - 13:270
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Tutti i retroscena dello "scandalo" in chirurgia. I capoclinica non avevano FMH o abilitazione, ecco perchè fatturava il viceprimario

I capoclinica non erano abilitati a fatturare. La somma sottratta all'EOC è stata divisa in tre. Al viceprimario serviva per le imposte sul fatturato. Nel Consiglio dell'EOC c'era chi voleva il licenziamento in tronco, ma... Ecco com'è andata

di Marco Bazzi

LOCARNO - Quando diventano pubbliche notizie come quella che coinvolge il viceprimario di chirurgia dell’ospedale La Carità di Locarno si assiste a un moltiplicarsi di dichiarazioni, prese di posizione e atti parlamentari. Dopo che, domenica scorsa, il Caffè ha rivelato il caso, che di per sé suscita clamore – e anche un comprensibile sconcerto nell’opinione pubblica – ci sono stati commenti e dichiarazioni da parte di politici, di amministratori e dirigenti ospedalieri, e anche del presidente dell’Ordine dei medici, Franco Denti. C’è stata anche la comunicazione del Ministero pubblico che ha informato di aver avviato accertamenti per stabilire se il caso ha rilevanza penale.

Ma in questa ridda di informazioni e dichiarazioni si rischia di perdere il filo della vicenda. Nel senso: di non capire che cosa è accaduto esattamente. Cerchiamo allora di fissare i dati fondamentali del caso, premettendo che il medico in questione è considerato un ottimo chirurgo, tanto che era in predicato di diventare primario alla Carità. Ma poi, su segnalazione di un paziente, è venuta fuori la storiaccia delle “fatture false”, che gli ha bruciato la carriera.

Il medico è stato invitato a lasciare l’Ente Ospedaliero. Il Consiglio di amministrazione dell’EOC ha valutato altre due opzioni: il licenziamento in tronco e la segnalazione al Ministero Pubblico. Alcuni amministratori, tra i quali il ministro Paolo Beltraminelli, che è membro dell’EOC, avrebbero voluto una decisione più drastica. Almeno il licenziamento immediato. Per evitare scossoni e garantire la continuità in un reparto delicato la maggioranza ha però puntato sulla soluzione più soft.

Annotiamo qui due gravi mancanze da parte di un ente parapubblico.
La prima riguarda la comunicazione: assolutamente inadeguata, confusa e “a rimorchio”, in quanto era prevedibile che, prima o poi, il caso sarebbe diventato di dominio pubblico. Quindi andava gestito con maggiore trasparenza. Bisognava dire: è successo questo e questo. Non cadeva il mondo. Invece no. E il silenzio dei vertici dell’Ente ospedaliero (i cui amministratori erano informati da diversi mesi, dal primo all’ultimo) non induce certamente fiducia nei cittadini.

La seconda mancanza riguarda la segnalazione al Ministero Pubblico. Per quanto non si tratti di un reato grave, se di reato si tratta, è possibile che si profili almeno l’ipotesi di falsificazione di documenti. L’Ente ospedaliero non è la Procura, per cui una segnalazione era doverosa, se non altro per coprirsi le spalle. Anche su questo punto c’è stato, in Consiglio di amministrazione, chi ha premuto, ma invano, per seguire questa via istituzionale.

Veniamo ora ai soldi. Nel corso del 2011 e del 2012 il viceprimario ha fatturato a proprio nome una cinquantina di interventi chirurgici che non ha effettuato personalmente. In sala operatoria c’erano, al suo posto, due capoclinica. In una decina di casi il medico era addirittura assente dall’ospedale.

Il pensiero che viene a chi legge questa storia è ovvio: il viceprimario ha rubato, ha truffato… Ma su questo punto occorre cautela. Ecco perché.

Il medico ha sicuramente commesso un illecito (se solo amministrativo o anche penale lo stabilità la Magistratura): ha fatto inserire dalle sue segretarie il suo nome nei rapporti amministrativi di fatturazione, nonostante il suo nome non figurasse nei rapporti di sala operatoria.

Poi ha suddiviso il frutto di questo illecito (circa 100'000 franchi sui due anni) in tre parti più o meno uguali: due parti sono andate ai capoclinica, mentre un terzo della somma l’ha tenuta per sé.

La prima domanda è: perché lo ha fatto? Per arricchirsi? No, perché il terzo di quei 100'000 franchi l’ha usato per pagare le imposte sul fatturato.

Ma allora perché i capoclinica non hanno fatturato direttamente le loro prestazioni chirurgiche? Risposta: perché non potevano farlo.
Per fatturare alle casse malati un medico deve infatti rispettare due condizioni: avere ottenuto il titolo di FMH e avere il benestare degli assicuratori malattia. Ma i due capoclinica, pur essendo svizzeri, in quegli anni non avevano il titolo FMH (o quantomeno il numero di concordato rilasciato dagli assicuratori), e quindi non avrebbero potuto fatturare un solo franco alle casse malati. Il frutto del loro lavoro sarebbe stato integralmente incassato dall’Ente ospedaliero.

Il ragionamento del viceprimario sembra dunque essere stato improntato all’altruismo: invece di dare i soldi all’Ente, ce li dividiamo in tre. Io li uso per pagare le imposte e voi per ottenere una remunerazione supplementare per il vostro lavoro. Una specie di Robin Hood della chirurgia, insomma. Anche se ci sarebbe da discutere sul fatto che i capoclinica degli ospedali ticinesi abbiano paghe da fame... Ma questo è un altro discorso.

Infine, vanno ricordate due ultime cose. Prima: una volta scoperto, il medico ha restituito all’Ente l’intero il “maltolto”. Seconda: le casse malati non sono state in alcun modo danneggiate, in quanto le fatturazioni di un primario o di un viceprimario sono identiche a quelle di un capoclinica. Sono calcolate in base a un tatiffario fisso.
Già che ci siamo aggiungiamo una terza cosa: quando ha visto la malparata il viceprimario avrebbe tentato di entrare nel sistema informatico dell’ospedale per modificare alcuni rapporti di sala operatoria, con lo scopo di ridurre il numero di fatturazioni illecite.
Ecco, questo è il riassunto, che abbiamo cercato di rendere il più possibile fedele alla realtà, del caso delle fatture false alla Carità. 

 

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