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Politica e Potere
22.01.2015 - 11:040
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Accordo Svizzera-Italia, il Governo colpito da veltronismo acuto: "Sì, no...ma anche"

L'ANALISI - La presa di posizione governativa ha sacrificato sull'altare dell'unanimità la sostanza delle conclusioni. Il risultato è uno schema debole: non sappiamo cosa pensa il Governo dell'intesa tra Berna e Roma e quali obbiettivi intende raggiungere

di Andrea Leoni

La materia non si presta a giudizi trancianti. La bozza di accordo tra Svizzera e Italia è materia complessa e contiene aspetti positivi, negativi e del tutto inaccettabili. Comprensibile dunque che il Consiglio di Stato avesse bisogno di alcune sfumature di grigio per formulare una posizione: non poteva essere o tutto bianco o tutto nero. L'impressione però è che qui si sia andati ben oltre le 50 del titolo del celebre best seller, che pure nulla c'entra con la politica. Qui c'è solo grigio. E stringi stringi non c'è una conclusione chiara e sostanziale: siamo confrontati con un abuso di equilibrismo da parte del Governo. Il risultato è che, ad oggi, non sappiamo quale sia la posizione dell'Esecutivo rispetto a un passaggio così decisivo per il futuro del nostro Cantone. E ancora meno si capisce che tipo di strategia vogliano attuare i nostri ministri e per ottenere quali risultati. È la cosa peggiore che potesse accadere. 

Non c'è però da sorprendersi. L'impressione di chi scrive è che il Governo si sia dato come primo obbiettivo quello di formulare una posizione unitaria. La forma prima che la sostanza, anche se nel linguaggio istituzionale l'unanimità di un Esecutivo può essere talvolta un elemento sostanziale. Le avvisaglie della vigilia erano molto negative. Non apparivano conciliabili le opinioni molto critiche verso l'accordo espresse da Norman Gobbi e Claudio Zali e quelle all'insegna della soddisfazione promosse da Laura Sadis e Manuele Bertoli. La spaccatura era profonda e in questo senso si può ben dire che il Consiglio di Stato abbia raggiunto un traguardo complesso costruendo una posizione unanime. 

Ma leggendo e rileggendo la nota governativa l'impressione è quella di trovarsi davanti a un mosaico di tesi diverse messe una a fianco all'altra senza armonia. Si tratta di una somma più che di una sintesi di posizione divergenti. E alla fine il risultato complessivo presenta un quadro non dissimile da quello della vigilia, anche se le opinioni di Sadis e Bertoli sembrano aver prevalso rispetto a quelle dei contrari. Nella migliore delle ipotesi il Consiglio di Stato ha una posizione debole, nella peggiore non ce l'ha affatto. In entrambi i casi si tratta di uno schema fragile che non può reggere alle prossime settimane di campagna elettorale e, soprattutto, rischia di sbriciolarsi come un frollino nel confronto che i nostri ministri avranno a breve con la Confederazione. 

Ha ragione Fiorenzo Dadò che stamane sulla Regione ha bollato come "troppo attendista e rinunciataria" la posizione governativa. Ma purtroppo è il frutto inevitabile di un Consiglio di Stato che si è dato come primo obbiettivo l'unanimità sulle conclusioni di un ragionamento e non la sostanza, la qualità e la chiarezza delle stesse. E allora, a furia di smussare aggettivi, di mettere acqua nel vino – o per meglio dire di aggiungere dolce e salato nello stesso piatto - per non scontentare nessuno ed evitare una maggiortanza e una minoranza, il comunicato partorito dal Governo è una summa di veltronismo acuto. Di "Sì, no…ma anche". 

E quindi, riassumendo alla bella e buona le parole messe nero su bianco dai ministri: l'accordo di oggi è sempre meglio di quello di ieri; vogliamo che l'intesa  venga concretizzata velocemente ma speriamo che i nostri negoziatori correggano il tiro; la clausola anti 9 febbraio ci preoccupa (alla vigilia per molti era "inaccettabile") e quindi tenetene conto prima di firmare quell'accordo (che tuttavia vogliamo venga ratificato al più presto); era difficile ottenere risultati "sensibilmente maggiori di quelli sino ad ora ottenuti", però, dai, ragazzi di Berna, provateci ancora e fate un ultimo tentativo per noi. Eccetera. 

E in tutto questo che cosa esattamente, o anche in termini più generali, voglia il Canton Ticino non si capisce. La nota governativa infatti è più un documento di analisi tecnica, che abbozza dei giudizi positivi e critici, ma non ha alcun respiro politico se non quello di affidarsi al buon cuore dei negoziatori che da qui a giugno dovranno chiudere la parte dell'accordo sull'imposizione dei frontalieri. E al di là di come si giudichi il risultato di questa trattativa è davvero un peccato che il Governo si sia espresso in questo modo perché ha messo a nudo tutta la sua debolezza in un momento in cui occorreva esattamente l'opposto.

Realisticamente le linee guida di quanto abbozzato tra Svizzera e Italia non si potranno modificare. L'unica carta seria che resta da giocare al nostro Cantone per migliorare la propria posizione è quella, suggerita sempre oggi da Dadò e da altri nei giorni scorsi, di chiedere che sia la Confederazione a risarcire finanziariamente il Ticino per la parte dell'accordo in cui, in nome di un interessa nazionale, Berna ha sacrificato il nostro Cantone sull'altare dei negoziati con Roma. Ma questo non lo otterremo mai con le cucchiaiate di semolino servite dal Governo nella sua presa di posizione. 

Quanto alla clausola anti 9 febbraio la questione è più complessa, perché la Confederazione l'ha già sostanzialmente concordata con l'Italia. E verosimilmente non sarà mai stralciata. Ma noi Canton Ticino, Dio mio, glielo vogliamo almeno dire al Governo federale e a si suoi negoziatori che quella, dal profilo democratico, è una porcata inaccettabile?! Altro che siamo preoccupati…   

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