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Salute e Sanità
18.09.2015 - 12:230
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Moccetti: gioie, sfide future e qualche amarezza di un sogno (realizzato) di nome Cardiocentro. Confessioni a tutto campo di un luminare ticinese

Il papà dell'ospedale del cuore ripercorre la storia dell'istituto e traccia le linee future in un'intervista a ruota libera

LUGANO – Ci credeva e ci sperava, ovvio: altrimenti uno neanche s’imbarca in un'avventura del genere. Ma poi quel sogno che aveva in testa ha superato nella realtà sia le speranze che l'immaginazione. C'è voluto tanto lavoro, tanta costanza e tanta fatica. Ma più che lavoro, costanza e fatica – elementi basilari per ogni impresa - ci sono volute idee, visioni, coraggio e una scorza da rinoceronte per superare le difficoltà quotidiane e poi le polemiche e le amarezze, soprattutto degli inizi. Perché non è stato facile, all'inizio, andare contro i mulini a vento della diffidenza e del disfattismo di chi nel progetto del Cardiocentro Ticino non ci credeva neanche un po'. 

Oggi l'istituto inventato da Tiziano Moccetti è un fiore all'occhiello della sanità ticinese. Cura dei pazienti, ovvio, ma anche tanta ricerca, formazione, tecnologia e partnership prestigiose, ne fanno un gioiello di cui andar fieri sia a livello svizzero che in campo internazionale. E i cori dei dissidenti sono un'eco lontana del passato: ormai impercettibile. 

Professor Moccetti, se ripensa a quando nel 1999 ha cominciato questa avventura e vede oggi il Cardiocentro, che cosa prova? 
"Nel mio intimo ovviamente ci speravo di costruire qualcosa di cui far andar fieri i ticinesi. Ma anche per me era difficile spingersi al punto da immaginare quello che abbiamo costruito oggi. Indubbiamente il Cardiocentro è diventato un gioiello superiore ad ogni aspettativa. Se penso alle turbolenze del primo anno mi sembra ancora più incredibile…Credo che la chiave sia stata la filosofia che ho da subito impresso al progetto. Vale a dire trovare collaboratori con entusiasmo e molto professionali, lavorare tanto e non stare a polemizzare, perché questo alla fine è un esercizio che ti fa perdere solo tempo. Il mio sogno in un certo senso era semplice, almeno sulla carta. Desideravo che il mio Cantone avesse un'infrastruttura valida capace di dimostrare che come Ticino potevamo essere competitivi con le altre regioni della svizzera: né migliori, né inferiori, ma alla pari".

E così ha fermato un bel po' di treni per Zurigo…
"Eh sì! Trovavo davvero ingiusto che per una questione di infrastrutture e di apparecchiature ci fosse una vera e propria migrazione di pazienti verso la Svizzera tedesca o francese. Grazie alla nascita del Cardiocentro abbiamo potuto aiutare tanti pazienti ticinesi ma anche le loro famiglie, che potevano rimanere vicino ai propri cari in un momento difficile come è quello della malattia. Ci siamo riusciti mantenendo sempre alto il livello da un punto di vista medico, scientifico e tecnologico. Cercando sempre di avere delle visioni, di essere innovativi. E dando sicurezza al paziente: come Cardiocentro abbiamo contribuito molto a diminuire il numero delle complicazioni sia a livello operatorio che di degenza".

Dopo i primi tempi turbolenti qual è stato il momento della svolta?
"Quando il Consiglio del Federale ha deciso chi doveva pagare le prestazioni. Noi eravamo in affanno finanziario e dopo quella decisione abbiamo ricevuto quello che dovevamo ricevere. Questa svolta ci ha dato grande stabilità amministrativa e finanziaria. Il che ci ha permesso di innovarci e di utilizzare tecniche di intervento che oggi ci posizionano tra i primi centri specializzati del Mondo: penso all'impianto di cellule staminali o alla riparazione delle valvole cardiache, ad esempio".  

Prima della svolta che ci ha appena raccontato, dal punto di vista finanziario, ci sono stati davvero dei momenti difficili anche a livello personale. Come quando lei e il presidente della Fondazione Giorgio Giudici foste chiamati a rispondere personalmente per i precetti esecutivi.
"Voglio dimenticare quei precetti, anche se non dimentico chi ci li ha mandati. Volevano prenderci per fame…E io , Giorgio Giudici e Luigi Butti ne dovevamo rispondere in maniere solidale. Erano momenti di grande amarezza. Salvavamo gente che sarebbe sicuramente morta ma questo non generava quell'apprezzamento che, credo, ci si sarebbe stato dovuto"

Tornando alle cose belle. Se deve scegliere uno, il più simbolico, tra le migliaia di interventi che ha eseguito al Cardiocentro quale sceglie?
"È un caso che risale a più di 10 anni fa. Abbiamo convinto sia il paziente, che era stato colpito da un infarto, sia le istituzioni preposte a permetterci di operare la prima iniezione di cellule staminali in una coronaria. Era una prima assoluta in Svizzera. È stata una grande gioia". 

Pensa mai alla sua successione?
"Certo. E penso che debba essere realizzata in modo non improvviso ma accettabile. Al Cardiocentro vi sono collaboratori all'altezza che potranno proseguire sulla strada tracciata. L'importante è continuare ad avere delle visioni sul futuro: perché chi si ferma perde il treno della qualità nella medicina altamente specializzata come quella che facciamo noi".

Non lascerà a breve comunque. 
"Come ho avuto già modo di dire, la mattina che uscirò di casa senza avere il fuoco sacro di vedere come stanno i pazienti già nella prima visita delle 7, sarà il giorno che mi ritirerò. Anche se devo dire che chi mi conosce sa che ho talmente tanti hobby, tra lettura, scrittura, cinema, viaggi, e anche alcuni sport che pratico regolarmente, che il giorno che smetterò certo non finirò per annoiarmi". 

Veniamo al futuro del Cardiocentro. Secondo un accordo sottoscritto nel '95 fra cinque anni l'istituto dovrebbe passare nelle mani dell'Ente Ospedaliero. Il Presidente della vostra Fondazione Giorgio Giudici ha già detto che siete intenzionati a chiedere una proroga di 15 anni. Pensa che ce la farete a raggiungere questo obbiettivo?
"Guardi, io ho firmato questa convenzione. In quel momento, a parte noi, nessuno credeva nel progetto al punto che nel "contratto" era stata inserita una postilla che diceva che alla scadenza dei termini la controparte avrebbe potuto pretendere anche l'abbattimento dell'edificio. In quel momento non avevamo molto margine di manovra: o si accettava la convenzione o non si faceva il Cardiocentro. Sono convinto del fatto che avere un istituto autonomo, soprattutto dal profilo amministrativo, permette una rapidità nelle decisioni che nessun istituto pubblico, seppure di alta qualità, potrà mai garantire. Io spero che venga creata una nuova Fondazione in cui siedano anche dei rappresentanti dell'EOC. Ma l'importante è che questa nuova Fondazione garantisca al Cardiocentro la stessa indipendenza che ha attualmente e offra la stessa qualità ai pazienti in modo tale che i ticinesi possano continuare ad esser fieri di questa struttura. Immagino dunque un ente indipendente ma allacciato all'Ente ospedaliero attraverso fitte collaborazioni mediche e scientifiche. In questo senso ho piena fiducia nelle visioni del direttore Giorgio Pellanda: è una persona in grado di perseguire il bene non solo della sua azienda ma dell'intera pianificazione ticinese. L'importante è che non vengano create delle pastoie che frenino questa piccola locomotiva che è il Cardiocentro. Locomotiva, non dimentichiamolo mai, anche dal punto di vista economico".

Ci spieghi meglio questo punto.
"Mi limito a qualche cifra nel campo dell'occupazione. Nel 1999, quando abbiamo cominciato, eravamo circa 80 nel primo settembre. Oggi siamo circa 400. Praticamente ogni mese dall'inizio del 2000 il Cardiocentro ha offerto due posti di lavoro altamente qualificati. E il 60% di chi è impiegato da noi ha un diploma accademico. È impressionante". 

Guardando al futuro scientifico del Cardiocentro qual è a suo avviso l'obbiettivo principale da raggiungere? E un'altra domanda, più da uomo della strada: si faranno mai i trapianti di cuore a Lugano?  
"In qualche modo le due domande sono connesse. Comincio con il rispondere alla prima: l'obbiettivo principale è sviluppare tutta la tecnologia. In particolare penso al così detto cuore artificiale. È un tipo di intervento che abbiamo già fatto al Cardiocentro. Abbiamo un paziente che da 5 anni ha un cuore artificiale ed è il più longevo in Svizzera. Questa tecnologia è una prima risposta legata alla problematica dei trapianti. Si sa che questo tipo di interventi sono in calo a causa delle donazioni insufficienti. Il cuore artificiale in futuro potrà essere utilizzato sia come ponte verso il trapianto, sia per chi ha più di 70 anni. Chi ha quell'età non viene infatti considerato per la sostituzione dell'organo, ma noi vorremmo assistere anche queste persone attraverso il cuore artificiale. Il secondo grande obbiettivo scientifico riguarda invece le cellule staminali. Stiamo lavorando duramente per avere delle culture qui in Ticino. E nei prossimi anni diventeremo in questo campo un punto di riferimento a livello internazionale. La sfida è quella di ricostruire una parte del cuore in modo che si possa riparare l'organo malato. Per quanto infine riguarda la domanda puntuale sui trapianti le rispondo così: come Cardiocentro abbiamo deciso di non farli fin dall'inizio. A livello tecnico saremmo perfettamente in grado di realizzarli: si tratta ormai quasi di interventi di routine. Il problema è la fare successiva all'operazione in cui i pazienti vanno seguiti molto da vicino. In Ticino potrebbero esserci 3 o 4 casi all'anno. E allora io penso che sia giusto per noi e per questi pazienti collaborare con i centri sia nella Svizzera tedesca che nella Svizzera francese che già trattano tra i 30 e i 40 casi all'anno. In particolare il nostro centro è associato con l'Università di Zurigo"

Professore, ma alla fine anche per lei cuore è uguale ad amore?
"Il cuore risponde agli stimoli dell'amore. Quando qualcuno dice "mi batte il cuore" perché è innamorato o innamorata, questo è semplicemente il risultato degli stimoli del cervello. Quindi per me l'amore è nel cervello". 

AELLE

 

 

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