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Cronaca
15.11.2015 - 11:520
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Massimo Fini: "A Parigi hanno dimostrato di poter colpire ovunque. Contro questo terrorismo siamo completamente indifesi"

Intervista al giornalista che fu tra i primi a lanciare l'allarme Isis: "La loro grande forza sta nel fatto che hanno molti uomini che sono disposti ad andare a morire per la causa, al contrario di noi..."

Non potevamo che rivolgerci a Massimo Fini. Perché lui è stato tra i primi, ormai parecchio tempo fa, a scolpire una frase che allora era una semplice previsione giornalistica e che oggi, dopo gli attentati di Parigi, è una certezza: "L'Isis è il più grande pericolo che l'Occidente si trova ad affrontare dalla fine della seconda guerra mondiale".


Mentre ieri notte seguivamo il flusso di immagini e notizie dalla capitale francese, ci siamo riletti un'intervista che Fini rilasciò a Liberatv poco più di un anno fa (leggi articolo correlato). L'opinione pubblica occidentale cominciava a conoscere il Califfato grazie alle decapitazioni e i "messaggi all'America". Tra i molti pensieri che il giornalista espresse in quella conversazione con il nostro portale ce ne è uno che riassume, con drammatica precisione, le ore che stiamo vivendo dopo la strage di Parigi: "Se quelli dell'Isis decidessero di portare la guerra in Occidente per noi sarebbe una catastrofe. Ci attaccherebbero con l'unica tattica che possono permettersi, ovvero il terrorismo kamikaze. D'altra parte uno fa la guerra con i mezzi che ha. E qui ci sono troppi obbiettivi sensibili, impossibile controllarli tutti". 
 

Massimo Fini, collaboratore del Fatto Quotidiano e per anni inviato delle più importanti testate italiane, autore di numerosi libri (ultimo dei quali l'autobiografia "Una vita"), è stato recentemente insignito del Premio Montanelli. Ragionando sulla situazione caotica che stiamo vivendo dopo gli attacchi di Parigi, Fini non si abbandona, come troppi stanno facendo, a pensieri consolatori, iracondi o buonisti. Da intellettuale nelle viscere – non per gioco o per specchio - mette sul piatto la lucidità, con quel riflesso fastidioso ma salutare che è il cinismo. L'antidoto migliore contro il caos e la paura: il pensiero.
 

Massimo Fini, innanzitutto qual è la sua prima lettura su quanto successo in Francia?
"Pensi che proprio ieri mi avevano telefonato da un network italiano chiedendomi qualche previsione sul futuro e avevo affermato che l'Isis avrebbe portato gli attacchi in Europa. Francesi, americani e russi si sono immischiati in una guerra in cui non c'entravano nulla. La risposta dello Stato Islamico, essendo impossibilitati a contrastarci sul piano militare con aerei o droni, è stata quella di portare la guerra in casa nostra con i mezzi che hanno a disposizione: kamikaze, bombe, assalti al kalashnikov. Senza dimenticare l'aereo russo abbattuto negli scorsi giorni nei cieli del Sinai. La loro grande forza sta nel fatto che hanno molti uomini che sono disposti ad andare a morire per la causa, al contrario di noi che non saremmo disposti neanche a sacrificare un dito". 


Perché questi attentati parigini sono diversi da quelli che abbiamo finora vissuto in Occidente?
"C'è un elemento di grossa novità. Gli uomini dell'Isis non hanno preso di mira obbiettivi simbolici, come accaduto solo poco tempo fa con la redazione di Charlie Hebdo. Hanno dimostrato di poter colpire ovunque ottenendo addirittura un risultato superiore rispetto al classico attentato nel luogo simbolo. Tutto questo dimostra che siamo completamente indifesi. Ed è questo secondo me il messaggio più forte che hanno voluto mandare". 


Questi attentati sono solo l'inizio?
"Penso proprio di sì. E penso che questa ondata terroristica coinvolgerà anche altri Paesi europei. La Gran Bretagna in primis e forse l'Italia. Anche se noi italiani abbiamo finora avuto la saggezza di starcene fuori, limitandoci a vendere qualche arma ai curdi". 


Pensa che la Francia adesso andrà a combattere l'Isis sul terreno?
"Potrebbe succedere che la Francia mandi delle truppe di terra, almeno ascoltando le dichiarazioni del presidente Hollande. Per il momento sul terreno abbiamo combattuto l'Isis per interposta persona, con i curdi dopo averli massacrati per anni, e con i pasdaran iraniani. L'unica scelta sensata a questo punto, seguendo il ragionamento del presidente francese, non può che essere quella di combattere finalmente sul serio, non solo per via aerea con i bombardamenti. Non vedo altra soluzione….Detto questo c'è anche un'altro tipo di lettura che si può fare. La reazione che ha avuto l'Isis a Parigi potrebbe essere un segno di debolezza. Ora che sono attaccati da tutti mi pare stiano perdendo un po' di terreno. Magari questi attentati sono in realtà soltanto una sorta di mossa della disperazione". 


Ritiene gli attentati in Francia cambieranno il nostro modo di vivere in Europa?
"Gli attacchi di Parigi da soli non cambieranno il nostro modo di vivere. Se invece attentati simili dovessero ripetersi in altri Paesi la situazione diventerebbe abbastanza terrorizzante e allora sì che potrebbero esserci dei mutamenti sostanziali nella società occidentale. D'altra parte, ripeto, quanto successo in Francia dimostra che si può essere colpiti anche stando in un ristorantino qualsiasi o in una sala da ballo. Le intelligence certo possono filtrare i pericoli. Ma la stessa Francia era già in allarme, eppure questo commando ha agito lo stesso e in modo piuttosto efficace. Da questo terrorismo non ci si può difendere". 


Le prime indagini hanno già accertato che uno degli attentatori è un francese di 20 anni. Alla luce di questo fatto come giudica una delle prime misure prese dal Governo francese, ovvero la chiusura delle frontiere? 
"La chiusura delle frontiere è inutile. Da informazioni che girano pare anche che uno degli attentatori sia un bianco. Staremo a vedere. Ma di certo sarà interessante capire se gli attentatori erano arabi di seconda o terza generazione che vivevano in Francia o in Europa, oppure addirittura se fra loro c'erano francesi convertiti. Se così fosse si aprirebbe uno scenario ancora più importante e spaventoso. Quel che è certo, ed è il punto centrale della questione, è che l'Occidente è debole perché non abbiamo più valori, mentre quelli dell'Isis ne hanno di fortissimi, pur sbagliati che siano. Detto in altro modo: non è che uno può vivere avendo come unico scopo il passaggio dall'Opel alla BMW. E in Occidente per molti è solo questa la prospettiva di vita. Ecco perché l'Isis è così forte rispetto a noi".


A questo proposito nel video di rivendicazione c'è un passaggio estremamente interessante. I guerriglieri si rivolgono direttamente ai diseredati: "Smettetela di farvi umiliare, di chiedere la carità, di mendicare un assegno di disoccupazione: unitevi a noi e combattete", dicono in sostanza i protagonisti del video. È un messaggio con una fortissima componente sociale e che, di conseguenza, sottintende una ribellione alle ingiustizie. È quasi un proclama rivoluzionario. Come se non fosse più soltanto una guerra religiosa ma anche di giustizia sociale. 
"Sono d'accordo. Ed è un messaggio che può far presa su molti. Penso ai migranti per fame dei Paesi del centro Africa dove c'è la miseria che abbiamo portato noi. Ma penso anche alle società occidentali, soprattutto quelle dei Paesi più ricchi, dove ci sono delle sperequazioni impressionanti fra chi ha tutto e chi ha niente. Io già all'inizio del fenomeno Isis avevo scritto che non si trattava soltanto di una guerra di religione e questo messaggio di rivendicazione non fa che confermarlo. Un altro elemento importante, ad esempio, riguarda la ridefinizione dei territori di Iraq e Siria che, non dimentichiamolo, sono stati definiti dagli inglesi negli anni 30. Ci sono dunque più elementi in gioco. E uno di questi è senz'altro anche una rivolta dei poveri e degli sfruttati contro i ricchi e gli sfruttatori". 


Se lei fosse chiamato a decidere che cosa farebbe a questo punto: andrebbe a combattere l'Isis sul terreno?
"Io riconoscerei il Califfato e tratterei con loro fissando una condizione elementare: finché state a casa vostra noi non ci immischiamo, ma come mettete fuori la testa dai confini, anche con azioni tipo quella di Parigi, è guerra aperta". 


Ora si aprirà il consueto dibattito in tutti i Paesi occidentali su che tipo di rapporto instaurare con le comunità islamiche. Lei che approccio suggerisce? 
"Meno siamo aggressivi e meglio è. Il Mondo islamico è molto vasto e se c'è una parte che apertamente non simpatizza affatto per l'Isis, ce ne è un'altra che invece lo sostiene eccome, anche se magari non lo dice. Noi abbiamo certo contribuito a una radicalizzazione di una parte dell'islamismo. Ma ora ci troviamo di fronte a una controparte assolutamente nuova e che non conosciamo quasi per niente. E quindi è molto complesso prendergli le misure e decidere cosa fare. Faccio un esempio: avessimo davanti l'Arabia Saudita potremmo dire come voi non fate costruire le chiese sul vostro territorio anche noi proibiamo la costruzione delle moschee. Ma qui non sappiamo bene con chi stiamo parlando e di chi stiamo parlando. È davvero una situazione molto difficile". 


C'è chi sostiene che l'Isis in realtà non sia affatto un fenomeno autonomo e sia solo uno specchietto per le allodole, abilmente manovrato da Paesi come l'Arabia Saudita o il Qatar, che utilizzano lo Stato Islamico per non sporcarsi le mani direttamente. Lei ci crede? 
"Io sono contrario alle dietrologie. C'è addirittura chi dice che l'Isis sia manovrato dagli Stati Uniti. Non credo a queste storie. Se lo Stato islamico non è ancora un fenomeno autonomo è sicuramente qualcosa che è sfuggito dalle mani dell'apprendista stregone. È qualcosa che va molto al di là di qualsiasi Arabia Saudita". 


Andrea Leoni

 

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