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23.11.2015 - 18:310
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Fuori il metal detector, dentro il dibattito sul burqa. Toni tranquillissimi e lodi a Ferrara Micocci (anche dalla Lega). Solo Dadò e Ducry critici

Clima "unanimistico" e da "volemose bene" a Palazzo delle Orsoline dove i deputati hanno discusso della legge di applicazione del divieto

BELLINZONA – Dibattito tranquillo, tranquillissimo. Talmente tranquillo che a memoria di cronista non ne sovviene un altro paragonabile su temi di questa rilevanza. Gli ultimi attentati terroristici ma anche i metal detector posati oggi dalla polizia all'ingresso del Gran Consiglio, hanno insomma influito parecchio sulla discussione andata in scena in Parlamento nel tardo pomeriggio. Una discussione volta ad applicare l'articolo costituzionale sulla dissimulazione del viso – il divieto anti-burqa – approvato dal popolo ticinese nel settembre 2013.

Toni tranquilli e poche critiche. Solo due deputati, Fiorenzo Dadò e Jacques Ducry, hanno sollevato obiezioni rispetto al clima "unanimistico" e da "volemose bene" che ha spadroneggiato oggi nell'aula di Palazzo delle Orsoline. 

Ferrara Micocci: "Fiducia e libertà"

Ma veniamo al succo del dibattito, cominciando dalla parole espresse dalla relatrice Natalia Ferrara Micocci, particolarmente lodata da tutti i gruppi per il lavoro svolto in Commissione su questo dossier e per la soluzione infine proposta. Quella alla francese, per capirci, da implementare attraverso una legge ad hoc che delega in sostanza ai comuni e alle rispettive polizie la sua applicazione. 

"Fiducia è il concetto base per affrontare queste tematiche", ha esordito la deputata del PLR. "Fiducia nei cittadini che a larga maggioranza hanno approvato l'articolo costituzionale ma anche nelle istituzioni che ne hanno interpretato coerentemente lo spirito con questa legge di applicazione". Ferrara-Micocci ha voluto poi soffermarsi sul concetto di libertà, richiamandosi anche alla recente sentenza della Corte di Strasburgo sui diritti dell'Uomo, che ha sottolineato come il divieto di indossare il burqa nei luoghi pubblici non leda le libertà personali. "Mostrare il viso è un diritto ma anche un dovere. Un elemento indispensabile per l'integrazione e per l'interazione sociale". Ma se chiediamo agli altri di mostrare il viso, ha sottolineato la Gran Consigliera, "dovremo anche assumerci la libertà e la responsabilità di guardarli negli occhi. Non potremo più fare finta di niente".   

Bignasca: "Due ragioni per dire sì"

All'insegna della moderazione, "l'ho promesso anche al mio gruppo", l'intervento di Boris Bignasca a nome della Lega che ha sostenuto il rapporto di Ferrara Micocci, complimentandosi con la deputata PLR per il lavoro svolto. Ecco perché: "La prima ragione - ha detto Bignasca - riguarda la difesa dei valori fondanti del nostro paese, valori sanciti dalla nostra Costituzione federale e dalla Costituzione cantonale, valori condivisi per tradizione e consuetudine da tutta la popolazione di questi paesi. Valori che si rifanno alla tradizione giudaico–cristiana e in particolare riguardo alla presenza secolare delle chiese cattoliche e delle chiese riformate in Svizzera. In base a questi valori non possiamo permettere che la parità dei sessi venga ottenebrata da pratiche palesemente denigratorie verso la donna e verso la libertà individuale".
 
"Infine – ha terminato il deputato leghista - nella discussione di questa iniziativa non possiamo dimenticare l’aspetto della sicurezza, infatti, in molti ambiti  di sicurezza chiediamo ai cittadini di essere ben visibili e riconoscibili per arginare comportamenti violenti nell’ambito della prevenzione e nell’ambito della repressione".

Le dure critiche di Fiorenzo Dadò

Di tutt'altro tenore, come anticipato nell'introduzione, l'intervento di Fiorenzo Dadò, particolarmente critico nei confronti del Governo: "Il nostro Gruppo – ha esordito Dadò - non può nascondere la propria insoddisfazione per l’approccio adottato dal Consiglio di Stato nell’elaborazione del Messaggio, che – come spiega bene il rapporto della collega Ferrara Micocci – avrebbe rischiato di arenarsi al primo ricorso".

"Il Consiglio federale – ha motivato le sue critiche Dadò - nel Messaggio con cui ha proposto di conferire la garanzia costituzionale al divieto di dissimulare il volto, ha fatto esplicitamente riferimento alla sentenza emessa il 1. luglio 2014 dalla la Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) . In quella sentenza essa (CEDU) ha stabilito che uno Stato non lede i diritti dell’uomo se vieta di coprire completamente il volto in spazi pubblici ritenendo che la convivenza in una società democratica possa essere garantita soltanto consentendo un contatto umano aperto. Il Consiglio di Stato, pur consapevole di questa giurisprudenza, ha proposto di inserire il divieto di dissimulare il volto solo nella legge sull’ordine pubblico, come se si potesse mettere sullo stesso piano un principio importante come quello accettato dal popolo – la convivenza civile basata sul contatto umano aperto – con gli schiamazzi degli ubriaconi, gli edifici pericolanti o i cani senza guinzaglio".

"Quest’estate – ha proseguito il capogruppo PPD nella sua critica - la Commissione della legislazione ha sollecitato il Consiglio di Stato a stringere i tempi per la presentazione di questo secondo Messaggio; a metà settembre il Governo ha scritto alla Commissione di non essere in grado di comunicare la tempistica di presentazione di una legge speciale e che avrebbe prima aspettato la decisione del Gran Consiglio sulla Legge sull’ordine pubblico. Questa risposta ha a dir poco dell’incredibile: nel settembre 2013 i cittadini ticinesi, posti davanti all’ interrogativo, se adottare un divieto generalizzato sul modello francese o il controprogetto del Gran consiglio che prevedeva un divieto nella legge sull’ordine pubblico, hanno votato chiaramente di preferire la prima soluzione, pur approvando anche la seconda. Il Consiglio di Stato, per rispettare la volontà popolare, avrebbe quindi dovuto dare l’assoluta priorità al Messaggio per una legge speciale, e non viceversa.  Sarebbe questo il modo di accettare e fare la tanto predicata volontà popolare? Vergogna! È vero che la garanzia costituzionale è arrivata solo nel marzo 2015, ma in tutti questi mesi – anche a fronte dei solleciti della Commissione della legislazione – il Dipartimento delle Istituzioni avrebbe dovuto mostrare ben altro dinamismo nell’attuare la sacrosanta volontà popolare. Credo sia una delle prime volte, se non la prima, che una Commissione parlamentare, che dispone di infinitamente meno mezzi di un Dipartimento governativo, ha dovuto intervenire quasi manu militari per supplire all’inerzia del Consiglio di Stato.

Ducry: "Ho votato sì al divieto ma questa legge provocherà disuguaglianze"

Severo anche Jacques Ducry. Severo soprattutto con la legge di applicazione proposta. Una legge che secondo l'ex magistrato e deputato socialista non garantisce uguaglianza. "Io – ha precisato Ducry – ho votato sì al divieto del burqa. L'ho fatto con convinzione riferendomi a quei valori del mondo occidentale, e in particolare della Francia, in cui credo: libertà, uguaglianza, fraternità". Secondo il deputato socialista delegare alle polizie locali e ai comuni, e non al Ministero Pubblico, l'applicazione di questa legge apre appunto la strada a una "sicura disuguaglianza". Le regole infatti, ha sostenuto il deputato socialista, saranno interpretate in modo difforme sul territorio base alle esigenze turistiche, alle diverse sensibilità politiche o alle esigenze elettorali. 

Sì da Verdi e UDC

A favore infine della proposta uscita dalla Commissione si sono espressi per i Verdi Michela Delcò Petralli: "Ma – ha ammonito al deputato ecologista - non è solo con il divieto del burqa che tuteleremo la dignità delle donne e neppure attizzando il fuoco dell'intolleranza che batteremo il terrore". Mentre il presidente UDC Gabrile Pinoja ha sottolineato come la soluzione proposta sia "l'unica oggi applicabile". 

Gobbi replica a Dadò: "Fiorenzo, occhio a non uccidere con il fuoco amico"

In chiusura della prima parte del dibattito è intervenuto Norman Gobbi. Il ministro delle istituzioni ha voluto in particolare ribattere all'intervento di Dadò, difendendo l'operato del suo Dipartimento e del Governo: "Certe critiche sono fatte dimenticando le prime pagine del libro. Il messaggio del Consiglio di Stato ripercorre grosso modo quanto il Parlamento aveva già approvato presentando un controprogetto rispetto all'articolo costituzionale posto in votazione. Sia la proposta di Ghiringhelli che il controprogetto sono stati approvati dal popolo, con una maggioranza a favore del testo originale".   

"Non c'è – ha proseguito Gobbi - la parola burqa nel testo approvato in votazione. Come Dipartimento e come Governo abbiamo preferito portare innanzitutto a casa il concetto di sicurezza espresso dal voto". Per questo, ha sottolineato Gobbi, abbiamo proposto di inserire il divieto nella legge sull'ordine pubblico anziché, come ha deciso di fare la Commissione, in una legge ad hoc. "Dire che il Consiglio di Stato ha perso tempo e non ha rispettato la volontà popolare, mi sembra quindi fuori luogo". 

E infine l'ultima stoccata a Dadò, il ministro Gobbi l'ha riservata ricordando come nel gruppo che ha elaborato il messaggio governativo hanno fatto parte anche "due importanti rappresentanti del suo partito". "Non uccidere qualcuno con il fuoco amico, caro Fiorenzo", ha chiosato il Consigliere di Stato leghista.     

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