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Analisi
12.09.2016 - 12:300
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Basta con questo jihadismo ticinese! Smettiamola tutti: da una parte e dall'altra. In questo Cantone sembra non esserci più spazio per chi non la pensa come noi

L'ANALISI - Riflessioni a margine della manifestazione pro migranti di Chiasso. Tra disordini e reazioni sui social. Noi e loro. O noi o loro. Io che sto con la polizia e io sto con gli altri. Come se non fossimo tutti ticinesi. No. Tutti uguali. Tutti al rogo. Poliziotti e manifestanti. Teppisti e non. Tutti coraggiosi difensori delle proprie idee con il viso celato per la strada o dietro una tastiera

di Andrea Leoni

Domenica non ero a Chiasso e non posso giudicare. Non ho visto i visi di quei 500 che hanno marciato a favore dei migranti e contro le politiche con cui la Svizzera e il Ticino stanno affrontando questa straordinaria tragedia umanitaria. Non ho ascoltato le loro voci, non ho respirato le loro emozioni, non ho percepito i sentimenti di chi prendeva parte a quel corteo, di chi lo scortava e di chi lo osservava a distanza. 

 

Non sono quindi in grado di conoscere l'effetto del passaggio di quel serpentone tra le vie del mio paesotto già fiaccato, innervosito, ferito, da troppe pressioni e da troppe ferite. 

 

Quel che è certo è che il risultato politico è disastroso. E che il clima fa ancora più schifo. Come sempre accade in queste occasioni gli atti vandalici, i petardi e i fumogeni, le scintille di violenza, hanno cancellato ogni pensiero e ogni ragione. Di quella manifestazione restano solo le scritte sui muri, i volti coperti, i fumi davanti agli agenti schierati in tenuta anti-sommossa. Tutto il resto, che pure deve esserci stato e che poteva essere occasione di riflessione e di confronto, non esiste più.

 

Cancellato dall'esibizionismo cinico di alcuni (non so se tanti o pochi) che antepongono al dramma per cui dicono di battersi (e per cui di certo sinceramente si battevano alcuni dei partecipanti), il loro ruolo di attori protagonisti nell'esplosione di una bomba carta, nell'imbrattamento di un edificio, nella provocazione che cerca lo scontro. Questi non manifestano a favore di nessuno se non del proprio smisurato ego. E per questi intendiamo gli agitatori di professione, che ancora prima di mettersi in marcia programmano le loro azioni proprio come un copione mandato a memoria, e che molto spesso fomentano i più giovani a seguirli e a replicare, facendo leva sull'ingenuità e sulla cretineria che tutti abbiamo vissuto negli anni giovanili. Ognuno secondo la propria indole. 

 

Sento già l'obbiezione nelle orecchie? Che vuoi che sia una scritta su un muro o un petardo davanti a certe ingiustizie? Rispondo che proprio il frastuono di quei petardi e il colore di quelle scritte hanno sovrastato e cancellato i visi, le storie, le sofferenze e le ingiustizie di quelli che dovevano essere i protagonisti della protesta: i migranti. Chi pensa, chi parla, chi scrive di loro dopo quanto accaduto ieri? Peggio ancora: si è creato nella testa delle persone un legame, un'associazione, tra questi disperati e gli incidenti avvenuti ieri. Mettendoli dunque ancor più in difficoltà e ancor più in cattiva luce verso la popolazione. Cornuti e maziati. Di nuovo. 

 

Quel che scrivo lo scrivo anche da persona che ha partecipato a manifestazioni non autorizzate e che rivendica in una democrazia lo spazio per la disobbedienza civile. Che ha urlato slogan stupidi e cori che ripeterebbe anche oggi. Che ha dovuto coprirsi naso e bocca per i lacrimogeni. Che le ha anche prese nella confusione che talvolta esplode in quei momenti di nervosismo. Ma mai, mai per Dio!, con la faccia coperta come solo i vigliacchi fanno. Mai lanciando oggetti contro cose o persone. Mai andando ad insultare in faccia chi faceva il proprio lavoro o rovinando i muri di tutti o di qualcuno. Comunque di casa mia.  

 

E alla fine per un motivo molto semplice, quasi banale: non ho mai voluto che quelle  stesse cose venissero fatte a me. E perché ho sempre creduto che nel mio Cantone ci fosse spazio di esistere e di esprimersi per tutti. E che tutti ne avessero lo stesso diritto. Senza bisogno di ricorrere alla prepotenza, all'insulto, alla violenza.

 

Ma in tutta questa brutta storia resta anche l'odio e il suo vomito che da quando si sono diffuse le notizie dei disordini ha inondato i social (a proposito: ministro Gobbi, un consiglio, dia una ripulita alla sua bacheca di Facebook). Richieste di legnate o peggio ancora. Contro tutti i presenti ieri a Chiasso.


Da tempo viviamo come sovrastati da un'onda permanente che schiuma fanatismo: una jihad ticinese. Noi e loro. O noi o loro. Io che sto con la polizia e io sto con gli altri. Come se non fossimo tutti ticinesi. Come se fossimo nemici da abbattere. Come se non avessimo più bisogno gli uni degli altri.

 

Come se insultare un poliziotto che è lì a fare solo il suo mestiere e che di certo avrebbe preferito passare la domenica in famiglia o a guardare il calcio, sia peggio che augurare via social la morte o un pestaggio violento a un ragazzo o una ragazza che dedica una parte del suo tempo libero per manifestare un ideale, senza fare del male a nessuno. Tutti uguali. Tutti al rogo. Poliziotti e manifestanti. Teppisti e no. Tutti coraggiosi difensori delle proprie idee con il viso celato per la strada o dietro una tastiera. Tutti incapaci di mettere da parte sé stessi, i propri sfoghi, le proprie indispensabili opinioni, per starsene un po' zitti e riflettere su ciò che sta succedendo e magari ascoltare, per una volta, quel che han da dire quelli che non la pensano come noi.  

 

Sembra che in questo cazzo di Cantone non ci sia più spazio per il dialogo, la riflessione, la verifica tramite il dubbio delle proprie posizioni, la coscienza critica, il riconoscimento delle posizioni altrui come legittime. Posizioni senza le quali non esisterebbe la democrazia ma solo la dittatura del pensiero unico.   

 

Basta! Basta con questo incessante avvelenamento dei pozzi. Con queste taniche di benzina che quotidianamente vengono riversate sul fuoco della frustrazione della gente. Con queste provocazioni sempre più sciocche, fini a se stesse, che hanno l'unico scopo di alzare l'amplificatore della lotta partitica e dell'egocentrismo e della mitomania di alcuni dei suoi protagonisti. Smettiamola tutti: da una parte e dall'altra. Altrimenti tra un po' non ci sarà più aria da respirare. E nessuno di noi può fare a meno dell'aria.

 

Usiamo questo ossigeno per tornare a parlare anziché continuare a insultarci e a deligittimarci, come se non fossimo tutti cittadini di questo Paese e i problemi che abbiamo non ci accomunassero nello stesso destino. Proviamo a pensare che nessuno ha soluzioni facili in tasca per sbrogliare matasse che sono complicatissime e sono poste molto al di sopra della nostra testa. E che non è sempre colpa degli altri.    

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