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Politica e Potere
30.09.2016 - 09:260
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

"Tra sondaggi e illusioni: come usare male la democrazia diretta": il voto di domenica secondo Fulvio Pelli. Che smonta 'Prima i nostri': "La scena politica ticinese continua a produrre con costanza soluzioni light, fatte in casa alla buona"

L'ex presidente su Opinione Liberale analizza le votazioni del 25 settembre e sui sondaggi dice: "Non è che i sondaggi effettuati qualche mese prima del voto siano sbagliati: semplicemente non dovrebbero essere fatti"

di Fulvio Pelli (da Opinione Liberale) *

Lo scorso fine settimana ci ha regalato esiti elettorali abbastanza scontati: da una parte iniziative costruite per rivoluzionare, con bei titoli e belle parole, che non hanno passato lo scoglio del voto del popolo malgrado iniziali sondaggi molto favorevoli, dall’altra un’iniziativa cantonale con anch’essa un bel titolo e promesse che suscitano speranze, la cui ratifica a Berna si urterà con scogli insormontabili e della cui efficacia dubito fortemente.

Se dovessimo dare un titolo a questa nuova esperienza della democrazia diretta, potremmo scegliere «fra sondaggi ed illusioni» e un sottotitolo «come usare male la democrazia diretta». Cominciamo dal concetto del «sondaggio», che  sempre più invade il campo della nostra democrazia.

Non è che i sondaggi effettuati qualche mese prima del voto siano sbagliati: semplicemente non dovrebbero essere fatti, poiché essi precedono la fase di approfondimento popolare delle iniziative e in essi si esprime solo la «sensazione» che il cittadino interpellato ha dell’iniziativa, quella che ricava dal titolo, studiato in modo da essere accattivante, e dai primi slogan.

Poi però la popolazione approfondisce: legge, ascolta, segue dibattiti, parla con gli altri ed alla fine, quando finalmente vota e non si limita a rispondere ad una telefonata, sceglie.

Può scegliere in due modi: insistendo sulle sue sensazioni, per dare un segnale, per esprimere la sua preoccupazione o la sua rabbia o per marcare presenza; oppure può cercare di rispondere al quesito posto dall’iniziativa esprimendo con il sì o con il no le sue convinzioni, maturate dopo l’approfondimento. Nessuno dei due modi di reagire è sbagliato e nessuno è migliore: sono due modi diversi di interpretare il senso delle votazioni popolari. Il primo assomiglia di più al sondaggio: immediato, spontaneo, vivo, ma anche effimero. Il secondo è invece partecipativo, quindi chiede uno sforzo di comprensione molto più importante dei testi proposti all’elettore: la riforma è opportuna? Sarà efficace? Risolve il problema?

Questo secondo modo di comportarsi non è migliore dell’altro, poiché anche lo sforzo di capire non è esente da rischi. Vantaggi e svantaggi delle soluzioni proposte sono tutt’altro che facili da individuare e chi cerca di convincere della bontà del sì o del no, non necessariamente la racconta giusta.

Torniamo all’esito di domenica: due iniziative popolari federali sono state seccamente respinte. Non hanno mantenuto le promesse, non sono andate oltre a un bel sondaggio. Proporre di dare il 10% in più di AVS ai pensionati, con un aumento di spesa di circa 4 miliardi, senza dire dove si prenderanno i soldi necessari non è stato né saggio né svizzero: agli svizzeri queste mezze verità non sono mai piaciute, perché sanno che se qualcuno pagherà, di solito sono loro stessi. L’AVS d’altra parte va sanata, non saccheggiata e questo è un compito che nessuna iniziativa popolare può affrontare.

Poco saggio è stato pure pretendere una rivoluzione culturale come quella proposta dall’iniziativa «per un’economia verde» che voleva farci consumare un mondo solo all’anno, quindi molto meno dei due mondi e mezzo che consumeremmo oggi se tutti fossero consumatori come lo siamo noi svizzeri. Al contrario della prima l’iniziativa, questa dell’economia verde aveva dalla sua un nuovo metodo, accattivante anche se non del tutto convincente, di misurare quel che consumiamo (o forse sperperiamo) ed un altrettanto nuovo modo di esprimersi, con al centro il concetto dell’impronta ecologica. Sarà il futuro, quel linguaggio nuovo, anche se non ha passato lo scoglio popolare? Si vedrà.

In Ticino destra e sinistra si sono presentate ciascuna con un proprio slogan: «prima i nostri» contro «basta con il dumping salariale». La destra l’ha spuntata, ma anche l’iniziativa è un po’ spuntata. Il nuovo articolo costituzionale probabilmente non passerà lo scoglio della ratifica federale, poiché è in contrasto con un paio di norme della costituzione federale; ha fissato il suo principio «prima i nostri» in una parte declamatoria della costituzione cantonale e non si capisce bene come possa essere applicata, visto che le norme sul mercato del lavoro sono di competenza federale.

Il paradosso sembra essere quello che l’iniziativa porti a un testo che assomiglierà molto a quello per ora scelto dal parlamento federale per dare forma giuridica all’iniziativa UDC sull’immigrazione di massa, un «prima ai nostri» che si potrebbe definire «light». Proprio quel «light», leggero e improduttivo, fatto alla buona in casa, che la scena politica ticinese continua a produrre con costanza. Anche qui: si vedrà!

* ex presidente PLR

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