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Analisi
11.11.2016 - 11:430

Alcune parole sgradevoli e per nulla consolatorie. Non saranno Trump, il 9 febbraio o la Brexit a salvarci dal disastro della globalizzazione. Se non cambiamo noi come singoli individui, non cambierà niente

Quello a cui stiamo assistendo è un rigetto, non una cura. E se non può che essere positiva la ribellione verso Poteri - dall'UE a Wall Street - così prepotenti da aver distrutto con un cinismo abominevole la quotidianità di milioni di persone, non possiamo essere così coglioni da credere che saranno altri Poteri, e altri pifferai, a fare il Miracolo

di Andrea Leoni


Dunque è la rabbia del popolo l'unica risposta? È il crollo dell'establishment l'unica soluzione ai disastri prodotti dalla globalizzazione? È la rivolta nell'urna degli sconfitti, dei dimenticati, degli uomini e delle donne sacrificati senza scrupolo alcuno sull'altare di questa economia e di questa politica selvaggia e criminale, la medicina per curare il cancro che sta divorando la società occidentale? Sono il 9 febbraio, la Brexit, Donald Trump e ciò che inevitabilmente seguirà, i punti da congiungere per disegnare un mondo migliore o anche solamente un pochino più giusto per chi ha di meno?

 

Non illudiamoci: perché così non sarà. Sarebbe troppo facile pensare che basti un voto (o 10, 20, 50) o una ricetta politica apparentemente alternativa (o 10, 20, 50) per modificare, o addirittura snaturare, un modello ormai assimilato non solo nel tessuto civile, economico e sociale ma anche in ognuno di noi, come singoli cittadini. 

 

Questo veleno che dagli anni novanta circola nelle nostre vene ci ha cambiati, probabilmente corrotti, fino al midollo. Anno dopo anno abbiamo imparato a sopravvivere ragionando con gli stessi schemi e gli stessi meccanismi di quell'élite che oggi vogliamo tutti spazzar via. È come se ci guardassimo allo specchio sputandoci addosso: perché anche noi, infondo infondo, in qualche grande o minuscola occasione abbiamo approfittato dei prodotti effimeri e delle regole seducenti della globalizzazione. Chi più, chi meno e ovviamente con gradi di responsabilità diversa, per carità. Ma, in generale, non siamo forse diventati più individualisti, avidi, egoisti,  arroganti, intolleranti? Certo non più ricchi, al contrario dei pochi che hanno meglio approfittato della situazione. Ma questo è accidentale: fin dalla notte dei tempi dell'ingiustizia godono i filibustieri. Nessuno può considerarsi solo una vittima. Nessuno può considerarsi del tutto innocente.  

 

Mai come oggi occorre rimanere lucidi. Mai come in questo momento occorre passare costantemente al setaccio del dubbio e dello spirito critico le proprie azioni e le proprie convinzioni. Mai come ora serve quel coraggio, oggi considerato così poco nobile, che è insito nello sforzo della comprensione e della tolleranza, nel ragionamento slegato dai dogmi, nella dignità di chi percorre i sentieri più impervi controvento, nella capacità di combattere e nel contempo di resistere alle derive del combattimento e dei suoi sentimenti più oscuri.   

 

Quello a cui stiamo assistendo è un rigetto, non una cura. E se non può che essere positiva la ribellione verso Poteri - dall'UE a Wall Street - così prepotenti da aver distrutto con un cinismo abominevole la quotidianità di milioni di persone, non possiamo essere così coglioni da credere che saranno altri Poteri, e altri pifferai, a fare il Miracolo. 

 

Non sarà neanche il popolo votante, e neppure chi lo loda e lo imbroda come elemento salvifico all'interno di un'architettura democratica decadente, a tirarci fuori dai guai. La verità è che oggi il popolo, inteso come comunità di persone, è più diviso e quindi più debole che mai. Gli stanno crollando le fondamenta sotto i piedi, al popolo. Spesso e volentieri si guarda in cagnesco, il popolo. Si chiude nell'isolazionismo virtuale, il popolo. C'è sempre meno solidarietà e condivisione di valori all'interno del popolo. E anche quando una parte si ribella e crede di aver vinto nell'urna, dal giorno dopo ritorna a fare esattamente quel che faceva il giorno prima, come singoli individui nella catena di montaggio della routine. Non dimentichiamoci mai, infine, che il popolo, come qualunque aggregazione umana, è fallibile.  

 

Tutto questo per dire che questa ribellione non va affidata alla speranza che qualcuno cambi le cose al posto nostro. Non accadrà. Se non sapremo riscoprire in noi stessi valori, sentimenti e comportamenti diversi, nessun 9 febbraio, nessuna Brexit e nessun Trump, sarà in grado di cambiare le nostre vite. La rivoluzione, quando è autentica, non la fanno mai gli altri al posto tuo. 

 

Mi rendo conto che si tratta di parole che possono risultare sgradevoli e per nulla consolatorie, ma in questo momento vissuto da molti con insensata euforia, sentivo il bisogno di scriverle.   


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