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Politica e Potere
09.12.2016 - 11:000
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

‘La scuola che verrà’ secondo Gerardo Rigozzi: "La riforma è stata scritta da pedagogisti che vogliono fare i politici. E i livelli alle medie vanno riformati, non aboliti"

Intervista all'ex direttore del liceo di Lugano: "Non voglio buttarla in politica e nemmeno schierarmi contro il Dipartimento o contro il ministro Bertoli, che tra l’altro è stato mio allievo. Anche se ho l’impressione che dietro a questo progetto l’impronta socialista sia piuttosto evidente, nella forma di un eccesso di egualitarismo…"

di Marco Bazzi

 

La sperimentazione della riforma ‘La scuola che verrà’, prevista da settembre del prossimo anno, va rinviata. L’altolà è arrivato dalla maggioranza della Commissione parlamentare della gestione, che propone di stralciare dal Preventivo 2017 il mezzo milione di franchi stanziato per il test. La maggioranza dei commissari si è dunque allineata alla richiesta di rinvio della sperimentazione formulata settimana scorsa dalla Commissione scolastica. Troppe, secondo i deputati, sono le critiche formulate dalle associazioni dei docenti al documento presentato dal Dipartimento diretto da Manuele Bertoli. 

 

“Equità, democrazia… e le conoscenze?”, era per esempio il titolo di una presa di posizione del sindacato docenti dell’OCST, firmata dal presidente, Gianluca D’Ettorre.

 

Nel mirino, l’egualitarismo che pervade eccessivamente il progetto: “Non si ricerca più l’uguaglianza di trattamento, bensì l’uguaglianza di risultati, intesa come il “migliore risultato possibile per ognuno” – scrive D’Ettorre -. L’immagine descrive un docente che, più che valutare in modo trasparente e libero il rapporto tra l’allievo e la realtà attraverso il prisma di una materia, appare come il custode di un patrimonio valutativo da ridistribuire equamente per correggere le ingiustizie sociali, come un giudice socio-pedagogico che usa la scuola per riparare i misfatti della società”.

 

Critico è anche colui che negli anni Settanta fu presidente del gruppo di lavoro che disegnò la riforma dei livelli per il secondo biennio della Media. Gerardo Rigozzi è uno che la scuola la conosce bene, perché prima di dirigere la Biblioteca cantonale è stato per vent’anni direttore di Liceo di Lugano. In questi mesi ha messo a disposizione del PLR la sua esperienza nel gruppo di lavoro incaricato di lavorare sulla riforma. Ecco le sue riflessioni.

 

“Ritengo che varare la cosiddetta ‘riforma epocale’ della scuola sia un’operazione ardua e non priva di rischi, perché i meccanismi della scuola sono molto delicati. Però premetto una cosa: non faccio una riflessione partitica. Non voglio buttarla in politica e nemmeno schierarmi contro il Dipartimento o contro il ministro Bertoli, che tra l’altro è stato mio allievo. Anche se ho l’impressione che dietro a questo progetto l’impronta socialista sia piuttosto evidente, nella forma di un eccesso di egualitarismo… Ma non voglio entrare in queste polemiche”.

 

Piuttosto, prosegue Rigozzi, “dopo aver letto questo documento ho fatto una riflessione di fondo: il pedagogista deve fare il pedagogista e il politico deve fare il politico. Ecco, la mia impressione è che ‘La scuola che verrà’ sia stato scritto da pedagogisti che vogliono fare i politici. Non so se questo derivi da un peccato di ingenuità o da una scelta consapevole, ma a mio avviso quando si propone una riforma della scuola bisogna distinguere chiaramente gli aspetti pedagogici da quelli politici e istituzionali”.

 

Secondo Rigozzi, nel documento c’è un equivoco di fondo: “in particolare quando si dice che l’esito della scuola media nel secondo biennio è profondamente insoddisfacente, e si attribuiscono le responsabilità di questo fallimento ai docenti, giudicati troppo generosi nel dare le note, e alla pressione esercitata da fattori extrascolastici (come  si legge alle pagine 36 e 37). Mi sarei aspettato elementi maggiormente concreti e più scientifici a sostegno di queste conclusioni, e mi chiedo: ma siamo sicuri che il sistema sia davvero sbagliato? O il difetto sta invece nella sua applicazione?”.

 

La premessa da cui partono gli estensori del documento, spiega Rigozzi, è che la scuola deve essere ‘inclusiva e democratica’: “Il Documento dice: basta con le divisioni dei percorsi di studio, cerchiamo invece di tenere tutti insieme, allievi e docenti, creiamo insomma una comunità (parola molto ricorrente nel documento) educativa che induca i docenti ad andare nella direzione auspicata”.

 

Ma gli allievi sono diversi sotto molti punti di vista, aggiunge l’ex direttore di liceo: per motivazione, propensione allo studio, impegno, capacità di apprendimento... “È una pia illusione che attraverso la diversificazione delle strategie d’insegnamento e delle pratiche educative si riesca ad ottenere una ‘eguaglianza dei risultati’, come si afferma a pagina 22 del documento”.

 

Ma c’è di più, prosegue Rigozzi: “Pretendere che i docenti riescano a individualizzare l’insegnamento, - adattando le modalità all’eterogeneità degli allievi, rispettivamente all’eterogeneità delle loro intelligenze, delle loro capacità, delle loro competenze -, è una pia illusione e finisce per caricare su di essi una responsabilità che va ben oltre le loro mansioni e le loro competenze. Se il risultato finale sarà un insuccesso (anche perché è difficilissimo individualizzare la didattica in classi eterogenee di 20-24 allievi), esso verrà attribuito all’incapacità dei docenti, e questo sarebbe un ulteriore classico e brutto scarico di responsabilità”. 

 

In tutti i Cantoni e nella maggior parte dei Paesi europei, per non dire mondiali, già a partire dai 13/14 anni c’è una diversificazione dei curricoli e dei contenuti a seconda delle caratteristiche degli allievi, aggiunge Rigozzi: “Ed è la via giusta, perché non si possono frenare ragazzi motivati allo studio, né frustrare gli allievi che hanno altri interessi. Secondo me bisogna piuttosto rivedere alcuni approcci didattici e contenuti programmatici dei due livelli, ma non certo abolire la diversificazione strutturale”.

 

E spiega: “Nel livello 1, più orientato agli studi liceali e agli allievi che hanno una maggiore propensione per lo studio, è giusto puntare sulla matematica e il tedesco, ma anche sull’italiano, inteso come storia della letteratura e come riflessione sulla lingua. Inoltre è giusto richiedere l’acquisizione di determinate competenze (leggasi: media superiore a quella attuale) per accedere in modo più graduale alle scuole mediosuperiori. Nel livello 2 si dovrebbero invece privilegiare gli aspetti tecnici, che oggi sono fondamentali per i diversi sbocchi professionali, e insegnare l’italiano in modo diverso, più funzionale alla redazione di testi, di lettere o di rapporti… Inoltre si potrebbe privilegiare l’uso intelligente di banche dati specifiche, nonché una maggiore formazione nella lingua inglese. In questo modo l’allievo che segue il livello 2 non sarebbe più considerato di secondo rango, ma semplicemente un ragazzo che segue un percorso scolastico diverso, maggiormente orientato alle scuole professionali”.

 

In poche parole, dice l’ex direttore di liceo, “basta con una visione unilaterale della scuola orientata secondo il modello degli studi! Prepariamo i docenti a differenziare realmente approcci e contenuti di pari dignità. Ecco perché ritengo che la riforma dei livelli non sia stata recepita nei suoi presupposti e nel dovuto modo. Basta fare un ulteriore sforzo per rendere attrattivi i due livelli, in modo che anche verso l’esterno si comprenda la qualità del lavoro svolto in ambedue le direzioni”.

 

Secondo Rigozzi c’è inoltre un’altra questione da chiarire in relazione al ruolo dei genitori: “Il documento da una parte critica l’influenza dei fattori extrascolastici e dall’altra, contraddicendosi, dà ai genitori un potere ancora superiore a quello attuale, relegando i docenti al ruolo di semplici consulenti. Ma la competenza certificativa deve rimanere della scuola, dei Consigli di classe, sia pure dopo aver sentito i genitori. La scuola non può rinunziare alla sua responsabilità istituzionale in nome di un generico egualitarismo e partecipazionismo”.

 

È vero, ammette l’ex direttore di liceo, “che la vecchia formula dei curriculi A e B era troppo radicale e discriminatoria. Per questo proponemmo di sostituirla con i livelli, che purtroppo vengono ancora oggi considerati da troppe famiglie patenti discriminatorie. Il livello 2 è stato declassato, sminuito come programma scolastico di rango inferiore e di minore dignità. Questo è il vero problema: bisogna ridargli la dignità che merita, anche perché un allievo motivato agli studi può sempre avere la possibilità di recuperare le lacune con un anno in più o con gli esami di ammissione; in quest’ultimo caso se aiutato dalla scuola e non lasciato da solo a preparare gli esami”. 

 

Conclude Rigozzi: “Tutti sono concordi nel dire che si può sempre migliorare la scuola e giudico perciò positivamente che il DECS abbia questa intenzione; ma attenzione: non vogliamo abbassare il livello della scuola attuale con talune soluzioni proposte nel documento (abolizione livelli, abolizione licenza, abolizione criteri di accesso al mediosuperiore, ecc.), che a mio parere risultano anche inedite (adatte solo per il Ticino?), ma soprattutto poco realiste. I recenti risultati conseguiti nelle prove PISA dimostrano che siamo sulla buona strada. Voler rivoluzionare la scuola con una “riforma epocale”, quindi sistemica, è un rischio che il nostro Paese non può correre, tanto più che siamo in obbligo di interpretare al meglio le esigenze sempre maggiori che la nostra società dell’informazione richiede in fatto di strumenti e di conoscenze. La scuola va sì perfezionata, ma nella direzione della qualità e non di ipotesi egualitaristiche tutte da dimostrare”.

 

Infine, un parere sulla sperimentazione, sul test che il ministro Bertoli voleva fare a partire dal prossimo settembre: “Il Dipartimento, afferma Rigozzi, ha tutto il diritto di fare sperimentazioni pedagogiche, ma non sui punti salienti di politica scolastica prima di sentire se c’è un minimo di consenso sul modello di “Scuola che verrà”. Aspettiamo quindi a fine marzo, quando scadrà il termine per la consultazione e tutte le parti - docenti, forze politiche, associazioni - si saranno espresse”.

 

Keep calm, insomma.

 

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