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Analisi
25.04.2017 - 10:140

Il problema non sono i transgender ma il "genderismo". Lo smarrimento identitario e la tuttologia sono le uniche e reali frontiera spalancate sull'Occidente. E tocca a noi sinceri atei e libertari isolare i nostri talebani

“Vergogna! Vergogna! Vergogna! Tremenda vergogna! Omofobo, razzista, fascista, nazista, bacia pile, animale. Ignorante, schifoso, ritardato, folle, coglione, malato di mente. Sparati in bocca, che ti venga un cancro, che tu possa morire nella più atroce sofferenza! O che come minimo ti condannino e ti mandino al gabbio. Per metterti quantomeno a tacere”. Quanto amore per la libertà e quanta avversione al pregiudizio nel popolo dei così detti tolleranti....

di Andrea Leoni

“Vergogna! Vergogna! Vergogna! Tremenda vergogna! Omofobo, razzista, fascista, nazista, bacia pile, animale. Ignorante, schifoso, ritardato, folle, coglione, malato di mente. Sparati in bocca, che ti venga un cancro, che tu possa morire nella più atroce sofferenza! O che come minimo ti condannino e ti mandino al gabbio. Per metterti quantomeno a tacere”.

 

Oh (e vi chiedo di leggere questo “oh” sospirandolo appena come nella lettera che Oscar Wilde scrisse dalla prigione di Reading all’amato Bosie), quanta comprensione, quanto amore per la libertà, quanta larghezza di vedute, quanta passione civile, quanta avversione al pregiudizio, nel popolo dei così detti tolleranti, per autocertificazione, che hanno belato su Facebook contro il sottoscritto con le parole virgolettate. Quanto amore per la diversità, quanto rifiuto della violenza, quante braccia spalancate all’accoglienza e al dialogo con l’eretico straniero, tra tutti questi talebani del libertarismo di plastica, tra questi integralisti che combattono battaglie di riflesso soltanto quando il loro dogma viene preso a pizzicotti. Quanti amanti della trasgressione, della provocazione, della disobbedienza civile e d’opinione, tra tutti questi scolaretti di Voltaire: pronti a trasgredire, a provocare e a disobbedire, a patto che siano solo loro a poterlo fare.

 

Tutto questo esibizionismo verbale è solo la messinscena di un altro modo di recitare il moralismo. E di imporlo agli altri. Negandosi ancora una volta il piacere dello scandalo.

 

Non c’è quindi nulla di sorprendente in questa “vomitata” di massa perbenista e squadrista. Del resto si ripete sempre lo stesso schema: quando gli interpreti di un pensiero, divenuto nel frattempo ideologia e lobby, vengono fatti accomodare al tavolo della maggioranza, diventano quasi sempre più intolleranti e più spietati degli aguzzini che avevano combattuto fino a ieri e con cui ora pasteggiano. E peggio ancora gli ex compagni di lotta e i nuovi discepoli del culto, custodi intransigenti e teppisti in servizio permanente, radunati per la strada fuori dal Palazzo.

 

Sarei omofobo, dunque. Omofobo per aver citato la cultura dell’antica Grecia come architettura fondamentale dell’Occidente. Un’architettura grazie alla quale per secoli e secoli questa parte del mondo è stato un faro indiscutibile della storia dell’umanità. Quella cultura greca imbevuta di omosessualità. Un omofobo, credo il primo, che cita con ammirazione e deferenza l’omosessuale Pier Paolo Pasolini.

 

Sono io che odio i transessuali e i transgender, queste meravigliose ed eteree creature che riempiono di grazia e di bellezza l’ambiguità sfuggente dell’animo umano. Che arricchiscono da tempo immemore e in ogni luogo la nostra specie. Sono io che odio i transessuali e i transgender per aver scritto nell’articolo che ha offeso tante anime buone e belle, che è “sacrosanto il principio di tutelare dalla discriminazione, anche nelle scuole, tutte le tendenze sessuali”. Tutelare, vale a dire proteggere, queste persone: fra i comportamenti che più nobilitano una comunità. E nulla e nessuno può essere protetto senza essere incluso, a meno di non ignorare i più ovvi fondamentali della logica. Davvero un bizzarro caso di transfobia, il mio…

 

Oppure l’accusa di transfobia, di ignoranza, di pregiudizio, è solo una manganellata a casaccio per non saper ribattere a un’evidenza. Vale a dire che l’irrinunciabile tutela della natura individuale e della sua libera e totale espressione indentitaria, non può cambiare, con nessuna legge e neppure per mezzo delle tipiche icone ipocrite dell’omologazione (tipo i cessi e gli spogliatoi dedicati), il fatto che la natura universale che manda avanti o indietro un popolo, non potrà contare sull'apporto dell’identità gender per riprodursi, cioè per sopravvivere. E in quanto tale il terzo genere non può essere considerato alla pari degli altri due. Non minore ma neppure uguale. A meno che qualcuno tra i miei goffi picchiatori non sia sostenitore di una scienza, o di un’eugenetica sociale, entrambe di stampo nazista, che si spinga fino a riprogettare i fondamentali della vita umana.

 

Lo ribadisco: una società che pensa di progredire normalizzando, istituzionalizzando, parificando, tutto e il contrario di tutto in un unico schema, è destinata a soccombere. Un conto sono i diritti individuali, un altro è la struttura sociale che serve innanzitutto a mandare avanti la baracca.

 

Può piacerci o non piacerci, ma questo è. E se dall’individuo leviamo lo sguardo verso la comunità, non possiamo che ammettere che le sfide che ci attendono sia sul piano interno (invecchiamento della popolazione con relative patologie e costi, crisi della democrazia e del modello di integrazione, gestione dei flussi migratori, quarta rivoluzione industriale, crescita delle tensioni sociali) sia su quello esterno (instabilità geopolitica, esplosione demografica e crescita economica delle società al di fuori dei confini dell’Occidente, in primis), ci imporranno delle scelte precise e coerenti. Altrimenti saremo soppiantati, come ordina da sempre e ovunque la legge della natura. E oggi c’è un mondo - anche se vastissimo, variegato, complesso e contraddittorio - che ha le potenzialità per prendere il nostro posto: ed è quello islamico.

 

E per questa affermazione sono razzista e islamofobo. Per aver scritto un’altra ovvietà, senza esprimere giudizio alcuno sul mondo musulmano. Anzi, per aver annotato che “la variegata società islamica è oggettivamente più vitale e più salda nei suoi valori fondamentali della nostra”, al di là di quello che noi possiamo pensare di quella vitalità e di quei valori. Sono infatti sempre più persuaso, da appassionato osservatore del mondo musulmano, che in alcune fra le comunità islamiche, abbiamo da cogliere spunti interessanti e che potrebbero tornarci utili. Penso ad esempio all’orgoglio verso la propria cultura e le proprie tradizioni, a un rapporto molto più sano con il denaro e con il consumo, a un rifiuto categorico verso alcune degenerazioni della scienza e della modernità, alla conservazione di elementi primordiali come il coraggio, il sacrificio, la fame di emergere.

 

Non facciamoci illusioni. Non saranno i ban o i muri trumpisti o altri slogan destrorsi ad evitare l’islamizzazione o il crollo dell’Occidente. La nostra civiltà potrà sopravvivere solo a fronte di scelte politiche e sociali che rinvigoriscano il nostro codice indennitario. Le contraddizioni insostenibili, i vuoti valoriali, il disinteresse o il rifiuto della nostra impronta culturale, la pigrizia e la bambagia, tutti prodotti della tuttologia e dell’opulenza, sono le uniche e reali frontiere spalancate. Da che mondo è mondo quando vi sono due forze contendenti, quella vincente si incunea e prevale sfruttando le debolezze dell’altra.

 

Di qui passano i limiti smarriti (“Nulla di troppo”). Oggi omologhiamo i baby gender nelle scuole dell’obbligo, cioè alla base della piramide, con un’operazione che a me pare più di ingegneria sociale che di umanità. Un’operazione costruita in nome di una falsa uguaglianza e di una falsa tolleranza, figlia soltanto del conformismo e della dittatura dei consumi. Il problema non sono i gender ma il "genderismo". E domani? Esiste un confine? Esiste un limite invalicabile? Oppure no?

 

Davvero, poggiandosi sul principio del dubbio illuminista, siamo convinti che imbottire di ormoni dei bambini di 12 o 14 anni per frenare la corsa dello sviluppo, sia un atto di civiltà? Davvero siamo sicuri che, siccome lo afferma una parte del corpo medico, a quell’età si possa intraprendere con piena coscienza e consapevolezza una strada di trasformazione irreversibile?  
 

Certo, quando ascoltiamo le tormentate vicende personali di queste persone, la nostra sensibilità non può che scuotersi e interrogarsi sinceramente. Ma questa commozione, questa intima vicinanza umana, non può essere utilizzata come ricatto morale, come una siringa per inoculare il senso di colpa. Lo dico il più chiaro possibile: non sono sufficienti singole esperienze per forgiare un modello comunitario.  


Molti si sono scandalizzati perché ho usato la metafora della metastasi, non già verso la ragazzina ginevrina o gli altri bambini gender, ma per apostrofare la deriva rappresentata dalla statalizzazione di questa condizione personale. Ma tra le metastasi ho citato anche l’utero in affitto, oppure il progetto tecnologico che mira ad allacciare il cervello umano ai computer, o ancora l’accesso al suicidio assistito indipendentemente dalla stato di salute. Tutti frutti avvelenati di questa idea perversa secondo la quale il diritto, che è cultura sociale, possa sostituirsi alla natura della vita. Al principio che all’essere umano venga concesso di fare, qualunque sia il prezzo, tutto ciò che rientra nella sfera della sua volontà. E guai a farglielo notare sfidando quella che Giorgio Gaber chiamava “la legge dilagante del fatti i cazzi tuoi”.

 

Ma metastasi dell’Occidente sono anche la vendita di armi a Paesi come ad esempio l’Arabia Saudita (e ne ho scritto). Metastasi dell’Occidente sono le guerre mosse contro una parte del mondo musulmano per interessi economici o geopolitici (e ne ho scritto). Metastasi dell’Occidente sono il liberismo criminale, che è il motore del fascismo dei consumi e il fiume avvelenato che scava incessantemente il suo letto allargando il divario delle diseguaglianze sociali (e ne ho scritto).

 

Ma non possiamo denunciare solo i mali che per formazione o per indole ci vengono più facili e più comodi da combattere. Dobbiamo avere l’onestà intellettuale di riconoscere che il decadimento dell’Occidente passa anche dalla struttura sociale, dallo smarrimento culturale, dai suoi costumi e dal comportamento dei singoli.

 

E tocca a noi sinceri atei e libertari per primi alzare la voce e isolare i talebani che interpretano e diffondono il nostro pensiero e la nostra vocazione in maniera estremista, fino al punto davvero paradossale di aggregarsi a quelli che giocano a fare Dio, sfidando il peccato della hybris. Noi dobbiamo fare lo stesso di quanto continuamente chiediamo agli islamici moderati rispetto agli jihadisti. Per troppo tempo, mentre combattevamo con tutte le ragioni le bigotterie e l’oscurantismo del mondo cattolico e di ogni forma di cultura e politica reazionaria (contro cui continueremo a batterci), abbiamo trascurato il fanatismo che cresceva tra le nostre fila.

Tocca a noi per primi batterci affinché la vita, e l’esistenza umana, resti legata alla natura e non finisca nelle mani degli uomini e delle sue leggi. Che poi sono e saranno sempre quei pochi e quei soliti noti.

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