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08.05.2017 - 09:440
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

"Quando i politici non sanno come agire, dicono che deve pensarci il popolo". Natalia Ferrara si scaglia contro la proposta di Lega e UDC sull'elezione popolare dei magistrati

La deputata PLR ed ex procuratrice pubblica: "Politica e media (non il popolo!) si impadronirebbero della giustizia penale. Ci rendiamo conto dei rischi?"

di Natalia Ferrara*

 

Quando i politici eletti non sanno come agire, preferiscono dire che deve pensarci il popolo, come nel caso dell’elezione popolare dei magistrati. Invece di affrontare il vero problema di una procedura di nomina che molti ormai considerano inadatta alle necessità, qualcuno chiede il miracolo al suffragio universale. Questo non senza secondi fini politici, cominciando con il dire che i contrari non si fidano del popolo.

 

Niente di più strumentale perché il solo tema è potersi fidare della legge e delle Istituzioni. Poniamo che si voti per eleggere il procuratore generale. Prima ipotesi: un solo candidato/a, siccome partiti e gruppi vari si sono accordati, di conseguenza elezione tacita, nessun voto popolare, come è avvenuto per decenni in Ticino. Una finta democrazia diretta, ma un alibi vero, purtroppo, per chi nelle fila di Lega e UDC, e forse non solo, non vuole assumersi le proprie responsabilità.

 

In effetti, il popolo deve poter controllare le decisioni dei politici, e non decidere al nostro posto, sennò, scusate, che ci stiamo a fare? Ma torniamo alla nostra ipotesi e immaginiamo che non si trovi un accordo preventivo generale e vi siano quindi un certo numero di candidati/e, anche outsider, che non si faranno sfuggire a questo punto l’occasione di mettersi in mostra, a maggior ragione nell’invitante odierno clima del “nuovo contro vecchio”. Prima del voto serve, evidentemente, una campagna elettorale.

 

Bene, entrano in gioco, oltre ai partiti, i media e le reti sociali. I candidati più fantasiosi non mancheranno di preparare programmi e piattaforme virtuali, per chiedere al popolo, ça va sans dire, di suggerire loro idee e priorità. È la politica, bellezza. Si faranno dunque avanti, perché no, anche gli scontenti di questa o quel candidato, magari perché si tratta di un magistrato penale uscente che li ha fatti condannare oppure di un avvocato che avrebbe deluso i suoi difesi. Come? Semplice, ad esempio pubblicando atti di procedimenti, verbali, onorari, illazioni, insinuazioni e via elencando.

 

In questo clima, appunto, i vari postulanti alla funzione, per distinguersi, dovranno per forza farsi notare, promettere, far credere, Certo, possiamo fare finta che il tutto si svolgerà invece come in un austero seminario universitario o addirittura che, come ha scritto recentemente il presidente UDC, l’elezione popolare di magistrati spoliticizzerebbe le nomine.


Personalmente non credo agli elefanti che volano e mi chiedo: chi risulterebbe eletto? La o il più votato? Se il voto è frantumato, ci vorrà un ballottaggio? Ma non basta. Chi vince inizia il suo lavoro, e giura o promette di essere fedele solo alla legge, non ai suoi elettori. E cosa succede? L’attenzione suscitata dalla campagna elettorale, l’interesse mediatico, si sposta verso l’attività della persona in carica che diventa, in sostanza, una sorta di ministro della giustizia bis, eletto dal popolo e davanti ad esso responsabile. Il dado è tratto: politica e media (non il popolo!) si impadroniscono della giustizia penale.

 

Ci rendiamo conto dei rischi? Vale la pena correrli o risolviamo finalmente e rapidamente il problema della modalità di nomina dei magistrati, e, per dirla tutta, anche della loro attività in carica? Pretendiamo dai politici di pensare concretamente alla Giustizia, non di giocare allo scaricabarile, che, così, è solo la criminalità a trarne beneficio.

 

*deputata PLR

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