Il Caffè ha raccolto la testimonianza dei congiunti, nel corso del funerale tenutosi venerdì al crematorio di Bellinzona. Erano presenti la moglie Vijitha, 36 anni, le figlie Tharsikaa, 20, e Tharsini, 16, e il fratello della vittima, Mathanakumar, 32 anni, arrivati dallo Sri Lanka. I parenti, che saranno ricevuti dal Procuratore Pubblico Moreno Capella titolare delle indagini sul caso, hanno potuto raggiungere il Ticino grazie all’ambasciata svizzera che “nel senso di un gesto umanitario, in collaborazione con la Segreteria di Stato della migrazione, ha deciso di facilitare il viaggio”.
Alle esequie non era presente nessun rappresentante delle autorità ticinesi, Polizia, Cantone o Municipio di Brissago. La vicinanza alla famiglia della vittima, insomma, si è limitata alle parole espresse dal comandante della polizia e dal ministro Norman Gobbi il giorno della tragedia.
Vijitha, racconta il giornalista del Caffé, grida forte tutta la sua disperazione, e con lei le due figlie. Tre esili figure, incredule. "Papà era buono, regolarmente ci mandava dei soldi, ora non so come faremo senza il suo aiuto", dice una delle figlie con la voce rotta. E un ragazzo osserva: "Non si può scappare da un lurido campo di sfollati di Mullaittivu, nella provincia nord dello Sri Lanka, lì Karan era stato rinchiuso dopo la guerra, venire qui per cercare di rifarsi una vita con la speranza di portare anche la moglie e le figlie e morire così. Pensare che la Svizzera per noi è un sogno".
"È morto per una stupidaggine - replica un altro dei presenti -. Stavano discutendo, Karan era alterato, sembra avesse preso il brutto vizio di bere, e poi la situazione è precipitata. Uno dei suoi compagni ha chiamato la polizia... ma oggi non lo farebbe più".
“Fatti del genere non devono più accadere”, ha ripetuto più volte dal pulpito del crematorio il sacerdote che ha officiato il rito.