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Cronaca
15.07.2016 - 18:550
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Massimo Fini: "Che a Nizza sia stato lo Stato Islamico o no, cambia poco: per il terrorismo islamico è comunque un successo. L'Isis è ormai un'epidemia ideologica"

Intervista al giornalista e scrittore italiano: "Questo attacco ci dimostra ancora una volta quanto siamo impotenti contro questo tipo di terrorismo, perché gli obbiettivi possibili sono infiniti e non è possibile controllarli tutti. "Dire non dobbiamo cedere alla paura, vuol dire già ammettere di avere paura"

MILANO – "Il fatto che l'attentatore di Nizza sia un uomo legato all'Isis o meno cambia poco. Il risultato è lo stesso ed è un successo per la causa jihadista". 

 

È questa la lettura di Massimo Fini sul massacro avvenuto giovedì sera sulla Promenade des Anglais. Lo scrittore e giornalista italiano, tra i primi in Italia a riflettere sul fenomeno dello Stato Islamico, isola subito dal discorso l'unico punto certo della vicenda, a meno di 24 ore dalla strage, in un orizzonte di ombre, dubbi e incertezze, che fanno da sfondo a questo attentato.  

 

"Partiamo da un'evidenza: questo attacco ci dimostra ancora una volta quanto siamo impotenti contro questo tipo di terrorismo, perché gli obbiettivi sono infiniti e non è possibile controllarli tutti". Un concetto quest'ultimo che Massimo Fini aveva già espresso nel corso dell'ultima intervista con Liberatv, dopo le stragi di Parigi (leggi articolo correlato). E che a Nizza ha trovato la più tragica delle conferme. 

 

"Se è opera dell'Isis – prosegue lo scrittore nel suo ragionamento – allora si tratta di un attacco messo a segno con grande intelligenza, perché come sappiamo durante gli Europei di calcio era tutto molto controllato ed era sostanzialmente impossibile riuscire a colpire. Se al contrario si tratta dell'opera di un folle, ubriacato dall'islamismo del Califfo, allora questo confermerebbe ciò che sostengo da qualche tempo: che Isis, più che un'organizzazione, è un'epidemia ideologica e che questo germe è ormai entrato in circolo in Europa come in buona parte del resto del Mondo". 

 

Il Califfato, negli ultimi tempi, sta perdendo parecchio terreno. L'intervento militare di alcuni Paesi occidentali e della Russia in Siria ed Iraq sta facendo arretrare parecchio gli uomini di Al Baghdadi. E questo, secondo Fini, "aumenta la loro necessità di colpire fuori". "Lo Stato Islamico sta perdendo sul campo per l'evidente sproporzione di mezzi rispetto ai loro avversari. Ma per far capire a tutti che ancora esistono e sono forti, sono ancora più motivati a colpire fuori, in Europa e altrove".

 

E in effetti se prendiamo in considerazione solo gli ultimi giorni, il 28 giugno c'è stato l'attentato all'aeroporto di Istanbul, il primo luglio quello di Dacca. Solo per citare gli attacchi più noti all'opinione pubblica occidentali. Gli attentati di cui ce ne è fregato qualcosa. 

 

"L'attacco all'aeroporto Ataturk – riflette Fini – ha dimostrato una grande organizzazione perché si sono fatti saltare in aria in uno degli scali più blindati del mondo. Ma, ripeto, non è più così importante capire se tutti questi attentati sono direttamente opera dell'Isis. Se li hanno ordinati loro, per capirci. A mio avviso il fatto decisivo è che questa epidemia ideologica innestata dal Califfato si è diffusa con successo in una parte del mondo musulmano". 

 

Quale sarà l'impatto psicologico sui cittadini europei del massacro di Nizza? "Certamente – risponde Fini - mette la gente ancora di più in uno stato di allarme e di tensione. Quale cittadino europeo non è stato almeno una volta a passeggiare sulla Promenade des Anglais? I fatti di Nizza ci confermano che questi attentati possono accadere ovunque. Da questo punto di vista il terrorismo islamico ha pienamente raggiunto il suo obbiettivo: quello di farci paura. Ora prevedo che ancora una volta si faranno le pulci alla sicurezza francese. Ma la verità è che gli obbiettivi sono tali e tanti che nessun paese può controllarli tutti. Siamo completamente indifesi". 

 

Dopo ogni attentato le prime parole che vengono riversate come una mantra sull'opinione pubblica, sono racchiuse nello slogan: "Non dobbiamo cedere alla paura perché sarebbe come dagliela vinta". In realtà la paura ce l'abbiamo eccome ed è sufficiente sfogliare alcuni dati sul turismo per capirlo. Ed è già da un pezzo che non viviamo più come prima. 

 

"Dire non dobbiamo cedere alla paura, vuol dire già ammettere di avere paura", sintetizza con lucidità Massimo Fini. 

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