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19.09.2016 - 08:470
Aggiornamento: 19.06.2018 - 15:41

Dadò: "Viviamo in un mondo popolato da molti nani e pochi giganti. E avanza inesorabile la palude dei disertori: quelli che non vedono, non sentono e non parlano"

L'editore ed ex deputato riflette, nell'editoriale della rivista Ceresio in uscita in questi giorni, sul ruolo di politici ed intellettuali nel nostro tempo: "La fiducia in queste due categorie si è andata sgretolando. Oggi avanzano gli ignavi, che Dante ha collocato all'inferno"

di Armando Dadò*

 

All’inizio di quest’anno Tzvetan Todorov, filosofo e saggista di notevole spessore, ha dato alle stampe un libro di storie di donne e uomini che hanno lottato per la giustizia. Todorov, nato a Sofia in Bulgaria, vive in Francia dall’inizio degli anni Sessanta ed è direttore di ricerca onorario al Centro nazionale di ricerca scientifica di Parigi. Durante la gioventù ha vissuto sotto il regime staliniano e, quando discute di questi temi, sa di cosa parla. Tutte le biografie analizzate nel libro hanno un comune denominatore: si tratta di personaggi il cui atteggiamento suscita ammirazione. I loro comportamenti appartengono a due forme d’amore: l’amore per gli esseri umani e l’amore per la verità, che spesso coincidono.

 

Aleksandr Solgenitsin

 

La narrazione della vita di Solgenitsin è quella di un astro morale di prima grandezza, la cui attività letteraria del proprio Paese si divide in due grandi periodi. Egli inizia la sua attività di scrittore a diciotto anni e intuisce da subito che uno scrittore debba vivere pienamente gli avvenimenti del proprio tempo, del proprio Paese. Nel 1945, in seguito a una intercettazione della sua corrispondenza con un amico, viene imprigionato e condannato a otto anni di detenzione. I due amici si scambiavano imprudentemente le rispettive opinioni sullo stato politico del loro Paese e sui suoi dirigenti.
 

Lo scrittore conosce così la durezza dei campi siberiani, ma possiede un coraggio raro: diventando il portavoce dei massacrati, dei dispersi, dei torturati, degli umiliati. Il suo interesse individuale viene sacrificato; il suo obiettivo è quello di mettersi al servizio della verità.
 

Nel 1956, durante il XX Congresso del partito sovietico, Krusciov presenta a porte chiuse un rapporto segreto sui crimini di Stalin e dello stalinismo. Dopo questo avvenimento sconvolgente Solgenitsin decide, con precauzione, di lasciare la clandestinità e di uscire allo scoperto.


Le sue opere cominciano a circolare e arrivano sotto gli occhi dei dirigenti del Comitato centrale. Lo stesso Krusciov le riceve, le legge e ne rimane entusiasta. «È un testo forte, molto forte».


I padroni del Cremlino non si rendono conto che un testo simile non si limita a condannare gli eccessi o le deviazioni della politica del partito, ma mette radicalmente in discussione la legittimità del regime che ha portato alla realizzazione di questo mondo.
 

La forza morale di Solgenitsin si trasforma in un atto politico dirompente. È uno dei colpi più forti assestati al regime sovietico, uno dei più decisivi per il crollo che avverrà trent’anni dopo.
 

Nel 1964 Krusciov è destituito: il vento cambia e, al posto del disgelo, arriva una nuova era glaciale.
 

Solgenitsin è sorvegliato e perseguitato, ma non è arrestato. Intanto riesce a concludere la sua opera maggiore, «Arcipelago Gulag», che verrà pubblicata in Occidente alla fine del 1973. Nel 1970 riceverà il premio Nobel per la letteratura e nel 1974 verrà espulso dalla Russia. Egli sognava da tempo di ricevere il Nobel per pronunciare «un discorso coraggioso in nome di tutti gli strangolati, i fucilati, i morti di fame, i morti di freddo».
 

L’esilio in Occidente si rivelerà in certo qual modo deludente: «Laggiù non c’è nulla e tutto è importante: qui abbiamo tutto e nulla è importante».

 

Nelson Mandela
 

Altro gigante del nostro tempo è Nelson Mandela, scomparso da poco, il cui nome oggi è conosciuto e rispettato in tutto il mondo. Mandela ha trascorso in prigione ventisette anni della sua vita e quando ne è uscito – l’11 febbraio 1990 – aveva settantadue anni.
 

Nella sua autobiografia è lui stesso a giudicarsi con una certa severità: «Ero molto radicale, pronunciavo discorsi molto aspri, ne avevo per tutti… In gioventù ho unito la debolezza all’assenza di discernimento di un ragazzo di campagna. Facevo leva sull’arroganza per dissimulare le mie lacune».
 

La vita del carcere è dura e umiliante, ma porta l’animo dell’uomo a una conversione. Le condizioni detentive lo spingono a un lavoro interiore: la solitudine e la ripetitività delle giornate sono uno stimolo all’introspezione.
 

Odiare il nemico non aiuta a vincerlo ma distrugge la tua identità. «Il risentimento è come bere un veleno e sperare poi che ucciderà i tuoi nemici (…). Per dirla con crudezza dietro queste spesse mura sono rinchiuse soltanto le mie ossa e la mia carne. I miei pensieri sono liberi come il volo del falco». 
 

Le sue forze si moltiplicano. «Oltre le mura della prigione vedo le nuvole nere dissolversi e il cielo blu all’orizzonte». E poi ancora: «Il rispetto e l’amore non cessano di crescere».
 

Per illustrare le proprie idee, Mandela racconta una parabola. Il sole e il vento si sfidano per scoprire quale dei due sia più forte e stabiliscono una prova: bisogna togliere la coperta a un viaggiatore. Il vento soffia con tutte le forze, ma il viaggiatore si rannicchia e non se la lascia portar via. Il sole si limita a inviare caldi raggi: il viaggiatore comincia a scoprirsi e poi allontana la coperta.
 

Quando virtù morale e utilità politica agiscono in accordo, i risultati possono anche arrivare.
 

Mandela si è mosso su questa strada, con questi obiettivi ed è riuscito a realizzare quello che sembrava impossibile.

 

I buoni maestri, i cattivi maestri e gli ignavi 

 

Se Todorov ha sentito la necessità di ricordare in quest’opera il ruolo di politici e intellettuali che hanno speso la loro vita per l’amore del prossimo e della verità, qualche ragione ci deve pur essere. Nel nostro tempo la fiducia per queste due categorie si è andata sgretolando.

 

In Europa e nel mondo di oggi i politici capaci di suscitare ammirazione e credibilità non sembrano legioni.
 

E degli intellettuali, degli uomini di cultura, che dire?
 

Tony Judt – nel suo libro uscito postumo – tratta ampiamente questo tema, del ruolo dell’intellettuale nel Novecento, analizzando innanzitutto il duello in Francia fra Aron e Sartre. È impressionante come Sartre avesse dietro di sé folle osannanti. Egli era per taluni aspetti un cattivo maestro, servitore del totalitarismo, difensore dell’idea machiavellica che la prostituzione della verità fosse buona cosa se poteva servire all’ideologia.

 

Per contro, solo una sparuta minoranza seguiva Aron, quando richiamava l’etica della responsabilità e l’attenzione alle conseguenze pratiche delle idee. 

 

Oggi sono forse in diminuzione queste posizioni così nette mentre sembra, per contro, avanzare inesorabile la palude dei disertori. Di chi non prende posizione, di chi sta a guardare e non si assume alcuna responsabilità sociale: non vedo, non sento, non parlo. Di chi persegue unicamente il proprio interesse privato, la propria convenienza dell’immediato. Di questa categoria, gli ignavi, ne parla Dante con disprezzo, collocandoli nell’Inferno (canto III).


*editore - Editoriale pubblicato sulla rivista "Il Ceresio"

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