di Marina Masoni (discorso all’assemblea di Ticinomoda) *Non finiremo mai di stupirci per quanto accade in questa stagione politica. I numeri della nostra economia sono complessivamente di segno positivo, ma questo sembra dare fastidio, sembra disturbare una parte del mondo politico e dell’opinione pubblica.
La sfiducia nell’economia di mercatoAffermare che l’economia ticinese cresce, attira e fa nascere nuove imprese, crea molti più posti di lavoro di quanti ne vengano soppressi nelle aziende in difficoltà (ce ne sono naturalmente), affermare questo viene considerato quasi un reato politico, nella migliore delle ipotesi una mancanza di riguardo verso le persone che hanno perso il lavoro e non riescono a ricollocarsi o verso le piccole imprese che devono confrontarsi con la concorrenza molto pressante di chi viene da fuori confine. Qua e là fa capolino la convinzione che i meriti, l’impegno, le capacità, i successi degli uni siano addirittura la causa dei mali e delle difficoltà degli altri.
Sono segnali preoccupanti di un malessere difficile da interpretare, sulle cui cause potremmo soffermarci molto a lungo, e di una sfiducia – non sappiamo bene quanto diffusa – verso l’economia di mercato.
È già stato detto in altre occasioni ma è un punto che va rilevato ancora: fino a pochi anni fa, l’insediamento di una grande azienda in Ticino era una notizia positiva, l’indicatore della forza competitiva del nostro territorio nel contesto del mercato europeo e nel processo della globalizzazione; oggi capita invece che qualcuno accolga come una notizia positiva la partenza dal Ticino di una grande azienda, vista come un togliere dal nostro territorio un elemento estraneo, di disturbo. E capita pure che qualcuno veda in modo negativo, guardi di traverso e con sospetto la competitività delle nostre aziende sui mercati internazionali.
È un ribaltamento completo del paradigma economico alla base del nostro modello di società che ha quale motore il libero mercato, la libertà di fare impresa, naturalmente nel quadro delle leggi che tutelano chi lavora, il territorio, il suo ambiente, chi ci vive.
Amata, odiata moda…Il nostro ramo, anzi il nostro metasettore, come è stato definito dall’Istituto di ricerche economiche già nello studio del 2013, vive sulla propria pelle questo cambiamento. In un’intervista dello scorso mese di marzo, il professor Rico Maggi, direttore dell’IRE, ha affermato che la Fashion Valley, la valle della moda è nello stesso tempo amata e odiata dal Ticino che la ospita. Per tutti voi, per tutti noi, questo risulta incomprensibile: non c’è una spiegazione razionale. Ma dobbiamo prendere atto che è così. Forse accade oggi con l’industria della moda ciò che accadeva negli anni passati con il ramo delle banche: amato e odiato anch’esso nello stesso tempo.
Sta prima di tutto a noi lavorare affinché l’industria della moda sia percepita dal Ticino per quello che essa realmente è: un motore economico che diversifica le opportunità di crescita e quindi riduce sensibilmente i rischi dei contraccolpi recessivi.
Questo punto fondamentale, quello della diversificazione del nostro substrato economico, forse non è percepito nella giusta misura e non è valorizzato a sufficienza.
Eppure è essenziale in un territorio di piccole dimensioni come il Ticino, in un’economia di frontiera incuneata in una regione – la Lombardia – che è una potenza economica nel contesto delle regioni europee. Spesso in passato gli analisti e gli economisti avevano indicato nella monocultura finanziaria un fattore di rischio o di fragilità per il Ticino. In realtà non c’è mai stata una vera e propria monocultura finanziaria.
È però vero che i colpi di tosse delle banche e delle fiduciarie potevano fare molto male all’intero Ticino. Per questa ragione, la crescita e il rafforzamento vigoroso di un ramo industriale come il nostro, che nella sua lunga storia ha saputo affrontare molte crisi pesanti e che negli anni Novanta ha saputo superare una crisi strutturale profonda, che ha saputo riorientarsi e reinventarsi in un mercato più aperto, e quindi più difficile, che ha saputo attirare qui marchi internazionali, è un asso che l’intera società ticinese deve saper giocare con grande intelligenza.
Il caso Philipp PleinPer la nostra associazione è scontato che questo debba avvenire rispettando le regole, appunto, del gioco. E qui permettetemi una breve digressione sul recente episodio che ha innescato discussioni e polemiche delle quali avremmo tutti fatto volentieri a meno: è il caso Philipp Plein.
Sappiamo quali siano da un lato i vantaggi e dall’altro i problemi che un mercato del lavoro maggiormente aperto, grazie agli Accordi bilaterali, comporta. Non ci sono solo vantaggi e non ci sono solo problemi.
Dobbiamo cercare di ottimizzare i primi e minimizzare i secondi, ben consapevoli che molto dipende dalle regole ma molto dipende anche dalla correttezza dei comportamenti individuali. Nessuno, per il solo fatto di pagare molte imposte nel nostro cantone, può pretendere di fare quello che vuole.
Tra le esigenze dei clienti e dei fornitori, quelle dell’azienda e quelle dei suoi collaboratori c’è sempre il modo di trovare una conciliazione nell’interesse di tutte le parti. Il modello svizzero, fondato sulla pace sociale, ha fatto di questa conciliazione tra interessi che possono esser divergenti il suo metodo e il suo strumento. Con risultati incontestabilmente positivi.
Questa convinzione ha portato Ticinomoda a concordare e sottoscrivere ben due contratti collettivi di lavoro: uno nel settore della produzione con OCST e UNIA e uno per gli impiegati di commercio (con l’adesione al CCL stipulato da Camera di commercio, OCST e Società impiegati di commercio). Queste scelte sono state fatte con grande convinzione per garantire la massima trasparenza e correttezza tra partner sociali a tutela dei lavoratori. Il nostro sito www.ticinomoda.ch permette a chiunque di verificarlo.
Il marchio Philipp Plein non è e non è mai stato un nostro associato. Non spetta a noi né accertare né giudicare cosa sia effettivamente successo nella sede di Lugano dell’azienda. La reazione e le dichiarazioni fatte pubblicamente dall’interessato non possono però trovare la nostra approvazione.
Le regole vanno rispettate, anche tutte quelle stabilite dalla legislazione sul lavoro. Nella nostra democrazia possiamo, e in una certa misura dobbiamo, impegnarci per cambiare le normative inadeguate, superate o eccessivamente burocratiche.
Ma finché sono in vigore, finché non vengono democraticamente cambiate, le regole vanno rispettate. Anche se e quando non ci piacciono. Ci sono norme per certi aspetti rigide: ma la capacità imprenditoriale consiste anche nel ritagliarsi la necessaria e sufficiente flessibilità all’interno, non al di fuori, di queste regole. Non si può fare ciò che si vuole.
Voi sapete che il nostro statuto prevede l’esclusione dall’associazione in caso di infrazioni gravi. Siamo già intervenuti e abbiamo in corso anche una causa civile con un’ex associata inadempiente con i contratti collettivi. Rappresentiamo 31 aziende che contano circa 6'000 dipendenti (sul totale di 8'000 dell’intero ramo della moda). Per noi è fondamentale il rispetto dei contratti collettivi di lavoro tanto quanto il poter operare in un’economia più aperta e in un mercato del lavoro che, rispetto al passato, offre all’imprenditore molte più possibilità e opportunità.
Questo si riallaccia alle considerazioni iniziali. Se è vero, per dirla con il professor Rico Maggi, che il metasettore della moda è amato e odiato nello stesso tempo, dobbiamo promuovere linee di comportamento corrette, che ci facciano piuttosto amare che odiare, o almeno che ci facciano rispettare come aziende serie.
Gli imprenditori pensano spesso di poter fare poco per superare la sfiducia che oggi, indubbiamente, vi è in una parte della popolazione verso i meccanismi del libero mercato e della libera concorrenza; ma di certo ognuno può dare il suo contributo, dimostrando con i fatti che si può competere senza arroganza e con correttezza. Le vostre aziende lo dimostrano quotidianamente. E questo è un vantaggio competitivo, nell’accezione più ampia e più nobile del termine, che dobbiamo tenerci ben stretto.
Un pacchetto fiscale di una modestia disarmanteSolo così - e qui giungiamo ad un nodo di vitale importanza – solo così potremo contribuire a creare il consenso sufficiente affinché lo Stato predisponga le condizioni quadro più adatte alle esigenze poste dal contesto economico generale. Il riferimento è all’indispensabile adattamento del sistema fiscale. Lo diciamo da tempo: il Ticino è rimasto fermo per troppi anni sul fronte del riformismo fiscale. L’ultimo cambiamento sostanziale era entrato in vigore nel 2003 (sono dunque passati 15 anni), in concomitanza con il passaggio dalla tassazione biennale a quella annuale per le persone fisiche.
Qualcosa si è mosso quest’anno con l’approvazione in votazione popolare della riforma denominata “fiscale e sociale”. È stata un’approvazione con uno scarto minimo per un pacchetto di una modestia disarmante e che presentava e presenta tasselli poco soddisfacenti. La situazione si è comunque sbloccata. Decisamente positivo è il primo passo di diminuzione delle aliquote fiscali sulla sostanza e sul capitale.
Manca invece – ed è una lacuna pesantissima – la diminuzione dell’aliquota sugli utili delle persone giuridiche. Il Ticino su questo fronte non è più concorrenziale. E non può davvero più permettersi di temporeggiare. Il confronto intercantonale è per noi penalizzante.
Questo è un fattore di rischio molto elevato nel momento in cui, per le pressioni internazionali e anche per ragioni di parità di trattamento in un’economia aperta e globalizzata, le tassazioni speciali per determinate categorie di aziende non sono più accettate e dovranno essere soppresse. Va da sé che l’abolizione di queste forme di imposizione vantaggiose e concorrenziali non può avvenire senza una riduzione sostanziosa dell’aliquota ordinaria sugli utili aziendali. Questo è un punto determinante per l’economia del canton Ticino.
Occorre quindi attivare il processo legislativo che porti quanto prima ad abbassare questa aliquota almeno al 6%. E siccome nel nostro Paese e nell’attuale contesto non è immaginabile, per ragioni di consenso politico, una riduzione in un sol colpo, ma si dovrà prevedere presumibilmente una gradualità su tre anni, partire con i lavori è un’urgenza non differibile. Il consigliere di Stato Christian Vitta, direttore del Dipartimento delle finanze e dell’economia, che ha saputo portare a buon fine il pacchetto fiscale approvato dai cittadini il 29 aprile, ha certamente l’appoggio di Ticinomoda e, penso, delle altre associazioni economiche.
Il riformismo fiscale non può fermarsi al 29 aprile 2018. Una politica fiscale che favorisca le attività produttive e le attività di servizio che supportano le prime (ogni tanto, nel dibattito pubblico, dovremmo ricordare che non basta produrre merci: bisogna trasportarle, stoccarle, confezionarle, promuoverle, venderle), una politica fiscale incentivante è necessaria a maggior ragione in un territorio di frontiera e di transito come il nostro. La fiscalità troppo pesante impedisce lo sviluppo di nuovi motori economici e annulla i vantaggi dati da altre condizioni quadro.
Una fiscalità concorrenziale è invece il complemento necessario alla paletta degli altri fattori che favoriscono l’attività economica: certezza del diritto, pace sociale, efficienza amministrativa, bellezza del paesaggio, mercato del lavoro, sistema della formazione.
E voi sapete che la formazione è uno degli impegni prioritari della nostra associazione, con l’obiettivo strategico di offrire alle aziende della moda personale qualificato e aggiornato nelle sue competenze perché siano radicate al meglio nostro territorio. Sono stati fatti passi molto importanti.
In particolare collaboriamo con la SAMS e con la STA (Scuola specializzata superiore di tecnica dell’abbigliamento e della moda), con la Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana, e anche con l’Università della Svizzera italiana e i suoi istituti, sia per la formazione di base sia per la formazione continua. Un’iniziativa di grande rilievo è quella concretizzata nel settembre 2016 e coronata proprio oggi con la consegna dei diplomi: il Certificato di studi avanzati (Certificate for Advanced Studies, CAS) Smart e-Fashion, una formazione di alto livello per i profili e le professioni della moda.
Dell’intera paletta delle condizioni quadro ci occupiamo grazie anche alla strettissima collaborazione con la Camera di commercio, curando in particolare le relazioni con l’autorità cantonale e con i Comuni quando ci sono questioni di portata locale.
Crescere e diversificare: questa dovrebbe essere la scelta strategica della politica economica nel nostro territorio. Affiancare, ai motori tradizionali di sviluppo, nuovi motori. È il modo migliore per rendere più solido il substrato economico cantonale.
La riconversione della vecchia gloriosa industria tessile nell’industria della moda nella cosiddetta Fashion Valley, rientra perfettamente in questa visione. E se oggi le aziende della moda sono tra i maggiori contribuenti, se non i maggiori, occorre dare continuità a questa presenza anche con una politica fiscale attrattiva. È nell’interesse dell’intera nostra comunità.
* presidente di Ticinomoda